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R Recensione

9/10

Laura Marling

Once I Was An Eagle

All I see is road / No one takes me home / Where, where can I go?

Il Cane disegnato dalla penna di Daniel Pennac, in Cabot-Caboche, sotto la fragile scorza moralistica dell'intreccio infantile vive una tremenda dissociazione. È sospeso, cioè, tra il suo essere coscientemente indomabile, selvaggio, primitivo e il giogo della mansuetudine che, come una maledizione cronenberghiana, si trasferisce dagli aviti progenitori. Quattro zampe, un'elementare capacità di coordinazione ed associazione, un inferno di bitume e acciaio chiamato autostrada come scenario rettilineo di una vita tutta curve: dove, dove può andare? Per un attimo, solo per un attimo, Il Cane si scinde. La fattualità, cioè, diventa cosa altra dalla potenzialità: ciò che il personaggio potrebbe essere – e magari è stato, oppure tende disperatamente ad essere – si separa da ciò che il personaggio, in fondo, è. Laura Marling è una bionda randagia dell'Hampshire di ventitré anni (scrivo questa cifra e mi spavento in automatico, pensando a cosa ci sia dietro) iniziata al nomadismo ancora anni fa, sparuta neo maggiorenne, da quel vecchio freak – ed oggi, come tutti i freak, rispettabile personalità ripulita da ogni stramberia – di Devendra Banhart. Sa cos'è la strada – il vicolo polveroso della sua campagna, il grigio serpente che taglia le pianure – e ne ha assaggiato ogni umore. She speaks because she can. Questo trotterellare si apre inevitabilmente sulla narrazione di “Where Can I Go?”, dove il folk inglese incontra l'Hammond e rivernicia ogni sillaba, ogni particella di soul. Laura è la reincarnazione vagabonda del demonio tentatore di Ivan Karamazov e Robert Johnson, di Jimmy Page e Sam Cook: un'anima errante che rinchiude la sue tensioni in pennellate di idillio bucolico, la tradizione hippy incastrata nel moderno e fatta propria. Una beat girl priva di efedrina.

Ogni disordine interiore viene innescato, come lo sparo dall'incontro di fuoco e polvere pirica, da un elemento esterno. Nikolaj Goljadkin proietta la sua mente di frustrato impiegato statale in una Pietroburgo di gelido terrore, dove i cadaveri dei contadini che morirono per l'impresa impossibile ancora urlano la loro alienazione dal sottosuolo. La gelosia frana sulla psiche di Diane Selwyn e si contorce orribilmente sotto le ferite del rimorso, che violentemente, manicheamente, crea un altro Sé. In Laura Marling convivono uno spirito nero, sudicio, peccaminoso, ed un anelito costante al candore, alla purezza. Nel notevolissimo terzo capitolo “A Creature I Don't Know” (per l'appunto) la prima tradizione veniva portata avanti da “The Beast” (diretta, evoluta discendente delle precedenti “Devil's Spoke” e “Night Terror”, verrebbe da rilevare), la seconda spinta si concretizzava nella catarsi conclusiva di “Sophia” e “All My Rage”. “Once I Was An Eagle” – il vedere il mondo con altri occhi, da differenti altezze – polarizza il discorso su due superbe traccianti. Capovolti gli standard grondanti sangue di Ella Fitzgerald e Nina Simone, Laura si erge, come un faro nell'oscurità, a cantare il maledettismo decadente, a farsi profeta di un blues stolido ed ossessivo, un delirio di tam-tam cullato da una voce che è megafono, artiglio, sentenza (“Master Hunter”): Leadbelly novant'anni dopo e, sul fondo, quell'attrazione atavica per il gesto estremo, che è insieme paura ed esorcismo (“I was such a weird teenager”, diceva di sé la diretta interessata fino a poco tempo fa). Passa qualche minuto, e la ragazzina col fuoco negli occhi e la voce arrochita invoca una redenzione monastica, scavando all'interno del proprio alter ego. La mangiauomini sull'orlo del fiume si confessa, ora, in una costruzione severa, classica nell'accezione stilistica dell'approccio chitarristico, un flusso di coscienza accarezzato da un violoncello, un sonetto la cui ricorsività è mitigata da una sensibilità sotterranea assolutamente percepibile. “I see a lady dance yesterday / She is easily swayed / I cannot be tossed / And turned in this way / I am no one's tiny dancer”, sussurra Laura, cavalcando la brezza che agita il sipario di “Little Love Caster”: l'espressione di un'indipendenza che, allo stesso tempo, è ferrea volontà di non contaminazione.

I was an eagle, and you were a dove

Laura Marling è stata informalmente eletta la “nuova” voce folk ufficiale d'Albione, una giovane e fragile musa che trascende la propria fisicità e la propria presenza scenica per aggrapparsi, direttamente, al nocciolo delle canzoni. Se oggi si può parlare della Marling come di una straordinaria artista a tutto tondo, merito speciale va senza fallo attribuito ad una metamorfosi progressiva che su di lei ha agito sin dai primissimi istanti del suo debutto in “società”. “Once I Was An Eagle” non sarebbe il mare magnum che in realtà è, se non fosse per tutto un complesso di passaggi evolutivi intermedi che, come su una cangiante nuova tela di Penelope, hanno concretizzato al massimo un talento cristallino. Si pensi anche solo alle parole spese, un paio d'anni orsono, per “A Creature I Don't Know”, dove si sentiva la ragazzina stravolgere la tradizione. Oggi la ragazzina è la tradizione. Filtrata attraverso indubbie influenze, ed un gusto d'insieme spiccatamente britannico, ma capace in sintesi di codificare essa stessa un proprio vestito. Al quarto full length, a ventitré anni, il rapace Marling annichilisce la concorrenza e sbaraglia le colombe avversarie, mettendo in mostra una maturità mentale, concettuale e strumentale dipanatasi al meglio nel rettangolo di ferro che apre il disco. Di fatto un blocco unico di quindici minuti, un saggio di esemplare ritrattistica che converge su molteplici, prominenti punti di fuga, i quattro pezzi che inaugurano le danze sono un sunto totalizzante dell'intero lavoro: la discrepante analogia che mette assieme i sistri minimali di “Take The Night Off” e la crescita di tono della title-track (con ritornello che è quasi elegia a sé) è già raffigurabile secondo i parametri dissociativi di cui sopra, e così il chit-chat spigliato di “You Know” (qui sì, Joni Mitchell) si stempera nella verbosità cantautorale di “Breathe”, con andamento spiraliforme ed essenziali integrazioni armoniche. Una rapsodia perfettamente compiuta in sé stessa, un disco nel disco. Gli archi suonano a festa, celebrando altresì il declino: “Interlude”, come alla fine di un atto teatrale, segna la cesura.

