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R Recensione

7/10

Emily Jane White

Ode to Sentience

Di cantautorato femminile ce n’è a fiotti. Difficile fare selezione. Ogni tanto, però, c’è una folk singer che facilita le cose. Emily Jane White, al terzo disco, è tra queste.

A sentire di seguito i tre lavori della cantautrice californiana, se ne coglie bene il climax da un massimo di do it yourself grezzo e spartano a un massimo di raffinatezza, da un massimo di catpowerismo a un massimo di personalità. “Ode To Sentience” rovescia la nuda crudezza di “Dark Undercoat” (2007), dopo la tappa intermedia del lungo “Victorian American” (2009), del quale questo disco asciuga decisamente la prolissità. Ne esce, direi, il disco più scorrevole di Emily Jane White, e anche il più affascinante.

I pezzi si muovono tra atmosfere scure e pieghe crepuscolari, su un fingerpicking sussurrato, a volte in odore di traditional folk (“The Black Oak”), tra Alela Diane (“Black Silk”), Joni Mitchell (“The Law”) e Marissa Nadler (“The Preacher”), ormai su altri lidi rispetto ai rumori più scontrosi dell’esordio. Qui c’è una delicatezza acquosa, che pianoforte e violoncello rendono, più che elegante, quasi fosca: “I Lay To Rest (California)” non è distese di sole, ma notti di inverno, mentre “Requiem Waltz” rende fede al titolo, su archi e piano da danse macabre.

Prevalgono accordi in minore, sbocchi armonici che traboccano malinconia (“Clipped Wings”), sotto una voce spettrale che si ritaglia, di echi e volume, tutto lo spazio che merita. Sezione ritmica all’osso. Quasi assente la batteria: dove c’è, magari con steel guitar stile country-folk da prateria al seguito (“The Cliff”), stona. Perché queste sono brughiere torbide, dove less is more.

Peccato che non abbia, Emily, la stessa risonanza di altre ‘colleghe’. La meriterebbe.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 1 voto.
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