The Decemberists
Long Live The King [EP]
Chiunque conosca a sufficienza i menestrelli del Montana saprà bene che la scelta di recensire lennesimo EP della loro discografia, scelta che a molti potrebbe apparire superflua ed accessoria, è in realtà doverosa ed essenziale. Per capirla, assumiamo ad esempio la carriera ormai pluridecennale dei Decemberists, che si può, infatti, sommariamente tripartire in passi consecutivi luno allaltro. Gli inizi ancorati al classico songwriting di pochi elementi, con libera deriva verso lesposizione favolistica e gli esperimenti a matrioska: una prima svolta verso limpianto teatrale, laccumulo di strumentazione, il sistema-concept e linteresse verso le chitarre pesanti; il recente ritorno alle radici, con semplificazione del modus componendi, depurazione dallelettricità ed attaccamento alla musica americana. A segnalare il passaggio alla pietra prog-folk dello scandalo fu, anno di grazia 2004, proprio lo splendido intercalare di The Tain, forse il punto più alto e maturo della lussureggiante narrazione metatestuale del gruppo. Ecco perché, dunque, nemmeno un anno dopo le pacificate atmosfere on the road di The King Is Dead, analizzarne un ideale completamento sulla breve distanza assume un gusto diverso, particolare.
Tuttavia, sorpresa forse pronosticabile, nei sei brani di Long Live The King la discontinuità con il passato viene disattesa, preferendo nuovamente un approccio tradizionale e filologico, in grado di non stravolgere lequilibrio appena raggiunto. E. Watson, con le sue storie arpeggiate di morte e dannazione, recupera il personaggio-tipo da Castaway And Cutouts vi ricordate di Leslie Anne Levine? e le pennellate chitarristiche da Her Majesty. Burying Davy è, in assoluto, la murder ballad più esplicita e tesa da loro mai scritta, sviluppata su atmosfere baroccheggianti ed assaltata da tralicci di ruvidezza dark, perfetti per donare un contraltare maledetto alla cadenza strascicata di Colin Meloy. La Row Jimmy dei Grateful Dead, già b-side del singolo January Hymn, viene rivisitata in una cover che ne amplia la porzione soleggiata e conserva intatto lo stralunato, frantumato andamento, tra singhiozzi di pianoforte e singulti di elettrica. Foregone sembra una versione meno crepuscolare e appena più dinamica di Rise To Me (ancora slide guitar, ancora magnifiche evocazioni), mentre I 4 U & U 4 Me è una gradevole canzoncina pop-folk dalle poche pretese e Sonnet una piccola parata con arrangiamento bandistico di trombe ed ottoni.
Rimane sempre un bel sentire, non cè dubbio. Ma se non avete amato la placidità di The King Is Dead, non vale la pena spenderci su del tempo.
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