Il mondo di Laura Marling è un intrico indissolubile di fili rossi e discontinuità. Ogni pertugio di “Once I Was An Eagle” costituisce, potenzialmente, un ricettacolo di infinite dissertazioni: cosa che, doveroso sottolinearlo, non accadeva con i capitoli precedenti, pervasi da cima a fondo da un senso di lettura e decodifica pressoché unidirezionale. Vistosa, nella sua non uniformazione, è “Little Bird”, che si apre come una ballata folk di fine anni '60, costruita su arpeggi barocchi e ombreggiature di semitoni. “Little bird, if only I knew / Maybe I'd be more like you”, parlotta sardonica la Marling, e l'atmosfera cambia radicalmente colore: si cavalca ora una grandeur melodica d'altri tempi, con interferenze bossa che distorcono la percezione lineare del brano. Un colpo da biliardo che riluce, come un lampo, sopra a manifatture di più consona strutturazione, come il gospel laico di “Pray For Me”, lo spigliato e macabro passo di danza di “Undine” (ancora l'antica mitologia acquatica, con un ventaglio sconfinato di sottotesto ad aprirsi innanzi: agli ascoltatori più attenti il piacere dell'approfondimento, tra Ravel e Čajkovskij) e nella murder ballad funerea di “Devil's Resting Place”, tra Nick Cave e l'ultima Lykke Li.

Come in ogni romanzo degno di questo nome, l'epopea giunge al termine via epilogo. “Once I Was An Eagle” cala il sipario su di un esorcismo d'amore, “Saved These Words”, che riprende la linea melodica dell'accoppiata iniziale di tracklist, dilatandola e facendola correre incontro ad una catarsi solare. Poi, lo schiaffo dato col sorriso: thank you, naivety, for failing me again. Dato che l'ultima volta le mie previsioni si sono rivelate azzeccate, gioco tutto me stesso che la piccola, diabolica Laura ci ha ancora una volta presi in giro...

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Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 31 voti.
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loson 9/10
Cas 8,5/10
salvatore 6,5/10
gramsci 8,5/10
DonJunio 8,5/10
mavri 7/10
zagor 8/10
sfos 9/10
creep 8,5/10
rael 6/10
Wrinzo 9/10
REBBY 9/10
maxcoro 8,5/10
unknown 10/10
max997 6/10

C Commenti

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loson (ha votato 9 questo disco) alle 2:27 del primo luglio 2013 ha scritto:

Ho seminato commenti su questo disco un po' ovunque, qui su SdM, non mi va di copiaincollarli. Dico solo che, a mio giudizio (e io sono un fesso), si tratta del disco folk più bello e importante da almeno dieci anni a questa parte. Da solo spazza via tutto il carrozzone di free-folksters petulanti, disgrazia dell'intero Pianeta, i quali hanno fatto gridare al miracolo più d'un critico. Un disco arcano, gotico, tribale, ancestrale. Tutti a dire Joni Mitchell o Sandy Denny, quando è lampante che il vero punto di riferimento per Laura Marling, oggi come oggi (e dopo ben tre album in continuo crescendo), sia soltanto Laura Marling. Recensione bellissima ma troppo complessa per una mente semplice qual'io sono. Bravissimo Marco.

FrancescoB (ha votato 7,5 questo disco) alle 9:24 del primo luglio 2013 ha scritto:

E' vero Marco sei un filosofo dentro, a volte sei oltre

Io sono un filo meno entusiasta di voi, ma questo rimane uno fra i dischi più belli dell'anno. Lacrime, pensieri tenebrosi e tanta, tanta intelligenza. Laura è una fuoriclasse.

Cas (ha votato 8,5 questo disco) alle 10:12 del primo luglio 2013 ha scritto:

Marco, hai proprio ragione: Laura Marling è la tradizione. Perché d'ora in poi (a dire il vero già dallo scorso A creature I Don't Know che preferisco, ma di poco) chiunque voglia fare i conti col genere deve passare da qui. Non poco, per una 23enne Comunque è pazzesca la sua padronanza di stili, tecniche, la sua espressività, la sua lucidità. Qui dentro c'è in rassegna, metabolizzato e fatto proprio, il folk degli ultimi 50 anni. Eppure tutto suona, in qualche modo, nuovo.

Grandissimo album, e recensione sontuosa!

Franz Bungaro alle 10:44 del primo luglio 2013 ha scritto:

Qua le cose sono due, o io non ci capisco un cavolo (in verità avevo scritto "un cazzo", poi l'ho modificata) di musica (e ci sta tutta, anzi, io propendo decisamente per questa di alternativa) oppure questo disco è una lagna dilania maroni mica da poco...sembra di ascoltare la stessa canzone 16 volte con minime ed irrilevanti variazioni...ma poichè vi stimo molto tutti, in particolare Marco (a proposito, che recensione, tu sei un dono!) prometto di non esprimere giudizi numerici fino a quando non avrò ascoltato bene, tante volte e per intero, l'album. Non è detto che ci riesca subito, non è detto che ci riesca mai. C'ho provato più volte, ma non ci sono mai riuscito. Ma prometto di impegnarmi!

