Gus Black
The Day I Realized...
Il problema di Gus Black è che più dischi pubblica meno lo si caga. Qualche vaga citazione in patria (USA) l’aveva guadagnata solo con il quarto lavoro, “Autumn Days” (2005), e solo sulla scia dell’album precedente (“Uncivilized Love”, 2003), dove era contenuta una cover dei Black Sabbath (“Paranoid”). Le uniche date che Gus Black riesce a fare le fa in Germania. In Inghilterra è probabile che lo confondano con il Joe Black del film e non ne vogliano, comprensibilmente, sentire parlare.
Eppure il (non più) ragazzo è bravo, e il precedente “Today Is Not The Day To Fuck With Gus Black” (2008) era un notevole disco di folk virato noir, carico di una scrittura intrigante e di una resa spettrale assai efficace. Pezzi come “Love Is A Stranger” o “Silent Films”, nel loro mantello tenebroso, a me continuano a sembrare splendidi. Se lì si assisteva al trionfo della disperazione e dell’abisso sentimentale, in questo “The Day I Realized...” l’amore è redenzione e salvezza. Il tema è potenzialmente stucchevole, e tuttavia si evitano, per lo più, eccessi di smancerie, per un disco non all’altezza del predecessore ma buono, con alcune ottime punte, a conferma di una scrittura degna di songwriters ben più celebrati.
Il ritorno alla luce nei temi e nell’umore è segnato da arrangiamenti più ricchi rispetto al passato: la batteria manca in soli quattro pezzi, spesso fa capolino l’organo, si aggiungono qualche seconda chitarra (anche elettrica), un timido violoncello, altri archi. Spariscono, in compenso, i cadaverici cori femminili che, assieme al tono baritonale o sussurrato di Black, davano al disco precedente una sfumatura mortuaria. Anzi, Black azzarda qua e là prove di belcanto, per la verità piuttosto infelici (“Fall Into You”), in episodi un po’ troppo sdolcinati che recuperano i suoi esordi (“Waiting In The Cold”, “S.S.L.A.”, “Everything Reminds Me Of You”). A Black continuano a riuscire meglio i passaggi in minore, dove il fingerpicking appare ossessivo e scuro, come nel patinato vintage con scampanii funebri di “Summer Dress” o in altri angoli cupi del disco (“Now Or Forever”, “No Love In Vain” “The World Is On Fire”): è qui dove Black fa la differenza, dove il suo folk notturno mostra una piega coheniana intensissima. La title-track, a questo proposito, è da brividi.
Di che cosa si sia accorto Gus Black è difficile dirlo. Intanto, sarebbe bello che qualcuno si accorgesse di lui.
Tweet