R Recensione

8/10

Isobel Campbell & Mark Lanegan

Sunday At Devil Dirt

Fateci caso: se vuoi far sbavare la critica, oggigiorno, te la devi tirare di brutto. Incidere pochi album ma concedere molte interviste, lasciare che gli epigrammi precipitino come olio bollente dai merli della tua torre d’avorio. O, in alternativa, licenziare un bel disco di cover, così per un po’ nessuno s’accorge che non hai più niente da dire. L’esatto contrario di Mark Lanegan che, a cagione di ciò, in questi tempi agri e scettici, rischia ogni volta di vedere la sua copiosa generosità scambiata per tremenda approssimazione: tempo fa, ad esempio, un tizio che scrive su un mensile molto noto nel nostro settore lo sfotteva affermando che (cito a casaccio, naturalmente, ma il senso è quello) prenotando a tempo debito lo si poteva persino ingaggiare per un matrimonio o un addio al nubilato.

E si che, già di suo, lui è uno che non si risparmia: solo negli ultimi due anni è passato dal rock dei QOTSA e dei Twilight Singer, all’elettronica dei Soulsavers e dei Baldwin Brothers; ha formato un duo con Greg Dulli, di cui ci siamo occupati qualche settimana fa, e uno con Isobel Campbell, di cui ci occuperemo fra qualche riga. Il suo timbro inconfondibile si leva ormai un po’ ovunque, tranne che nel nuovo album di Mark Lanegan che attendiamo ormai dal 2004.

Nel frattempo, però, abbiamo di che consolarci: dopo l’acerbo ma già promettente Ballad of the Broken Seas, la “strana coppia” (fa sempre un certo effetto vedere un randagio bardato di nero accompagnato ad un biondina efebica il cui primo disco solista s’intitolava “Amorino” ?!) aggiusta diabolicamente il tiro sfornando un atto unico nel quale le loro voci dialogano superbe, una piéce, quasi cecoviana, in quel teatro senza tempo che è la popular music. Questo Sunday At Devil Dirt, bisogna ammetterlo, nel suo genere sfiora la perfezione: i duetti un po’ squilibrati (per la difficoltà di amalgamare due intonazioni così divaricanti) del primo episodio cedono il passo a call and response in cui al prevalente baritono maschile fa da contraltare l’angelico/demoniaco sottovoce femminile, carezzevole come chiome sparse sul cuscino di un’ alcova.

La scrittura dei brani si amplia fino a concepire soluzioni distanti fra loro, come la chanson orchestrale, il country, il Delta blues, il voodoo,  il jazz down tempo, addirittura. Un camouflage così curato ed insieme così naif, da lasciare estasiato anche chi non ne può più di vedere il nome di Lanegan trapunto su un disco di prossima uscita. Se può darvi l’idea: come in un film di Charlot, la bella e il suo Sebastian bighellonano mano nella mano lungo un tramonto che declina sull’erta del sentiero. L'amabile lestofante e la sua compagna/bambina immortalati in “Paper Moon” da Peter Bogdanovic.

 I subdoli braccianti/amanti de “I Giorni del Cielo” di Terrence Malick. Due Bonnie & Clyde convertiti dagli Amish di “Witness”. O una coppia epifanizzata nelle Songs di Leonard Cohen.

 

Seafaring Song, picking pastorale con strumentazione d’archi e d’organetto, sembra una pagina sottratta al diario di bordo di un lupo di mare stile Jack London, impaniato nella malia delle sirene di Ulisse. In Raven, danse macabre degna della colonna sonora d’un polar, Edgar Allan Poe viene resuscitato con la lirica essenzialità d’un Joseph O’Connor e un arrangiamento alla Serge Gainsbourg. Salvation è un salmo country alla Leonard Cohen con cori gospel bisbigliati in sottofondo; Who Built The Road, soffice e morbosa, è l’idillio di due vagabondi quasi “chapliniani”, anche se stavolta, ad attenderli in fondo al Sunset Boulevard, non c’è l’omino col bastone ma la ghigliottina di “Monsieur Verdoux”.

Come on over (turn me on), down tempo noir e jazzato con quel tema d’archi che è quasi una citazione dei primi Portishead; Back Burner, uno spiritual lascivo (a ritmo di tamburi, marimbas e basso anfrattuoso) come il gemito d’un forestiero che s’incunea fra le imposte d’un bordello di Bourbon Street. The Flame That Burns è un Hazlewood/Sinatra a tempo di rag; Shot Gun Blues, uno stomp da palude cajun che suona alla maniera di un 78 giri rubato alla collezione di Alan Lomax, con tanto di finti fruscii del vinile. Keep Me In Mind Sweetheart, un waltzing segaligno corredato da un duetto alla “June & Johnny”; Something to Believe, una deliziosa filastrocca, un “coheniano” cantico delle creature, mentre in Trouble e Sally Don’t You Cry, un hammond quasi monastico contrappunta delicatissimi inni a due voci.

Il secondogenito della coppia, ascolto dopo ascolto, cresce sano, libero e forte lungo i romiti sentieri di una musica racchiusa fra le due sponde anglofone dell’Atlantico. Personalmente, non vedo l’ora di ammirarli dal vivo, il 31 corrente mese, all’Estragon di Bologna. 

Il biglietto è pronto. Vi saprò dire.

V Voti

Voto degli utenti: 6,8/10 in media su 14 voti.

C Commenti

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TheManMachine alle 0:50 del 9 maggio 2008 ha scritto:

Gran bella recensione Simone! Inizi a leggere le prime righe ed è fatta! Subito rimani piacevolmente irretito dalla capacità che hai come pochi di abbozzare storie in cui vivono personaggi in carne ed ossa, tra musica, citazioni colte, e sprazzi di quotidiano. Il disco ancora non lo conosco ma l'alta quotazione da te assegnata invita ad approfondire. A presto e complimenti!

