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R Recensione

8/10

Stranded Horse

Humbling Tides

Il disco precedente del francese Yann Tambour, pubblicato sotto il nome Thee, Stranded Horse, lo trovate nella nostra lista dei migliori dischi del decennio zero. Mica a caso: da quando, accantonato il progetto ambient-sperimentale Encre (notevole “Flux”, 2005), Tambour si era appassionato alla kora (strumento a 21 corde di origine maliana), la sua ricerca musicale sembrava aver trovato una dimensione quasi miracolosa. Le canzoni si muovevano scheletriche, tra abissi silenziosi e improvvise vibrazioni di arpeggi, su cui la voce di Tambour, tra naso e gola, trovava un modo di distendersi personalissimo. Cantautorato folk minimale ce n’è a fiotti: ma il suo, non solo per l’esotismo della kora, ma anche per un suo magico ipnotismo, a spire (Coacci citava giustamente John Fahey), riesce ad arrivare nel profondo, smarcandosi da tutto e tutti.

Quattro anni dopo “Churning Strides” arriva l’assonante “Humbling Tides”: in controtendenza rispetto al moniker scorciato, la musica di Tambour si arricchisce attraverso entrate ad alto tasso di poeticità di violino e violoncello, mentre la base di arpeggi (kora e chitarra: Tambour le riesce a suonare anche contemporaneamente – se non l’avessi visto, non ci avrei creduto) rimane la stessa. Certo, il potenziale evocativo della sua scrittura viene amplificato dagli archi fino quasi al parossismo: “Le Bleu Et L’Éther” è uno spettacolo, anche perché gli archi non coprono, ma accompagnano, spariscono, si fanno tesi, poi morbidi, assecondando alla perfezione l’andamento a ondate e riflussi su cui Tambour costruisce i suoi pezzi.

A ogni ascolto, così, si sente riformarsi e riplasmarsi la canzone, che sembra davvero materia viva, non già data. Anche per questo, un ascolto distratto di Stranded Horse, pur sembrando plausibile (pezzi mediamente lunghi, ripetitivi, spogli), non è possibile: se ne viene attratti, magicamente, risucchiati. Più “Shields” itera melodie e arpeggi, più attrae, perché non lo fa mai in modo meccanico: la linea emotiva oscilla in continuazione, tanto più quando poi interviene il violino e quando la kora di Ballaké Sissoko si sfoga in un finale fenomenale, tra esplosioni di note cristalline che riescono ad ammassarsi senza smettere di farsi sentire, distinte, una per una. Tecnica (non maniera) e cuore.

E poi basta, ché il disco di Stranded Horse è intimissimo. Anche dove è più diretto (“And The Shoreline It Withdrew In Anger”, la struggente “Les Axes Déréglés”), anche in “What Difference Does It Make?”, cover dei primi Smiths il cui riff tipicamente marr-iano viene come vivisezionato e denudato (e Morrissey ringiovanisce, si fa ancora più timido – più disperato?). E tanto più, poi, nei dieci minuti di “Halos”, la cui dolcezza gentile si ferma però in continuazione ai margini di silenzi attoniti, fino a incupirsi e poi a impazzire (il Tambour furioso) nella lunga coda in accelerazione – sopra cui piangere (scegliete voi di cosa) può capitare.

Poca elegia. Grande artista. E altro disco da tenersi stretto. Come qualcosa che ci appartiene, da subito, per sempre.

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Voto degli utenti: 7,1/10 in media su 21 voti.

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Filippo Maradei (ha votato 8 questo disco) alle 9:58 del 3 febbraio 2011 ha scritto:

Devo riascoltarlo meglio in questi giorni. Ancora non ho le idee chiare, e neanche scure.

gull (ha votato 8 questo disco) alle 12:08 del 4 febbraio 2011 ha scritto:

Ho riascoltato questo disco facendo attenzione ai particolari evidenziati nella recensione. Ne ho ricavato un ascolto più consapevole ed ho apprezzato ancor di più questa splendida musica.

Quando si dice una recensione illuminante. Complimenti.

