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R Recensione

7/10

Gambles

Trust

C’è così poco da dire su questo disco, eppure così tanto. Gambles è Matthew Daniel Siskin, da New York. Trent’anni, ha un’agenzia che cura l’immagine sul web a gente come Rihanna, è fidanzato a una modella (la splendida ragazza che compare nel video qua sopra), e ha appena pubblicato il suo primo disco, in cui c’è lui che canta e suona la chitarra. Non sembra una storia interessante: non per un cantautore. Ma fino a qualche mese fa la ruota girava, per Siskin, nella direzione opposta. E “Trust” racconta quella storia.

Che riguarda una ragazza con cui stava da pochi mesi, una gravidanza imprevista, la decisione di tenere il bambino e di provarci assieme, la diffusione euforica della notizia ad amici e parenti, la scoperta che il bambino non sarebbe nato, la scelta di superare il dramma sposandosi, il disastro, la tensione, l’incapacità di andare oltre, la fine, i mesi di vuoto.

Ma ciò che importa non è la storia in sé. È che qualcuno ha deciso di raccontarcela con una chitarra, che è una vecchia maniera di guarire se stessi arrivando però a toccare tutti, e Gambles ci riesce molto bene. Perché ha una voce da crooner ruvida e cavernosa, espansa dall’eco costante, che non lascia indifferenti. Perché ha scelto come padrini Leonard Cohen e Bob Dylan. Perché fischietta sugli accordi sporchi in modo splendido (“Rooftops”, “Schemes”). Perché ogni tanto stona. Perché non diventa mai ermetico. Perché ha fatto un album di 13 pezzi ed è riuscito a lasciare fuori la sua canzone più bella, che ha tutta l'aria del classico (“Far From Your Arms”: si ascolta qua).

Ciò che fa la differenza, soprattutto, è la capacità di trovare, sopra successioni di accordi elementari, melodie purissime, come se fosse la prima volta che qualcuno prova a metterci la voce sopra. “So I Cry Out” e “Penny For A Grave” (col suo sapore di americana) spiccano, ma ogni pezzo ha un suo ricamo che sta lì, come scolpito. "Animal" chiude su colori più vividi e sopra arpeggi, laddove tutto il resto dell'album era scorso sull'immediatezza rabbiosa delle pennate. E costringe a fermarsi, qualsiasi altra cosa si stia facendo.

E sì: c’è poco da dire su questo disco. Un accenno a un dubbio, ecco: non so se, in vesti strumentali più ricche, le canzoni di “Trust” avrebbero funzionato meglio. Forse no. Al prossimo album, se ci sarà, Gambles potrà (dovrà) pensarci. Qui la storia richiedeva, per arrivare diritta, la nudità più totale. E giudicarla con un voto riesce più difficile, e meno sensato, che mai.  

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