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R Recensione

7/10

Colleen

The Weighing Of The Heart

Madame Cécile Schott è una persona che sa dare il giusto peso alle emozioni: si pone in ascolto di esse, le interiorizza, le rielabora e le restituisce in musica, prediligendo più i chiaroscuri che non improvvise vampate di colori.

La sua tavolozza è fatta di strumenti acustici come chitarra classica, piano, viola da gamba (celebrata nella sinfonia piccina piccina di Geometria del Universo), clarinetto, percussioni in assetto decisamente minimale, campane, campanelle, timpani, sospiri, respiri, voce, voci. La sua osservazione sul mondo è piena di souvenir da varie parti del mondo: una versione giocattolo del gamelan (xilofono balinesiano), maracas, kora, cembali indiani innestano nel suo songwriting dalle radici così europee un gusto, una fascinazione per gli orizzonti etno-musicali dell’Asia centrale e sud-orientale, dell’Africa, del Sud America. Non ama andare oltre l’essenzialità dei sentimenti, Colleen: sa bene che ciò che è dato in aggiunta, tende a sollevare il velo del mistero. Tratteggiare sommessamente i lineamenti di ciò che stimola i sensi è tutto quello che dona il soffio di vita a “The Weighing Of The Heart” (il quarto opus in studio della compositrice/polistrumentista), un lavoro che sa essere solenne procedendo in punta di piedi, che sa essere "noisy" in modo decisamente inedito rispetto alle nostre aspettative. Un lavoro di sottrazione, di scarnificazione: di scarificazione, tanto scava nel profondo.

L’organo (un Farfisa Compact) che si staglia nel finale di Moonlit Sky però qualcosa aggiunge: così squarciando il drappeggio dell’intimismo fa penetrare una poderosa luce dall’alto che talvolta nei meandri dell’anima (e di queste "misurate preghiere") non è concesso di trovare casa. Certo ci sono lampi di pura di genialità che si insinuano fra le segrete alchimie ritmiche di Brekinging Up The Earth, fra le passionali vibrazioni delle corde di Raven,

Hector Zazou di “Lights In The Dark” aveva inaugurato un terreno di analoga sintesi fra sacralità e umanesimo percettivo, fra la dimensione storica dell’umana tradizione e l’astoricità dello spirito. Una strada tentata, con esiti più magniloquenti e rivolti verso altre destinazioni, da formazioni come Rachel's o Clogs.

Personalmente non ritengo che i silenzi siano più spirituali dei rumori, dello spezzare la quiete con sussulti che galvanizzano l’animo: quella di Colleen è tuttavia una strana mistura fra la voglia di tacitare le onde del mare e di rompere il silenzio con la grazia che offre una frugalità strumentale che ha la sapienza dell’antico, il sapore dell’etnico, lo sorpresa del contemporaneo. Going Forth By Day traccia ineccepibilmente questa crepuscolare trepidazione (ritmica e sensoriale), in quell'ora incerta nella quale la notte sta per terminare, ma il giorno ancora non ha diritto di esistere. Humming Fields avrebbe dato pieno diritto all'autrice francese di partecipare alla colonna sonora de "Il Popolo Migratore" tanto è tangibile la consonanza con le tematiche armoniche di Bruno Coulais.

Basterebbe poi immergersi nel mantra di Ursa Major Find per cogliere l’essenza di questa elegiaca increspatura della pace naturale delle cose:

 

As I was walking by the great bear in the northern sky

I found the seashell missing from the shore below

Mentre camminavo attraverso l’orsa maggiore nel cielo del nord

Ho trovato che una conchiglia mancava dalla spiaggia sotto di me

 

Oppure l’ostinata ripetizione del titolo di Break Away, con modulazioni vocali che fanno da sfondo ad una ipnosi che sarebbe piaciuta tanto alla Laurie Anderson di “Big Science” quanto alla Bjork di “Medulla”.

Tutto sottende ad una propensione per il particolare, per la ricerca della persistenza della tradizione nel presente: Colleen non ha alcuna frenesia di parlare un linguaggio innovativo solo alla luce della modernità, ma persegue le sue inquiete trame idiomatiche in un tempo che è vivificazione del passato oltre il passato, che da lontano ci parla di ciò che è sempre attuale, di ciò che siamo in virtù di ciò che eravamo.

Uno dei vertici della produzione della label Second Language, arriva nel bel mezzo di una gelida primavera, senza sollevare la polvere, eppure dimostrando quanta coerenza c'è dietro alla volontà di non cavalcare nessuna moda e decantando una fragilità che trasuda una forza espressiva assolutamente inconsueta e palpitante. Lasciate le arterie principali delle vostre città sonore: la magia elementale e sensuale di The Weighing Of The Heart” vi pervaderà completamente.

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