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R Recensione

7/10

Luca Bassanese

Il Futuro Del Mondo

Beauty through simplicity. Rovistando nei cassetti della memoria, sono riuscito a scovare un interessante frammento di una vecchia intervista a Samuele Bersani, realizzata nell’allora 2006 per l’uscita del suo “L’Aldiquà”, all’epoca disco di buon impatto commerciale e mediatico (lo ricorderete, era stato tirato in mezzo anche lo sfortunato cronista Enzo Baldoni). La domanda cavalcava chiaramente l’onda del singolo “Lo scrutatore non votante” ed i suoi sottili strali contro l’incoerenza sociale dell’aurea mediocritas: il cantautore riminese, dal canto suo, sosteneva la necessità che l’album fosse ascoltato una volta “facendo finta che non significhi un cazzo” e poi, ascolto dopo ascolto, sempre maggiormente messo a fuoco, sino a ricostruire infine il quadro originariamente dipinto nel suo insieme di musiche e testi. Affascinante quanto logico. Esattamente il binario che andrebbe percorso nell’ascolto della nuova opera del vicentino Luca Bassanese.

La Società Dello Spettacolo”, breve concept album imperniato sull’omonimo romanzo di Guy Debord e già dovutamente segnalato su queste pagine un paio d’anni fa, conteneva – armonicamente sviluppate, sia chiaro – tutte le caratteristiche del più autorevole successore moderno dell’irraggiungibile Faber: enfasi drammatica, taglio teatrale, fanfare folkloristiche, fiati e chitarre, più registri vocali dispiegati in contemporanea, sofisticato gusto narrativo, attenzione per il sociale, micidiale efficacia complessiva. Con un’arma in più: la fascinazione morbosa per la favolistica. Da qui nasce concettualmente il suo primo libro di racconti (“Soltanto per amore”, 2009), da qui anche l’exemplum più indicato per riassumere la sua continua, ipertrofica evoluzione. Una delle tante, brevi poesie, “Il Ragno E La Formica”, si trasforma in un didascalico, esopico, universale invito alla fratellanza tra gli uomini, volutamente alieno alla retorica populistica, che danza sotto le spazzolate di una sinuosa bossa (ecco smentito anche il concetto per cui servono sempre e solo amplificatori valvolari a palla per esprimere una certa critica).

Il poeta, cantastorie, attore, manifestante Bassanese concentra così tutte le sue ambizioni nel terzo “Il Futuro Del Mondo”, ridotta ed ordinata pièce divisa in sequenze, intervalli, atti, pause ed epiloghi, che nasce dalle ceneri del predecessore e, alla sua stessa stregua, ne riprende l’anima spensierata ma profonda, impegnata ma largamente fruibile, acuta e tuttavia allegra. La storia è semplice: in uno scenario dove “il vecchio mondo è oramai un lontano ricordo”, il protagonista dovrà impegnarsi in prima persona per difendere, dalle grinfie di potenti senza scrupoli e continue minacce esterne – altro che opposizione parlamentare – l’ultimo fiume d’acqua potabile rimasto a scorrere sulla terra. Impossibile non collegare subitamente il pensiero alla realtà e a quello sciagurato decreto Ronchi sulla privatizzazione idrica fiduciato dalla legislatura in carica, per il quale vi è stata una mobilitazione popolare imponente in termini di informazione e diffusione, guidata peraltro dallo stesso musicista (ed i dati lo confermano: un milione e mezzo di firme in poco più di un mese per richiedere un referendum abrogativo). Come il quotidiano bypassa il verosimile in termini di assurdità, commento a piè pagina. Come l’essenzialità di messaggi costruiti su basi incrollabili riesce a mettere in crisi ogni intellettualismo, suggeriamo di seguito.

Il Futuro Del Mondo” funziona perché squisitamente, marcatamente popolare nel senso nobile del termine. Il corredo di ottoni bandistici de “La Leggenda Del Pesce Petrolio”, modellata sugli assunti dei Cappello A Cilindro, fa sorridere per la sua ingenuità: poi si arriva a comprendere che il “pesce petrolio” è uno dei tòpoi ricorrenti nelle storie orrorifiche raccontate da foche ed orsi polari ai loro cuccioli, babau capitalistico sempre agli onori – e agli oneri – della cronaca (“Non allontanarti troppo, altrimenti sono guai/ Arriva il pesce petrolio, che liscio come l’olio ti mangerà”), e il sorriso sparisce. “L’Acqua In Bottiglia”, canzone simbolo della sopracitata lotta contro l’abuso di potere imprenditoriale, aperta e chiusa da due segmenti acustici, è colorata da nuove scosse latin (ma ricacciate in testa infelici paragoni con Manu Chao). La falsa rivoluzione “profumata di lillà”, imposta dagli stessi palazzi e passivamente accettata dalle masse, è stigmatizzata, a corale passo folk, in “Nel Paese Di Teòria” (“Ma com’è difficile parlare/ Con questo popolo sovrano, che si lamenta sul divano”), i cui contrappesi ideali si dividono equamente nel circense klezmer di “Ay Ay Hora” – standard di Abraham Ellstein – e nel curioso girotondo world della title-track, condivisa equamente con il cantante berbero Bachir Charaf.

Tuttavia, il Bassanese che prediligo, personalmente, è quello che depone i coriandoli a lungo termine e si riscopre poeta nell’intimo, con risultati eccellenti. Crudo e bellissimo è il banjo che contorna “Canzone D’Amore (Contro La Violenza Sulle Donne)”, proiettile di amara verità da spedire alla Carfagna per il suo prossimo compleanno (“In Italia, in un anno, di violenze un milione/ Trovami una giustificazione!”). Ancora meglio “La Vigilia Del 1914”, stomp gaberiano di intensità sovrumana che fotografa splendidamente, preso assieme ad un intermezzo narrato accompagnato da uno struggente violino, l’attimo in cui un soldato si prepara ad uscire dalla trincea in avanscoperta, mentre pensa all’amata lontana che, forse, non rivedrà mai più (e, d’altro canto, quello della guerra è un tema centrale nella poetica di Luca, basta vedersi le vecchie “A Silva” e “Guernica”).

Testa e cuore, sentimento e ragione. Con più episodi del genere, il voto sarebbe stato più magnanimo. Ma il talento non soggiace alla critica: riscopritelo, ora, meglio tardi che mai.

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