Cas (ha votato 8,5 questo disco) alle 13:15 del primo luglio 2013 ha scritto:

ti risponde uno che apprezza l'album, e molto. però meno rispetto al predecessore. se quello infatti era un fulmine a ciel sereno, un guizzo di creatività schietto e netto, questo è più lento, più riflessivo. monocorde no, però. prendi un pezzo come Undine, ad esempio: le variazioni sono tutt'altro che minime, anzi, il gioco funziona perché i cambi sono perfetti e "indolori". Detto questo credo che sarebbe meglio -ma è una mia opinione- iniziare dallo scorso lavoro, per apprezzare al meglio la Marling...

Franz Bungaro alle 13:30 del primo luglio 2013 ha scritto:

Ascolterò sicuramente di nuovo l'album, anche perchè se tu, Marco e Matteo siete così convinti, allora un altro paio di possibilità gliele devo dare. Non mi piace però quando dici, che per apprezzarla devo cominciare ad ascoltare il precedente. Un album ti piace o non ti piace. Così come non mi piacciono quelli che dicono dei film, "e si, ma per apprezzarlo devi vederlo più volte" (me l'hanno detto per esempio, dell'ultimo di Sorrentino, che non mi è piaciuto troppo). Detto ciò, vedremo (e sentiremo!), ma sin da ora credo di essere abbastanza sicuro del fatto che non sia, a mio modesto avviso, un disco epocale

Filippo Maradei (ha votato 5,5 questo disco) alle 12:03 del primo luglio 2013 ha scritto:

No, non mi è piaciuto: mi annoia troppo, ogni volta fatico ad andare oltre la quarta traccia... ma per correttezza di giudizio l'ho fatto, anche per rispetto nei confronti di Marco (recensione troppo bella per quest'album, valgono molto più le tue parole che i versi da litania della Marling... anche se il problema, per me, non è tanto la sua voce - bella in realtà - ma tutto l'accompagnamento chitarristico, monotono e stracciamaroni, sì). Non so, vi vedo tutti entusiasti a parte me e Franz e mi faccio due domande, magari non l'abbiamo capito solo noi.. però boh, per me una Cat Power o un Josh T. Pearson se la magnano a colazione, pranzo e cena..

Filippo Maradei (ha votato 5,5 questo disco) alle 12:06 del primo luglio 2013 ha scritto:

Aggiungo per precisazione che non le ho dato un brutto voto per abbassarle la media e riportare il mio Blake in testa al rullo, ma proprio perché non mi è piaciuto. Sono stronzo, ma non così tanto!

salvatore (ha votato 6,5 questo disco) alle 12:43 del primo luglio 2013 ha scritto:

No, nemmeno io sono entusiasta... Noioso (a tratti) anche per me. Ci sono intuizioni notevoli ("Where Can I Go?" è meravigliosa, e meravigliosa tanto, e ha una melodia da capogiro), ma poi passano minuti e minuti che mi lasciano perplesso (una "When Were You Happy" o una "Love be brave", per esempio, mi dicono poco o niente: e ce ne sono diverse così, per me). C'è ricerca, indubbiamente, di scrittura, vocale, e ritmica (la chitarra, a volte, sembra una batteria), ma i brani non riescono ad entusiasmarmi. Passano 10 minuti e ho l'impressione che ne siano passati 30 (brutto segno). Insomma, un folk troppo complesso ("arcano, gotico, tribale, ancestrale", esattamente), per i miei gusti, che perde in piacevolezza di ascolto e in carica e immediatezza melodiche.

Cat Power è di un altro pianeta anche per me (ma è di un altro pianeta rispetto a tutte le altre), ma poi lei è folk e tante altre cose. Una Marissa Nadler - tanto per fare il nome di una folk singer più o meno pura, quindi più o meno accostabile alla Marling - ha realizzato album più convincenti, a mio avviso...

loson (ha votato 9 questo disco) alle 15:20 del primo luglio 2013 ha scritto:

"una Cat Power o un Josh T. Pearson se la magnano a colazione, pranzo e cena.." ---> Gesùgiuseppemaria guarda te cosa mi tocca leggere! Passi Cat Power, grandissima (anche se per me lei e Laura ora stanno sullo stesso livello), ma Josh T. Pearson è proprio l'immondo, Fil, 'namo su...

Filippo Maradei (ha votato 5,5 questo disco) alle 15:28 del primo luglio 2013 ha scritto:

"L'immondo"?! Te possino!! Ahahahahah non mi convincerai mai, Pearson-Ellis formano insieme un'accoppiata invincibile! Ciao ciao Lauretta!!

loson (ha votato 9 questo disco) alle 15:39 del primo luglio 2013 ha scritto:

"Pearson-Ellis formano insieme un'accoppiata invincibile!" ---> Da guinness dei primati, più che altro: sommando la lunghezza delle loro barbe si ottiene l'esatta altezza di Pupo...

Filippo Maradei (ha votato 5,5 questo disco) alle 15:46 del primo luglio 2013 ha scritto:

Ahahahahahahahah!! Che immagine malata... io pensavo più a due ecosistemi autosufficienti, flora e fauna e ruscelli! Ma io sono quello romantico, tu quello cinico!

loson (ha votato 9 questo disco) alle 16:07 del primo luglio 2013 ha scritto:

Eheheh, so' misantropo io...

condor1972 alle 8:37 del 27 ottobre 2013 ha scritto:

ma...ho ascoltato josh t. Pearson mi pare di una noia mortale mentre Cat Power è molto brava ma esce dal genere folk. con quest'album Laura Marling a mio parere rimane su temi più radicati nella tradizione folk cantautoriale e ritengo lodevole il suo intento... occhio a cosa scrivi e soprattutto a cosa mangi a colazione pranzo e cena...

