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R Recensione

7/10

Laura Marling

I Speak Because I Can

La possibilità di fallire, certamente umana ed ancora più comprensibile, data la giovanissima età che si porta appresso, non sembra appartenere al corredo genotipico di Laura Marling, appena vent’anni e sentirsene almeno dieci in più. Lei parla perché può: duplice schiaffo a tutte le signorine wannabe che cambiano acconciatura a ritmo country. Ma il talento non si compra su Facebook (su, selezionate “mi piace”!). Nemmeno il somigliare indifferentemente a Dolores O’Riordan, Amy MacDonald, Joan Baez e Grace Slick, direte. Che dislivello di paragoni!, risponderò. Eppure, riuscire a far breccia nei cuori stanchi di chi si porta appresso anni ed anni di caricature dei grandi maestri di songwriting – non parlo di me, addirittura più imberbe della signorina in questione – significa qualcosa. Per chi coltivasse ancora qualche dubbio, ecco arrivare con prontezza il secondo capitolo di una piccola carriera già degna di nota, che segue a ruota, a nemmeno due anni di distanza, “Alas I Cannot Swim”, la semplicità e la tradizione to the (flower) power con una capacità di scrittura, nera e zimmermaniana, sugli scudi.

Viva la sincerità. Laura Marling è il simbolo vivente del neo-folk (quello non apertamente neo-nazi, quantomeno!): con il cuore impegnato a casa Mumford, prima ancora da Noah e le sue balene, in una cricca che, la si giri come si vuole, si chiude attorno a quello scapestrato di Devendra Banhart. Epperò poi si assiste ad un’apertura come “Devil’s Spoke”, un blues per chitarra e banjo assetato di tribalismi, slabbrato in un tam tam dove si innalzano, rapide, le vampe della pira attorno alla quale è stato composto. Un brano eccezionale, che sa di Missisippi e baracche, forma pop e disfacimento cajun, roba da masserizia nera o, al massimo, da Johnny Cash: ma la carta d’identità è fissa su 1990. Fatto sta che il pugno allo stomaco arriva, rettilineo, semplice e pulito come la musica che accompagna. Tutto il mood del disco sembra essersi, in qualche modo, disfatto della tetra solarità dell’esordio, rinunciando ad ampie fette di luce sonora per immergersi in atmosfere più consone ai testi che le accompagnano, incentrati sul senso di responsabilità di diventare donna (e artista compiuta?).

Il peso della crescita, in taluni frangenti, è evidente, specialmente quando proprio non riesce a contenere i paragoni impietosi per simultaneità (una spoglia, appalachiana “What He Wrote”). In questo, la freschezza e la solidità dell’album a volte vacillano, mostrando le smagliature di pezzi carini ma fin troppo raccolti (la bucolica “Made By Maid”, non so perché, mi ha riportato alla mente Xavier Rudd). Sono momenti, in ogni caso, rimasti per la maggiore rari ed isolati, anche perché la ridotta quantità di carne al fuoco non permette grossi sbagli. Che, infatti, non vi sono. Margini di sviluppo si abbarbicano generosi un po’ ovunque, come sulla murder ballad di “Alpha Shallows” rivista da Marissa Nadler o, al contrario, nel lindo fingerpicking, foderato di archi ed ottoni, in “Goodbye England (Covered In Snow)”. L’effetto che si ottiene è simile a Shania Twain che prova il corno in camera di F.S. Blumm. Lo sbarazzino anthem pop folkDarkness Descends”, infine, ha una struttura così solida, forgiata da anni di pratica, da non cadere nemmeno a cannonate, con accelerate alla “You’re No God” torchiate da influenze soul.

Sì, forse il difetto di “Devil’s Spoke” è di buttare un po’ di sabbia negli occhi, e far riconoscere in ritardo i limiti di “I Speak Because I Can”, pur comunque buono e capace di momenti ugualmente incisivi, da rintracciarsi, per la maggiore, nel languido, scheletrico pathos di “Blackberry Stone” e nell’ibrido Dylan-Young della title-track.

Ma a vent’anni, voi, a che cosa pensavate?

 

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Voto degli utenti: 6,8/10 in media su 6 voti.
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Ipomea 8/10
Wrinzo 8/10
rael 7/10

C Commenti

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Ipomea (ha votato 8 questo disco) alle 22:33 del 14 maggio 2010 ha scritto:

Sto ascoltando il disco da quando ho visto la recensione. E' il genere che mi piace, ma mi piace la sua voce fresca ma nello stesso tempo non infantile.

Devo dire che anche le musiche, per niente scontate, hanno il pregio di non sembrare tutte uguali a un orecchio inesperto come il mio.

Grazie per la recensione.