P.S.: la lunga coda musicale di "Halos" la trovo magnifica.

fabfabfab (ha votato 9 questo disco) alle 14:22 del 5 febbraio 2011 ha scritto:

Ma come si fa a non amare uno così? Non dico nient'altro perchè la recensione di Francesco è un cerchio perfetto. Inizio 2011 davvero sorprendente, per quanto mi riguarda.

ROX alle 15:54 del 5 febbraio 2011 ha scritto:

ho ascoltato il pezzo del video... ricorda Cat Stevens o sbaglio?

Filippo Maradei (ha votato 8 questo disco) alle 19:06 del 5 febbraio 2011 ha scritto:

Ok, la monotonia non c'entra, mi ero sbagliato: trattatasi d'ipnotismo, dice bene Francesco, di spirali acustiche senza fine, di arpeggi a dolce ricamo in un telaio. Non solo Fahey, Tambour appare come una via di mezzo tra il Kozelek (Sun Kil Moon) dei "fingerpicking" in slow-tempo e il Michael Brook della sua "infinite guitar", che nel caso del francese si trasformerebbe in una "infinite kora". Album notevole, di quelli che meritano ascolti su ascolti su ascolti.

Marco_Biasio (ha votato 7 questo disco) alle 20:12 del 11 febbraio 2011 ha scritto:

L'ho ascoltato per un po' in questi giorni, ma se devo essere sincero non l'ho trovato all'altezza di "Churning Strides". E' sicuramente un disco più intimo, come scrivi tu, ma meno, molto meno isolazionista, per quanto mi riguarda. Insomma, mi manca un po' l'atmosfera disturbante/disturbata di robe come "Swaying Eel" o "Sharpened Suede" (sebbene riconosca che "Jolting Moon" da una parte e la monta finale di "Halos" suppliscano in parte a questa sehnsucht) e non sempre trovo azzeccato l'intervento del violino (in "Le Blue Et L'Ether", ad esempio). Lui certamente è un personaggio che merita il massimo delle attenzioni. Ma se "Churning Strides" poteva cambiare davvero la vita di qualcuno, questa è e rimane solo una buona prova.

fabfabfab (ha votato 9 questo disco) alle 18:01 del 17 marzo 2011 ha scritto:

Comunque negli anni ho maturato l'idea che le canzoni degli Smiths siano nate per essere "coverizzate". Ho sempre apprezzato Morrissey & Co. senza mai esagerare, oggi inizio a pensare che la scrittura degli Smiths avesse davvero qualcosa di speciale, e questa versione di "What Difference Does It Make" è una conferma... ascoltatela!

Dirty Frank alle 13:37 del 25 marzo 2011 ha scritto:

L'ho ascoltato due giorni fa dal vivo. Prova splendida in un piccolo teatro; è stato a dir poco ammaliante e sfoggia una tecnica d'esecuzione come poche se ne vedono.

E' un artista che merita sicuramente più attenzione.

target, autore, alle 13:47 del 25 marzo 2011 ha scritto:

Beh, qui gliene stiamo dando abbastanza! Ha suonato ancora, per curiosità, kora e chitarra contemporaneamente (l'aveva fatto, quando lo vidi io, su un pezzo del primo disco)?

Dirty Frank alle 15:42 del 10 aprile 2011 ha scritto:

Si, per il primo brano ha utilizzato la kora e la chitarra contemporaneamente. Pubblico stregato, soprattutto coloro che non ne avevano mai sentito parlare prima

bargeld (ha votato 8 questo disco) alle 19:20 del 20 aprile 2011 ha scritto:

Che bella la tua lettura Francesco, davvero. Approfitto per votarlo, dopo averlo visto anch'io giusto ieri, in un localino insieme ad altri venti fortunati. L'apertura a mille dita e due strumenti l'ha fatta anche da me.

lev (ha votato 10 questo disco) alle 19:04 del 10 giugno 2011 ha scritto:

beh che roba!!!

forse penserete che il voto sia esagerato, ma non è che mi entusiasmo così tanto molto spesso. ottima l'analisi fatta al disco di francesco.