Metanoia70 alle 12:31 del primo luglio 2013 ha scritto:

Non voglio entrare nel merito della recensione, ma riflettere sul voto elevatissimo (9) dato a questo disco. Potrà essere bello quanto volete, ma un 9 si da solo a veri e propri capolavori che fanno la storia della musica. Da qui parto per esprimere un forte disagio sul metro di valutazione numerica presente su Storiadellamusica.it che, a voler essere fin troppo genitli, dire che è di manica larga è essere parecchio generosi. Basta confrontare i "voti artificiali" di Storiadellamusica.it con altri siti-fanzine autorevoli nel campo - stando soltanto al disco qui votato, qui gli viene affibbiato "9", invece su altri siti, siamo sul "6" andante - per comprendre che forse qui si pecca di esagerazione il che, alla lunga, può ritorcersi contro la stessa credibilità del sito. Perché dopo un pò, se uno si rende conto che i voti vengono dati alla carlona (gli 8 e i 9 che si sprecano), finirà per non dare neanche più credito alle recensioni e come succedere per tutti i siti, finirà per trasmigrare altrove. Dare un voto è sempre cosa delicatissima, per cui è meglio non strafare, perché col tempo finisce per ritorcersi contro la credibilità del sito.

Cas (ha votato 8,5 questo disco) alle 12:44 del primo luglio 2013 ha scritto:

il metascore di metacritic è 86 su 100.

è raro trovare qualcuno che dia meno di 8 all'album (pitchfork da 8.1, pastemagazine 8.5, il guardian 8, NME 9, popmatters 9)...

bo', di che stai parlando?

Franz Bungaro alle 12:44 del primo luglio 2013 ha scritto:

In linea di massima puoi pure aver ragione, ma dare i voti, te lo assicuro,è la cosa più difficile in una recensione. Autorevoli giornali (Blow Up, per esempio) neanche lo danno il voto, ed ha senso farlo, anche perchè il voto influenza la lettura della recensione (quante volte ci avviciniamo alla recensione solo perchè incuriositi dal voto?, quante volte non leggiamo perchè è un misero 6?) ma per quanto riguarda questo disco io ho letto la recensione di Popmatters (9), Pitchfork (8.1) e Sentireascoltare (7.. Non mi sembra che ci sia il "6 andante" che dici tu. Forse fai riferimento al 6 di Ondarock, ma da qui a dire che Ondarock, per quanto autorevolissima, segni il passo della critica mondiale, ce ne passa. Cmq la tua considerazione deve far riflettere, ed io, da redattore, come tutti gli altri qui, cerchiamo sempre di ponderare bene il voto. Ma, ripeto, è la cosa più difficile da fare.

Franz Bungaro alle 12:46 del primo luglio 2013 ha scritto:

*sentireascoltare 7 . 8

Marco_Biasio, autore, alle 14:11 del primo luglio 2013 ha scritto:

Caro Metanoia, qui dentro tutti sanno, ormai da anni, qual è la mia posizione sul tema "voto". Sono allergico alle votazioni alte e spesso io per primo faccio il downgrade dei miei stessi voti, anche quando parlo di un disco che mi ha entusiasmato. Non so nemmeno da quanto tempo non mettessi un 9. Il voto ha una grande importanza, certo, e riconosco che spesso su Storiadellamusica - ma come ovunque, oserei dire - le maniche sono belle larghe. Inevitabile che sia così, quando si mettono a contatto tante teste, ognuna pensante (si spera) ed ognuna con il proprio metodo di giudizio insindacabile. Entro per un attimo nel merito di questo voto, e sinteticamente ne spiego le ragioni: Laura Marling ha tre anni più di me (per dire che è giovanissima), è al quarto disco (per dire che è prolifica) e di album in album ha accresciuto la complessità delle proprie trame musicali e liriche (per dire che non si è adagiata sugli allori e ha sempre preferito rischiare). Se uno seguisse il filo rosso che parte da Alas I Cannot Swim fino a questo Once I Was An Eagle potrebbe leggervi la storia di un'evoluzione costante e portentosa. Su SdM ne ho scritto sempre io, e credo che questa "evoluzione" si percepisca, e sia caratteristica, anche attraverso le varie recensioni. Non a caso, in calce all'articolo che scrissi un paio d'anni fa su A Creature I Don't Know, dissi che il capolavoro (a tutto tondo) era nell'aria. Perché ritengo che Once I Was An Eagle sia un disco da 9? Perché nessuna cantautrice, a ventitré anni, è capace di esprimere la propria scrittura attraverso mezzi così ricercati ed elevati. Perché la sua proposta si è radicalizzata definitivamente, abbandonando la "raccolta" di canzoni in virtù dell'"opera" folk (apro e chiudo velocemente una parentesi: qui secondo me sta la sensazione di pesantezza che avvertono Franz, Filippo e Salvatore e che non fa loro apprezzare il disco. Nessuna fetta di prosciutto su nessun orecchio. Semplicemente Laura Marling ora è un'artista che, nella codifica di un messaggio integralmente personale, polarizza). Perché, appunto, Laura non è più un riferimento alla tradizione, un doppione che si specchia nella canzone popolare: essa stessa è divenuta, immersa in quel calderone, tradizione. Il tutto, lo rimarco, ad un'età in cui si pensa al massimo a ubriacarsi fuori casa, non a scrivere dischi come questo... Detto ciò, Metanoia, tolto appunto Ondarock - una recensione peraltro discutibile, sulla quale ho espresso tutte le mie perplessità al diretto interessato - questo disco è stato accolto in maniera trionfale quasi ovunque, tanto appunto da far passare Laura come la nuova voce folk "ufficiale" d'Inghilterra.

Franz Bungaro alle 8:59 del 2 luglio 2013 ha scritto:

Rimanendo ancorati al tema del disco, Marco, mi stai dicendo che tu sei nato 3 anni dopo le imprese di Totò Schillaci ad Italia '90, che non hai mai visto una puntata di Drive-in (il Tenerone sai cos'è? cazzo, il Teneroneee!) e che non hai gridato al miracolo quando sono entrati in commercio gli stereo con l'autoreverse per le audiocassette? Io mi sa che mi assento per un paio di anni, va.

