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R Recensione

6/10

The Decemberists

Long Live The King [EP]

Chiunque conosca a sufficienza i menestrelli del Montana saprà bene che la scelta di recensire l’ennesimo EP della loro discografia, scelta che a molti potrebbe apparire superflua ed accessoria, è in realtà doverosa ed essenziale. Per capirla, assumiamo ad esempio la carriera ormai pluridecennale dei Decemberists, che si può, infatti, sommariamente tripartire in passi consecutivi l’uno all’altro. Gli inizi ancorati al classico songwriting di pochi elementi, con libera deriva verso l’esposizione favolistica e gli esperimenti a matrioska: una prima svolta verso l’impianto teatrale, l’accumulo di strumentazione, il sistema-concept e l’interesse verso le chitarre pesanti; il recente ritorno alle radici, con semplificazione del modus componendi, depurazione dall’elettricità ed attaccamento alla musica americana. A segnalare il passaggio alla pietra prog-folk dello scandalo fu, anno di grazia 2004, proprio lo splendido intercalare di “The Tain”, forse il punto più alto e maturo della lussureggiante narrazione metatestuale del gruppo. Ecco perché, dunque, nemmeno un anno dopo le pacificate atmosfere on the road di “The King Is Dead”, analizzarne un ideale completamento sulla breve distanza assume un gusto diverso, particolare.

Tuttavia, sorpresa forse pronosticabile, nei sei brani di “Long Live The King” la discontinuità con il passato viene disattesa, preferendo nuovamente un approccio tradizionale e filologico, in grado di non stravolgere l’equilibrio appena raggiunto. “E. Watson”, con le sue storie arpeggiate di morte e dannazione, recupera il personaggio-tipo da “Castaway And Cutouts” – vi ricordate di “Leslie Anne Levine”? – e le pennellate chitarristiche da “Her Majesty”. “Burying Davy” è, in assoluto, la murder ballad più esplicita e tesa da loro mai scritta, sviluppata su atmosfere baroccheggianti ed assaltata da tralicci di ruvidezza dark, perfetti per donare un contraltare maledetto alla cadenza strascicata di Colin Meloy. La “Row Jimmy” dei Grateful Dead, già b-side del singolo “January Hymn”, viene rivisitata in una cover che ne amplia la porzione soleggiata e conserva intatto lo stralunato, frantumato andamento, tra singhiozzi di pianoforte e singulti di elettrica. “Foregone” sembra una versione meno crepuscolare e appena più dinamica di “Rise To Me” (ancora slide guitar, ancora magnifiche evocazioni), mentre “I 4 U & U 4 Me” è una gradevole canzoncina pop-folk dalle poche pretese e “Sonnet” una piccola parata con arrangiamento bandistico di trombe ed ottoni.

Rimane sempre un bel sentire, non c’è dubbio. Ma se non avete amato la placidità di “The King Is Dead”, non vale la pena spenderci su del tempo.

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C Commenti

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Sor90 alle 13:32 del 18 novembre 2011 ha scritto:

Questo mi era proprio sfuggito, grazie! Lo ascolterò subito, perchè ho amato la placidità di The King Is Dead

target (ha votato 6 questo disco) alle 18:14 del 20 novembre 2011 ha scritto:

Lunga vita ai Decemberists, che dopo dieci anni e sei dischi continuano a suonare freschi e a sfornare bei pezzi (qua 1, 3 e 6, a coprire un po' tutte le loro maniere, dalla funebre alla circense). D'accordo con Marco sul fatto che, però, rispetto a certi Ep del loro passato, questo sia un po' più debole.

bill_carson (ha votato 5 questo disco) alle 13:45 del 21 novembre 2011 ha scritto:

niente di che

ho sempre l'impressione che rispetto a certa musica s'abbia aspettative talmente basse che qualsiasi cosa, col metro adottato, non può che risultare almeno piacevole. queste swmbrano canzoncine scritte da un fan quattordicenne dei REM, su. tra il carino e l'insignificante