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R Recensione

8/10

Chelsea Wolfe

Unknown Rooms: A Collection Of Acoustic Songs

La copertina di un disco, talvolta, può dire tanto, o tutto. È il caso del nuovo album di Chelsea Wolfe, che coricata su un letto, vestita del nero a lei così familiare, porta una mano sul volto, a celarlo. È come se invitasse l’ascoltatore a fare lo stesso: chiudere gli occhi, smarrirsi esclusivamente nella musica, nelle parole, nelle emozioni. Nei sogni. Perché è questo ciò che vuole Unknown Rooms, vuole che la mente si abbandoni nelle sue “sconosciute stanze”; le stanze dei sogni, appunto, dove tutto è indefinito, vago, incerto; stanze imprecisate che – dice Chelsea – accennino all’aldilà, a spazi ignoti, a camere dimenticate dell’anima.

Sono voluta tornare alle mie radici: volevo fare qualcosa di intimo, di riservato”. E le radici della Wolfe attecchiscono nei boschi della North Carolina, in una casa incastonata nella bellezza della natura selvaggia, dove Chelsea maneggiava la chitarra del padre e scriveva canzoni fin dall’età di nove anni, respirando musica: è in questo habitat che nasce e si evolve la sua arte, è in questa atmosfera pura, pressoché incontaminata, che la Wolfe invece si contamina delle più disparate influenze, assorbe ogni eco.

Nella tendenza a raffrontare Chelsea Wolfe con qualcuno che musicalmente le somigli, ci si perde in un gioco futile e stucchevole: in questo immenso mare galleggiano più di altri Nick Cave, PJ Harvey, Lisa Germano. La Wolfe, tuttavia, è semplicemente se stessa: un’artista raffinata, ispirata, profonda. Stavolta Chelsea tralascia la sperimentazione, il gothic rock. Smette, a tratti, anche la veste tenebrosa da doom lady. E un po’ si ravviva, imbracciando la chitarra acustica, curando sonorità minimali, arpeggi essenziali, esibendo la versatilità di una voce toccante, accompagnata dagli archi affilati dei violini che scavano la psiche: “volevo esplorare nuovi suoni, nuovi modi di utilizzare la mia voce”. Temi elementari nelle liriche, lei afferma, “a riconciliare la natura e l’amore, l’antico e il moderno; a rivelare la bellezza nell’oscurità delle cose”.

Questa raccolta di brani acustici – come è indicato anche nella copertina – racimola appena nove pezzi, per un totale di soli 25 minuti: neanche Nick Drake, nel brevissimo Pink Moon, era stato più rapido. Ma in questa limitatezza è condensata una quantità inestimabile di pathos: è una concentrazione di suggestioni che disorienta, che turba, che vibra. È un sonno corto – come vorrebbe Chelsea – nelle nostre sconosciute stanze, distesi sul letto con la mano sugli occhi, ad assaporare la poesia che sgorga dagli strumenti e dalle parole: in queste camere, all’apparenza anguste e disadorne, si apre inaspettatamente un orizzonte sbalorditivo, smagliante, inevitabilmente onirico. È un palpito di mezz’ora, poco meno. Però un palpito continuo, ininterrotto, senza cali o riduzioni: un deliquio. 

Unknown Rooms edordisce con "Flatlands", e cioè le terre estese e desolate che la Wolfe desidera, tra mari, alberi e abbracci, anelando all’essenziale. Delizioso è l’arpeggio di chitarra, con piccolo bending, stretto a metà del brano dalle carezze del violino. Gemiti scanditi aprono "The Way We Used To", che narra di un amore confuso: è paradossalmente nell’assenza dell’altro che questo sentimento si compie, mentre Chelsea, tra il tamburo ritmato, è straordinaria padrona dei suoi vocalismi e palesa tutto il suo eclettismo. In "Spinning centers" la Wolfe dà ancora saggio della sua mirabile voce, liberandosi in scale ondulate, in un clima sottile, cristallino. "Appalachia" riporta alla mente le montagne in cui è nata e cresciuta Chelsea stessa, tra i boschi della North Carolina, nell’affascinante natura ora rievocata: pare di vederli, a volo di uccello, questi pini, questi abeti, questi laghi, mentre la chitarra grezza e le percussioni cadenzate graffiano l’aria, assieme ad un violino ed una viola penetranti.