Marco_Biasio, autore, alle 13:16 del 2 luglio 2013 ha scritto:

Ahah, mi sono sottovalutato: Laura ha DUE anni più di me

unknown (ha votato 10 questo disco) alle 12:42 del primo luglio 2013 ha scritto:

ho comperato il cd ..visto che se ne parlava molto di laura marling..volevo vedere se i paragoni con joni non erano esagerati

al primo ascolto du maroni mica da ridere

al secondo...mappero..

al terzo ha comiciato a prendermi

e brava molto brava secondo me non e' ancora arrivata al suo capolavoro ...se questo come qualcuno dice il suo miglior lavoro

preferisco astenermi momentaneamente sul dare il voto ( sono tra il 7 e il 7,5) perche' non conosco la storia di questa cantante e voglio riascoltare un po il cd

ho deciso di comprare anche " a creature" per comprendere meglio

FrancescoB (ha votato 7,5 questo disco) alle 13:59 del primo luglio 2013 ha scritto:

Il voto esprime e banalizza il giudizio dell'autore, che è sempre profondamente personale. Anche io riservo il "9" a dischi che considero capolavori assoluti (questo per me non lo è, fermandosi sulla soglia dell'ottimo, grande disco), ma non vedo perché uno dovrebbe limitarsi a prescindere per non urtare la suscettibilità del lettore, o per allinearsi a una presunta linea critica che si assume (sbagliando) come dominante. Ondarock è naturalmente liberissima di giudicare il dsco della Marling come da "6", Marco è altrettanto libero di classificarlo come il disco dell'anno e un capolavoro.

Io entrerei molto più nel merito della recensione e del lavoro in sé, come hanno fatto Filippo, Salvatore e Franz.

loson (ha votato 9 questo disco) alle 14:54 del primo luglio 2013 ha scritto:

Esorto tutti voi a concentrarvi sul proliferare di suoni, sulle partiture in apparenza minimali ma intricate, quasi impressioniste, che punteggiano Once I Was An Eagle e in special modo la prima parte del disco: un simile modus operandi l'ho sentito solo in "Stormcock" di Roy Harper, nel quale, peraltro, manca del tutto la componente percussiva. Sul fatto che le melodie "non entusiasmino" posso solo ipotizzare - oltre alla possibile e sacrosanta divergenza di gusti - una scarsa dimestichezza col folk, e non sto parlando del folk cantautorale o dell'indie-folk a cui siamo stati abituati in questi ultimi due decenni: parlo del Folk anglosassone (senza tralasciare influssi americani) nelle sue forme più antiche, primitive (termine da non confondere con "semplici" o "approssimative"), proprio quelle forme attualizzate già a inizio '60s dai Martin Carthy, Shirley Collins, Bert Jansch, proseguendo con Sandy Denny, Roy Harper, June Tabor, Richard Thompson, Nic Jones... La Marling parte da - e fa parte di - una tradizione ben precisa, non di facile presa specie al giorno d'oggi, e con questo album credo sia riuscita, come dice Marco, a radicalizzare uteriormente il suo approccio, emanciparsi dai modelli (cosa già chiaramente avvertibile nel precedente e bellissimo "A Creature I Don't Know") e "polarizzare". Ha creato un mondo tutto suo, traghettando la tradizione di cui sopra in un nuovo tempo e in una nuova cornice "operistica", gotica, tribale (li avete mai sentiti simili tappeti percussivi in un disco folk?) ; senza contare l'aver elaborato un linguaggio canoro che probabilmente resta un unicum del nostro tempo. Se tutto questo non è abbastanza per definire questo album "epocale" non so proprio cos'altro serva. Questo almeno è il mio parere. P.S. Marco, ho particolarmente gradito, fra le tante cose, il tuo aver riconosciuto quelle "interferenze bossa" su Little Bird. A ulteriore dimostrazione di quanto sia complesso il suo songwriting...

fabfabfab alle 15:00 del primo luglio 2013 ha scritto:

Ci sono due frasi che non sopporto più: la prima è "ascoltalo mille volte e vedrai che ti piacerà". Sticazzi, dopo il lavaggio del cervello potrebbe piacermi anche Biagio Antonacci. Un disco mi deve piacere subito, e col tempo mi deve piacere ancora di più. Non devo farmelo entrare in testa a forza. La seconda è "di là dicono che sia una schifezza quindi ne sanno più di voi": e se fosse l'esatto contrario?. Detto qesto, anche a me sembra un buon disco ma non riesco a percepire questo distacco con il resto del genere. Boh, magari se me lo ascolto altre 999 volte forse...

loson (ha votato 9 questo disco) alle 15:25 del primo luglio 2013 ha scritto:

"Boh, magari se me lo ascolto altre 999 volte forse..." ---> Ahahah... Bravo figliolo, e non scordarti le venti Ave Maria e i trenta Padre Nostro...

