R Recensione

7/10

Vanessa Peters & Ice-Cream On Mondays

Sweetheart, Keep Your Chin Up

In occasione dell’uscita del precedente “Little Films” (2006), secondo disco scritto con i toscani Ice Cream On Mondays, pensato e sviluppato come concept album – cosa sempre più rara, per le cantautrici come lei - Vanessa Peters aveva spiegato che il disco era teso a descrivere “le forze redentrici e distruttive che i nostri film personali (e mentali) hanno sulle nostre vite”. Però: mica stupida questa ragazza di Austin, Texas. Anche l’ultima acredine, che cercava di dipingerlo come un progetto troppo superiore alle capacità della musicista, era stata sopita dai fatti. Dalle canzoni del lavoro. Grande capacità di scrittura, sezioni musicali ispirate perlopiù alla tradizione folk e al vecchio country americano, di quelle che puoi trovare dappertutto: ed invece no. Per tracciare una gradevole linea di paragone, il suo approccio equivaleva, in sostanza, ad una versione femminile di un Seth Lakeman che, violino alla mano, si occupava di traghettare nel presente gli antichi canti di lavoro. Ovvero: un revival ammodernato e reso partecipe all’ascoltatore dalla stessa intermediaria Peters.  

500 date in giro per il mondo e tre anni più tardi, la penna e la chitarra di Vanessa, accompagnata dai compari, si fanno ora risentire in questo nuovo, sostanzioso “Sweetheart, Keep Your Chin Up”, quattordici carezze acustiche – qualche volta elettriche – che preferiscono abortire la normalità dei piccoli racconti quotidiani del precedente lavoro, per rendere protagonisti dei pezzi personaggi fantasiosi o, in ogni caso, pescati dalla mitologia classica: da Icaro, a Penelope, alle sirene (“Good News”) e, addirittura, alla Strega del “Mago di Oz”. Ciò che non cambia (e qui sta il crocevia principale dell’album) è lo scheletro di influenze prettamente sonore. I riferimenti, anche se non palesi – spesso si ha la sensazione di dejà vu, ma di non sapere bene dove collocare la propria ricerca – raggiungono il vertice in Lucinda Williams, sebbene Vanessa dica apertamente di ascoltare parecchie cantautrici, “forse Lucinda, ma non spesso”. Si può decidere di crederle oppure no: sia in un caso che nell’altro, comunque, resta una manciata di pezziottimamente scritti, uno spaccato di immaginario testuale non da poco ed un’ora di relativa tranquillità.  

Dentro, come avrete capito, si viaggia su toni leggermente dimessi, lenti, placidi, agresti: solo la fretta di fuggire da una nave che affonda, metallo contro metallo, movimenta un po’ “Grammar Of A Sinking Ship”, chitarra, banjo e violino a tinteggiare un’epica dello straordinario/ordinario (archi che, con successo, ritorneranno sui toni struggenti di “Next Big Bang”, piacevole rock d’ordinanza). Per il resto, “Good News” è un leggero stomp dall’odore blues, “Just Down” un nòstos folk introspettivo, “Million Little Rocks” un sentire ancora più chiuso, dove la voce viene scalata da arpeggi acustici. I brani più radiofonici, probabilmente pronti per essere lanciati lungo un tête-à-tête esclusivo con le lunghe e desertiche highway, sono quelli che al contempo aderiscono meno: “Austin, I Made A Mess” è prevedibile, in “War” sembra di risentire Shania Twain e solo “Drowning In Amsterdam” prende per mano in un girotondo freak (leggete il testo!) con tanto di organetto.  

Miss Peters ha comunque i suoi assi nella manica e, se vi sembrerà di aver assistito ad un panegirico sui generis con tanti punti di domanda quante attinenze artistiche, la cosa migliore è dirigersi verso la title-track, toccante ballata che scivola via in un lieve segmento lisergico (bella chiusura chitarristica, a tal proposito) e “First Lesson”, quasi un’outtake dylaniana nel suo incedere swingante, con tanto di armonica nel mezzo.

 

Vi sembra poco? Ascoltate e ricredetevi.

MySpace: www.myspace.com/vanessapeters

"Drowning In Amsterdam": http://www.youtube.com/watch?v=bngwxNpQq_s

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