I trenta secondi di "I Died With You", composti semplicemente da due voci eteree e fanciullesche che si sovrappongono, parlano di una dolorosa dipartita: è un breve brivido celestiale. "Boyfriend" si apre con un arpeggio buio e minimale, tra i sospiri della Wolfe, in un’atmosfera cupa, lugubre e rarefatta che rammenta i suoi precedenti lavori. "Our work was good" è un’incantevole cavalcata di chitarra, tutta in minore, tra falsetti ripetuti e malinconici, mentre il piano lentamente decora la voce, in un crescendo ammaliante che sa di strade lontane, di brezza, di ovest. In "Hyper Oz" la ruvidità dei suoni si mescola alla delicatezza delle liriche e degli acuti, per finire in un accordo maggiore che sembra scaturire da un carillon stonato. Il disco si chiude col pianoforte incalzante di "Sunstorm", che replica due accordi nel botta e risposta di Chelsea, persa tra ricordi laceranti, tra parole e sensazioni, in questa giornata di pioggia e di sole, in questo sgargiante crepuscolo di un album che lascia necessariamente stregati.

Al risveglio dal sonno veloce, eppure intenso, le mani possono infine scostarsi dal volto, schiudendo le palpebre. Si può tornare alla realtà, dopo il breve viaggio trasognato. Ma la visita nelle sconosciute stanze renderà di certo più sereni, più puri, più appagati, perché arricchiti dalla poesia, dalla musica, dalla voce magnifica di un autentico talento che ha nome Chelsea Wolfe.

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target 7,5/10
gull 7/10
REBBY 6/10

C Commenti

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Steppenwolf84 alle 9:12 del 8 ottobre 2012 ha scritto:

Aspetto di digerire l'album precedente (scoperto da poco) per poi dedicarmi a questo.

target (ha votato 7,5 questo disco) alle 22:46 del 10 ottobre 2012 ha scritto:

Un autentico talento. Siamo d'accordo, Jacopo. Dopo averla vista live, poi, non ho più dubbi, anche se già ne avevo pochi all'inizio (dai, diciamolo: a suo tempo fummo i primi a recensirla sul web dopo le segnalazioni di un blog americano e di uno russo). In effetti la scarnificazione acustica di queste stanze sconosciute dà sfumature diverse alla sua voce, come già facevano alcuni pezzi 'unrealesed' del passato ("Gold" su tutti: perché non l'ha messo qua dentro? E' un delitto che quel brano resti nel limbo degli mp3). Esemplare "Spinning centers", stupenda ceramica vittoriana, Marissa Nadler che fa l'amore con la PJ Harvey di "White chalk". E così alcuni altri numeri ("Flatlands", "The way we used to"). L'unico appunto è che queste due maniere, acustico-intimistica e goth-rock, non le terrei separate, ma le intreccerei il più possibile, come in realtà i dischi precedenti già facevano. Probabilmente Chelsea ha pronto talmente tanto materiale che deve come incasellarlo in cartelle diverse, con l'etichetta sopra, per poterne venire a capo. Ecco, l'idea del disco acustico ci stava, insomma, ma io la preferisco un po' qua e un po' là. Bella recensione, molto sentita!

Jacopo Santoro, autore, alle 23:32 del 10 ottobre 2012 ha scritto:

Avevo letto da qualche parte che "Gold" sarebbe stata inserita come bonus track (ma non ricordo la fonte, non so se considerarla notizia fondata). Il fatto che abbia pronto un materiale vastissimo, come tu dici, è assolutamente vero: nel 2013 ha già annunciato l'uscita di un altro disco, è un'artista ispiratissima. In quest'altro lavoro, chissà, potrebbe definitivamente amalgamare la sua veste acustico-intimistica a quella goth-rock, come tu auspichi. Per gusti personalissimi preferisco la prima di queste due possibilità (e la recensione è "sentita", forse, anche per questo), ma allo stesso tempo mi incuriosisce questo suo eventuale "intreccio" tra le due anime, diverse ma comunicabili.

Consiglio anche l'ascolto di questo meraviglioso disco (passato troppo sotto silenzio): penso si avvicini, a tratti, a questo lavoro della Wolfe (http://houseofwolves.bandcamp.com/)

gull (ha votato 7 questo disco) alle 17:06 del 5 dicembre 2012 ha scritto:

Io quoto target quando scrive "l'unico appunto è che queste due maniere, acustico-intimistica e goth-rock, non le terrei separate, ma le intreccerei il più possibile, come in realtà i dischi precedenti già facevano". Bello comunque anche questo lavoro.

salvatore (ha votato 6 questo disco) alle 21:29 del 5 dicembre 2012 ha scritto:

Io l'ho trovato piuttosto deludente... La preferisco decisamente quando spinge sull'acceleratore. Nei momenti più trattenuti non riesco a trovarla altrettanto incisiva.