4AS alle 16:56 del primo luglio 2013 ha scritto:

"Un disco mi deve piacere subito, e col tempo mi deve piacere ancora di più. Non devo farmelo entrare in testa a forza" Ma anche no. E mica si tratta sempre di farselo piacere per forza, semplicemente di capirlo. Esempio: ricordo il primo, traumatico ascolto di "Spirit of Eden" dei Talk Talk tanti anni fa: non comprendevo il senso di quella musica, mi annoiava. Ascoltandolo attentamente, ho cambiato drasticamente idea. E potrei fare tanti altri esempi. Quindi dipende da cosa si ascolta! Sono sicuro che Biagio Antonacci non ti piacerà nemmeno dopo il lavaggio del cervello, anche perché in quel caso non c'è nulla da capire

fabfabfab alle 20:38 del primo luglio 2013 ha scritto:

No ma vedi, io sono così arrogante da ritenermi in grado di capire un disco di musica leggera (per il resto del mondo musicale non mi bastano 30 ascolti) nell'arco di 3/4 ascolti integrali e attenti. In questa prima fase colgo alcune cose che mi invogliano a proseguire, e allora arrivo anche a 100 ascolti con i quali esigo di cogliere sempre nuovi dettagli. Se questo non avviene, mi fermo. Se la sensazione non è positiva (nel senso di gradevole, non di oggettivamente interessante) mi fermo. Sono umano, e chiedo a qualunque esperienza di appagare i miei sensi. Biagio Antonacci forse no (per me Biagio Antonacci è il male assoluto, è la reincarnazione di Adolf Hitler), ma ti assicuro che dopo il martellamento subìto ho apprezzato pezzi di Shakira, Bruno Mars, Patrick Wolf . Mi sono odiato, ma è successo... Riascoltare un disco dopo x anni è diverso, con gli anni i gusti cambiano, non necessariamente in meglio. Quello che a te è successo con i Talk Talk è successo anche a me (con Bob Dylan, ad esempio), ma dopo i primi ascolti (dell'epoca) non mi sono forzato, non ho detto "devo ascoltarlo ancora perchè se no significa che sono un cretino" (ricordi "I vestiti nuovi dell'imperatore"?)... l'ho accantonato è ho detto:"boh, a me questo non piace" tra i fischi e le occhiate sprezzanti di tutti. Si può dconsigliare "ascoltalo e vedrai che ti piacerà", non "ascoltalo fino a che non ti piacerà". Ti concedo: "ascoltalo fra un tot di anni e vedrai che cambierai idea"

Metanoia70 alle 15:42 del primo luglio 2013 ha scritto:

Come ho esordito nel mio messaggio, il mio appunto non era rivolto al disco in sé, quanto al metro di giudizio numerico (i classici voti) che da un pò di tempo a questa parte ha preso piede in Storiadellamusica.it, dove i voti dagli 8 in su sono piuttosto abbondanti (basta vedere quanti dischi del 2013 hanno ricevuto come votazione l’. E’ legittimo che il recensore, che ha avuto modo di ascoltare approfonditamente il disco da lui recensito, possa essere particolarmente preso dall’ascolto di questo o quel cd ed essere quindi propenso a premiarlo con un buon/ottimo voto. Personalmente, senza voler assolutamente giudicare l’operato dei recensori di storiadellamusica.it (che anzi ringrazio perché mi permettono di scoprire dischi che altrimenti a me resterebbero sconosciuti, come quello in questione), ritengo che un voto non debba mai essere isolato dal contesto della musica, di un genere; soprattutto, debba tener conto anche dell’effettiva capacità di un disco di incidere su un preciso filone, e della sua capacità di permanere un punto di riferimento negli anni avvenire. IMHO, solo questo tipo di dischi meritano un voto molto alto, perché o contengono in loro stessi l’essenza di un determinato genere (espresso in modo esemplare), o perché segnano una reale svolta di un genere musicale, facendo da apripista. In soldoni, capisco che dare un voto è tra le cose più difficili e soggettive, ma proprio per questo io mi sentirei di consigliare una maggiore cautela nell’attribuire voti che vadano dall’8 in su.

Marco_Biasio, autore, alle 15:44 del primo luglio 2013 ha scritto:

Ma io difatti ho molto apprezzato il tuo commento, e mi trovo d'accordo con quello che dici. Ne approfitto per specificare che, sì, secondo me questo è un disco epocale perché fungerà da spartiacque nel genere.

Approfitto anche per ringraziare tutti del passaggio e del commento.

loson (ha votato 9 questo disco) alle 16:15 del primo luglio 2013 ha scritto:

"debba tener conto anche dell’effettiva capacità di un disco di incidere su un preciso filone, e della sua capacità di permanere un punto di riferimento negli anni avvenire." ---> Ci si prova, ma la sfera di cristallo non ce l'ha nessuno. Tantissimi sono i dischi del passato che, per il loro potenziale, avrebbero potuto/dovuto incidere profondamente sul loro tempo, ma a volte la cose non vanno come dovrebbero o come sarebbe giusto che andassero. Ciò non significa che quelle opere non restino comunque uniche, originalissime, autentici traguardi della musica tutta.

FrancescoB (ha votato 7,5 questo disco) alle 18:23 del primo luglio 2013 ha scritto:

Metanoia comprendo il tuo discorso e condivido i principi che lo ispirano, ma secondo me SDM è sufficientemente equilibrata, dal punto di vista dei voti: è normale che, visti i molti redattori, viste le centinaia di pubblicazione e di recensioni, si trovi 3-4 dischi sopra il famigerato "8" in un anno solare.

mavri (ha votato 7 questo disco) alle 19:04 del primo luglio 2013 ha scritto:

Un voto deve essere soggettivo. Se ci mettiamo ad annusare l'aria per capire che voto dare ad un disco la recensione perde completamente la sua essenza che è quella di trasferire lo stato d'animo del recensore. Detto questo Ondarock (sito autorevolissimo) è probabilmente la peggior fonte di recensioni italiana. Quando lanci la recensione di un album complesso come Tomorrow's Harvest a meno di 24 ore (20 per l'esattezza, con la notte di mezzo) dallo streaming mondiale dell'album (non pubblicazione) allora si capisce che l'unico obbiettivo è quello di essere i primi e non certo di essere i migliori (bella differenza). Io lo avrò ascoltato almeno 20 volte la prima settimana e non ero ancora convinto di averlo recepito appieno. In ogni caso condivido col fatto che 9 è un voto che andrebbe riservato a lavori davvero eccellenti, memorabili e probabilmente non è questo il caso. L'opera rimane gustosa, da riascoltare di tanto in tanto.

