R Recensione

7/10

My Latest Novel

Deaths And Entrances

Nella vita ciò che arriva arriva. C’è il momento della gioia, quello del dolore. Del rimpianto, della felicità, del lutto, della rabbia, della bestemmia. Non si può pensare, cartesianamente parlando, di idealizzare un’esistenza senza ammettere l’influenza chiara e tangibile della sfera di sentimenti così ben individuati dalle aree semantiche dell’italiano. I My Latest Novel, in questo contesto, sono la colonna sonora della sconfitta: uomini e donne soli, chiusi in stanze fiocamente illuminate, con la sola consolazione delle lacrime e di un muro a cui essere inchiodati per le spalle. No, niente sindromi compulsivo-depressive di vario tipo, generalmente risolvibili mediante chiamata a pagamento al primo telefono rosa utile. Le storie dei cinque scozzesi sanno, piuttosto, di amarezza e delusione, il rimorso di aver lottato ad armi impari e non essere riusciti comunque a prevalere. Una collezione di piccole, grandi disfatte personali, per costruzione simili a quelle già abbozzate dai Glorytellers l’anno passato ed ancora di più agli Arab Strap dei tempi che furono, stese a disseccarsi su un impasto melodico anch’esso vividamente umorale, uggioso e ricchissimo di contrasti interni. Ognuno potrà trovare quel che più gli aggrada ma, cercando due referenze che possano davvero mettere d’accordo tutti, i primi nomi che si materializzano sono, indubbiamente, Arcade Fire e Sigur Rós. Folk silvestre, umido, dipinto con pennellate generose, spesso orchestrali, che si incastrano a meraviglia nell’idea di locus teatrale dei canadesi e che sconfinano nella delicatezza glitch tipica degli islandesi, quando addirittura non nelle atmosfere post rock dei conterranei Mogwai.

Ciò che esce da questa prima generazione di ibridi è “Deaths And Entrances”, lavoro estremamente compatto e tutt’altro che trasognato, preciso e perfetto nel doppiare fermamente il già convincente esordio “Wolves” di tre anni orsono. I toni si rallentano, l’andatura si condensa, i violini si intrecciano con le chitarre – quasi sempre acustiche, ogni tanto elettriche – e le voci si polimerizzano tra di loro, scalando di tonalità e creando sbalzi armonici di grande impatto, per undici tasselli dall’ammanto a tratti eroico (strascichi di zoppe fenici nere?), il più straordinariamente e limitatamente umano. Su “I Declare A Ceasefire” sembra di sentire un Micah P. Hinson a contatto con le nudità dei For Carnation, in un crescendo marziale idealmente progettato per “Funeral”: “A Dear Green Place” è elegante folk melodrammatico adornato d’archi, dentro cui si innesta perfettamente l’egloga rifrangente di “Lacklustre”, trapuntata di cori. La doppietta “Argument Against The Man” – “Man Against The Argument” riassume, tra basso new wave, chitarre pesanti e squarci shoegaze, i tratti distintivi della band, profondamente a suo agio nel modellare la materia pop nonostante il peso degli arrangiamenti.

Nulla, nel disco, che sia l’intimismo pronunciato e collettivo di “If The Accident Will”, o il pianoforte, con chiosa Radiohead, di “Reappropriation Of The Meme”, od ancora “Dragonhide”, ovvero i Black Heart Procession che si immergono in un tesissimo reticolo orchestrale, con un violino a fare da guida ed un trionfo pomposo cavalcato dall’ennesimo gioco vocale, può tuttavia rivaleggiare in coesione ed oggettiva bellezza con la multiforme apertura delegata a “All In All In All Is All”, sin dal titolo basata su un continuo incastro e reflusso strumentale, vera e propria tragedia su più registri, impreziosita da siti d’attacco melodici a presa rapidissima. E si ritorna all’assunto ripreso appena sopra: Jónsi Birgisson alla ricerca di Win Butler per le brughiere attorno a Greenock, la loro città.

Che presto, afflizione favorendo, potrebbe diventare anche la vostra.

V Voti

Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 2 voti.
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kaneda 8/10

C Commenti

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hiperwlt (ha votato 7 questo disco) alle 10:43 del 16 dicembre 2009 ha scritto:

"Folk silvestre, umido, dipinto con pennellate generose, spesso orchestrali, che si incastrano a meraviglia nell’idea di locus teatrale dei canadesi e che sconfinano nella delicatezza glitch tipica degli islandesi, quando addirittura non nelle atmosfere post rock dei conterranei Mogwai"--->dire che mi ha incuriosito la recensione è un eufemismo. me lo procuro e passerò a commentare

kaneda (ha votato 8 questo disco) alle 22:05 del 23 dicembre 2009 ha scritto:

Nella vita ciò che arriva arriva...

...e ogni tanto arriva un bel disco. da consumare. consigliato!

hiperwlt (ha votato 7 questo disco) alle 20:15 del 8 gennaio 2010 ha scritto:

"all in...","i decleare a ceasefire","hopelessly endlessly" i miei brani preferiti; dove l'intro di quest'ultima potrebbe facilmente essere scambiato per un pezzo dei mogwai (ma poi cambia completamente rotta). disco gradevolissimo, che si muove agevolmente tra soluzioni folk,attitudini pop, il tutto ,supportato da un'impalcatura melodica intima e sognante. riusciti i contrasti vocali (maschili e femminili); ottimo,al solito, marco. 7