Alessandro Pascale (ha votato 7 questo disco) alle 11:55 del 12 maggio 2008 ha scritto:

solito Lanegan

quel tipo che lo sfotteva non ha in effetti proprio tutti i torti...ormai lanegan lo si trova ovunque, come ti giri ha avviato una nuova collaborazione

certo questo disco non è male e la sua buona figura la fa. Certo però che quando canta di salvezza in stile Johnny Cash un pò di nervoso me lo fa venire. La varietà dei generi è comunque lodevole. Ebbravo Simo!

.... alle 18:12 del 13 maggio 2008 ha scritto:

che bella recensione, devo colmare subito questa lacuna...non li conoscevo

Lezabeth Scott (ha votato 8 questo disco) alle 16:57 del 16 maggio 2008 ha scritto:

Oh signore, mi metti in difficolta, voglio venirci pure io a Bologna! Disco bello, bello, c'è poco da fare...

loson (ha votato 6 questo disco) alle 17:27 del 19 maggio 2008 ha scritto:

Mah...dischetto. In pratica una parodia "crepuscolare" dei duetti storici fra Nancy Sinatra e Lee Hazelwood, con due differenze: Lanegan non è Hazelwood, per quanto si sforzi di imitarlo; la Campbell sarà pure più carina di Nancy Sinatra ma non ha la sua voce. Per il resto, bella recensione.

simone coacci, autore, alle 18:07 del 19 maggio 2008 ha scritto:

Grazie a tutti, troppo magnanimi, as usual.

X Lizabeth: io ci sarò, se vuoi t'accompagno

X Loson: te invece t'aspetto sotto casa, così vedi se parli ancora male del Mark... ihihihih

Scherzo, mon chere.

Saluti e baci (questi, solo alle due fanciulle)

loson (ha votato 6 questo disco) alle 18:18 del 19 maggio 2008 ha scritto:

RE:

Non ci sono più i Lanegan di una volta, caro mio, hihihi... ;D

REBBY (ha votato 9 questo disco) alle 8:30 del 20 maggio 2008 ha scritto:

Non ci sono più neanche i Rebby di una volta o i

Loson di una volta: ci sono quelli di adesso.

Per quanto rigurda Lanegan invecchia proprio bene.

Spero di fare lo stesso.

Io preferisco il lupo in coppia con il suo amico

Greg coyote, ma anche con capuccetto rosso é un

bel sentire (sopratutto da quando Isobel si è

decisa a far cantare a lui tutte le canzoni).

So di non essere obiettivo, ma soggettivo:

loson (ha votato 6 questo disco) alle 11:16 del 20 maggio 2008 ha scritto:

RE:

Per l'appunto, Rebby: il Lanegan di una volta mi piaceva, quello di oggi no. Tutto qui.

Il disco in questione è senza dubbio meglio arrangiato del predecessore e contiene qualche canzone più consistente ("Raven", "Come On Over"), ma nel complesso ha confermato i miei timori.

eddie (ha votato 6 questo disco) alle 11:33 del 22 maggio 2008 ha scritto:

carino, ma sono già alla seconda prova ora basta!

fabfabfab (ha votato 5 questo disco) alle 9:25 del 2 luglio 2008 ha scritto:

Già presenti nel primo, i dubbi crescono con questa seconda prova. Isobel sarà anche carina, ma quella voce da Jane Birkin strangolata ha stancato. Lanegan è sempre bravo, dovrebbe solo limitare le uscite. Probabilmente il prossimo anno si sposa mia sorella: quasi quasi lo chiamo ...

Jokerman (ha votato 6 questo disco) alle 1:46 del 10 settembre 2008 ha scritto:

Nonostante a tratti mi annoi un pò... non posso esimermi dal riconoscere indubbi meriti di " cazzutaggine" al buon vecchio Lanegan. A Bologna non mancherò.

P.S. Concordo con Loson : non ci sono più i Lanegan di una volta.

REBBY (ha votato 9 questo disco) alle 15:59 del 10 settembre 2008 ha scritto:

Hai inventato la macchina del tempo?

Il concerto è stato fatto qualche mese fa.

Non ci sono più i Jokerman di una volta.

(p.s. sto scherzando, che nessun s'offenda)

Jokerman (ha votato 6 questo disco) alle 16:16 del 10 settembre 2008 ha scritto:

Non mi offendo affatto...figurati, ma il mio "a Bologna non mancherò" era ironico...visto che il mio commento, essendomi appena iscritto, seguiva i vostri a quasi 4 mesi di distanza. Certo...immagino che l'ora tarda non abbia ispirato molto il mio senso ironico...la prossima volta mi farò aiutare da una buona boccia di Whiskey.

P.S. Quindi REBBY... ci vediamo a Bologna, ok?

REBBY (ha votato 9 questo disco) alle 16:24 del 10 settembre 2008 ha scritto:

A Bologna è difficile, ma se passi da Mantova

prometto che ti offro da bere (magari qualcosa

di più leggero). L'UOMO RAGNO

Jokerman (ha votato 6 questo disco) alle 16:30 del 10 settembre 2008 ha scritto:

Mmmm ...come immaginavo... mi sa che le origini del mio nik siano state fraintese.

Saluti REBBY e... occhio al Goblin!

rael (ha votato 8 questo disco) alle 10:48 del primo ottobre 2008 ha scritto:

scorre che è un piacere.

george (ha votato 6 questo disco) alle 21:23 del 16 dicembre 2008 ha scritto:

mmm

io sono un gran fan di lanegan...quando apre bocca mi butto in ginocchio. Ma quando è troppo è troppo. Non ci fosse la voce del mio eroe avrei dato una stella in meno.