Lezabeth Scott (ha votato 6,5 questo disco) alle 21:10 del primo luglio 2013 ha scritto:

Lei è brava. Anche parecchio bellina. Ma i maroni un pochino li straccia, effettivamente. E non è vergogna ad ammetterlo. Disco lento e prolisso, abbarbicato alla tetta di Joni Mitchell come pochi altri al mondo, sebbene "detournato" con una certa classe. W Storia proprio perchè puoi dire liberamente che il Re è nudo bruco e con gli addominali sgonfi. Altrove ti tieni il 6 o il 9 (o il 69) e porti a casa.

loson (ha votato 9 questo disco) alle 22:34 del primo luglio 2013 ha scritto:

"Disco lento e prolisso" ---> Dai Lezabeth, anche "Hejira" (visto che hai tirato in ballo la tetta di Joni ) mica era così scattante e conciso. Io poi non riesco a vedere 'sta ragazza come succube della Mitchell, davvero. Forse l'aspetto in cui più si sentono legami con la Signora del Canyon è il canto, ma anche qui mi sovvengono più riferimenti: se Laura mutua dalla Mitchell l'affabulazione e l'elasticità ritmica, al tempo stesso ha la solennità ipnotica di Sandy Denny, l'andamento svagato e "impersonale" di Suzanne Vega... Alla fine è Laura Marling e basta, ecco. Comunque ben vengano pareri più severi o semplicemente meno entusiasti, come il tuo.

Marco_Biasio, autore, alle 22:40 del primo luglio 2013 ha scritto:

Ragazzi, questo l'avete visto?

E' uno splendido cortometraggio di diciotto minuti che mette assieme Take The Night Off, I Was An Eagle, You Know e Breathe. Rimette insieme, in poche parole, la suite originaria, accompagnandola ad un vero e proprio filo narrativo che segue a tratti i testi di Laura, a tratti va per i fatti suoi. Bellissimo. E devo dire che, viste da quest'angolazione ancora più "completa", queste canzoni - o, per meglio dire, quest'unica canzone - sono mozzafiato: un unicum invidiabile per densità musicale e lirica. Provate a buttarci un occhio, se vi va.

(ah, io sono sempre d'accordo con Los, sin da quando ha cominciato a commentare qui: quasi non mi pare vero! )

loson (ha votato 9 questo disco) alle 22:52 del primo luglio 2013 ha scritto:

(ah, io sono sempre d'accordo con Los, sin da quando ha cominciato a commentare qui: quasi non mi pare vero! ) ---> Ahah, guarda te il caso. Qui ci sta bene un "la vita è come una scatola di cioccolatini..."

forever007 (ha votato 5,5 questo disco) alle 22:55 del primo luglio 2013 ha scritto:

Questo sindacare sui voti è molto supponente da parte vostra, caricate di una serietà eccessiva una cosa davvero frivola, pensate almeno che se da un lato il recensore può mettere 10 noi possiamo controbilanciare l'universo con un bel due,,muahhhhh che cattiveria eh? A parte gli scherzi è un Cd abbastanza gradevole, ammetto di non riscontrare tutto quello che voi avete sottolineate, ma forse sarò io ritardato!

forever007 (ha votato 5,5 questo disco) alle 22:57 del primo luglio 2013 ha scritto:

*sottolineato XD

salvatore (ha votato 6,5 questo disco) alle 13:56 del 2 luglio 2013 ha scritto:

Allora, Mat, per quanto riguarda la complessità del lavoro - pur non conoscendo la musica: intendo distinguere un sol da un la, ma non solo ehm - sono d'accordo con te sul "proliferare di suoni" e sulle "partiture intricate". Per quanto riguarda le melodie, invece, condivido quello che dici, ma credo che una bella melodia sia una bella melodia a prescindere dal genere di appartenenza. Negli ultimi anni, ho tralasciato, ogni tanto, il mio caro indiepop e mi sono aperto (relativamente e in modo parzialissimo) ad altri generi ( il soul, l'R&B... e persino a qualcosa - qualcosina, va' - di classico - grazie a mio fratello - moderno e classico) e quando una melodia la trovo riuscita, riesco abbastanza a riconoscerla. Ora, io non sono affatto preparato in musica folk (visto che ascolto essenzialmente indie-folk e folk cantautorale, quindi mi hai scoperto ), però conosco - e adoro - "Stormcock" e trovo che contenute in esso ci siano aperture melodiche di una bellezza, di una delicatezza e di una forza inimmaginabili. La stessa cosa la riscontro in brani di Shirley Collins e Richard Thompson (che conosco solo un po')... Nella Marling tutto questo non riesco a trovarcelo... Poi, boh, non lo so... Quando si parla di melodie credo si tratti di una cosa piuttosto soggettiva...

Per quanto riguarda i riferimenti, sono d'accordo che il suo sia uno stile relativamente (visto che necessariamente si è cibata della tradizione folk e questo non può e non deve non sentirsi - per questo mi incavolo quando sento dire che i B&S non hanno fatto nulla di nuovo) personale. Io, oltre agli autori già citati, ci sento anche tracce della canadese Mary Margareth O'Hara, soprattutto nella ricerca vocale. Non so se sei d'accordo...

loson (ha votato 9 questo disco) alle 15:04 del 2 luglio 2013 ha scritto:

"e quando una melodia la trovo riuscita, riesco abbastanza a riconoscerla" ---> Ma ci mancherebbe, Sal. Infatti avevo contemplato pure l'opzione "possibile e sacrosanta divergenza di gusti"! Occhio però che le costruzioni melodiche di certo folk traditional non sono affatto "orecchiabili" secondo gli standard pop odierni (e non), o almeno questo io avverto quando mi faccio dei "viaggi" in quel repertorio, sia esso anglosassone o americano. E comunque non ci credo che la melodia di I Was An Eagle non ti piaccia, dai... Riguardo alla O'Hara, non saprei: non riascolto Miss America da secoli e anche all'epoca non mi colpì particolarmente. L'unica canzone che ricordo abbastanza distintamente e che mi colpì fin da subito è questa Immagino sia stato il brano di punta dell'album, non ne ho idea... Vocalmente qui non mi ricorda niente di Laura Marling, ma dovrei riascoltare tutto il disco perchè lo ricordo piuttosto vario...

salvatore (ha votato 6,5 questo disco) alle 16:58 del 2 luglio 2013 ha scritto:

E fai bene a non crederci perché la melodia di "I was an eagle" mi piace Come me ne piacciono anche altre (ripeto: per me il meglio arriva con la più ariosa "Where can I go?)... E' che ci sento anche diversi momenti meno convincenti che si trascinano un po'. Tutto qui. Della O'Hara non saprei, perché l'ho scoperta in pesante differita (la mia preferita è "To cry about": non la posto che poi tutti 'sti video della O'Hara sotto la Marling diventa un casino )... Però, ecco, "Miss America", è un album che mi piace molto

Jacopo Santoro (ha votato 7 questo disco) alle 15:19 del 4 luglio 2013 ha scritto:

In qualcosina la Marling ricorda la O'Hara, ma direi poco.

Comunque in Miss America ci sono altri 2-3 brani considerevoli, a mio avviso ("Body's in trouble", "Help Me Lift You Up"). Mary Margaret purtroppo meteora, ma grande artista, che ha lasciato un solco visibile tutt'oggi (Marta Wainwright!).

Dr.Paul (ha votato 5 questo disco) alle 15:13 del 2 luglio 2013 ha scritto:

anche io sicuramente non riesco a cogliere i significati reconditi dietro il proggggetto, devo però dire che la goduria di pancia è totalmente assente, zero. anche la voce la trovo incolore. disco esclusivamente destinato agli amanti del folk più ortodosso.

loson (ha votato 9 questo disco) alle 15:42 del 2 luglio 2013 ha scritto:

Mò pure "ortodosso"... :facepalm:

zagor (ha votato 8 questo disco) alle 19:11 del 2 luglio 2013 ha scritto:

povera joni, la sua tetta sarà un po' decaduta adesso,,,se potessi scegliere, mi arrampicherei su una tetta di joanna newsom

Lezabeth Scott (ha votato 6,5 questo disco) alle 21:47 del 2 luglio 2013 ha scritto:

Si ma - e ci tengo a precisare - la mia era un'immagine affettuosa, quasi materna. Non volevo offendere nessuna delle due.

zagor (ha votato 8 questo disco) alle 11:44 del 4 luglio 2013 ha scritto:

figurati, l'immagine era carina ...e comunque fare riferimento a joni è sempre cosa buona e giusta, e mi sembra che non sia proprio un nome à la page ( anzi, se tutti quei gruppi folk barbuti sfornati in serie si ispirassero alla Regina potrebbero cavare qualche ragno dal buco)

Lezabeth Scott (ha votato 6,5 questo disco) alle 11:53 del 4 luglio 2013 ha scritto:

"( anzi, se tutti quei gruppi folk barbuti sfornati in serie si ispirassero alla Regina potrebbero cavare qualche ragno dal buco)" - si ma sai che due biglie!

simone coacci (ha votato 7 questo disco) alle 14:46 del 7 luglio 2013 ha scritto:

Folk progressivo molto elaborato e ambizioso, per ricerca musicale e testuale, sui modelli aulici che sono già stati ampiamente citati. La Marling denota, una volta di più, una maturità compositiva esponenziale e vertiginosa per la sua giovane età. Ciò, almeno a mio modo di vedere, a detrimento del tasso di spontaneità e fluidità (anche melodica) che l'artista as a young woman dovrebbe possedere (e che s'intravedeva nei primissimi lavori, più tradizionali e pop). Brani trascinanti e coinvolgenti come "You Know" o "Master Hunter" purtroppo mi sembrano un'eccezione. Album di spessore tutto sommato. Ma non mi fa stravedere. E lei nemmeno.

zagor (ha votato 8 questo disco) alle 22:42 del 20 settembre 2013 ha scritto:

bello il video di devil's resting place!

zagor (ha votato 8 questo disco) alle 22:43 del 20 settembre 2013 ha scritto:

forever007 (ha votato 5,5 questo disco) alle 14:21 del 22 settembre 2013 ha scritto:

Non sono canzoni orribili, ma il punto è che non riesco a capire un'esaltazione così estrema di un album molto semplice, lineare, senza pezzi particolarmente brillanti, cantati in un modo molto simile l'un l'altro, con una voce che ricorda altre mille cantanti pop (Ingrid Michaelson, Sara Bareilles quelle che mi vengono in mente nell'immediato). I testi sono abbastanza buoni, ma è semplicemente un insieme poco originale di cose che aspirerebbero al diventare originali; il nuovo che qualcuno diceva, ce lo vedo, a tratti, in alcuni (pochi) brani, ma sono 16 canzoni che al massimo possono calmarti superficialmente..non mi esaltano, non mi alleggeriscono l'esistenza, non mi fanno sentire in paradiso (o all'inferno), insomma, né carne né pesce..

REBBY (ha votato 9 questo disco) alle 12:22 del 29 ottobre 2013 ha scritto:

Ho fatto bene a fidarmi, ai tempi della sua recensione del precedente album, di Marco il veggente eheh

La suite iniziale, contenuta nella prima facciata del LP, che comprende i primi 5 brani ( c'è anche Master hunter) è semplicemente fantastica, ma anche il resto dell'album non necessità di nessun taglio, nonostante si tratti di un doppio. Io azzardo: tra i migliori album realizzati in Inghilterra da una cantautrice inglese da quando sono nato (1960).

loson (ha votato 9 questo disco) alle 12:27 del 29 ottobre 2013 ha scritto:

Sottoscrivo. Grande REBBY!

unknown (ha votato 10 questo disco) alle 18:53 del 27 marzo 2017 ha scritto:

d'accordo con rebby uno dei migliori dischi di cantautorato inglese della storia