R Recensione

6/10

Iron and Wine

Around The Well

La poetica di Sam Beam è quella che è, quella che è sempre stata e, presumibilmente, sempre sarà. Chi ci segue sa di cosa sto parlando: ciclica, sognante, bucolica, crepuscolare. A lui basta poco: una voce che bisbiglia ricordi brumosi, indistinti, ora teneri ora dolorosi, parabole iconiche sospese fra purezza infantile e afrori di peccato originale; un accompagnamento acustico, discreto, frugale, che fa da periodico controcanto al lento fluire di gocce di memoria svaporate attraverso il vetro fervido del suo io lirico; poche piste, poche tracce per gli strumenti, pochi effetti di colore aggiunti come sbavature d’autore in un quadro naif. Chi lo ama lo considera il più degno erede della tradizione urbano-rurale dei grandi folk-singer americani e su di lui spreca paragoni che dicono tutto e il contrario di tutto.

Chi non lo ama, magari non lo dice, ma pensa che i suoi album o addirittura le sue canzoni siano tutte uguali. Diabolicamente simili. Sentita una sentite tutte. Dopo la consacrazione di Shepherd’s Dog (2007), il suo disco più suonato, arrangiato, completo, e verosimilmente in vista di uscite più significative, Iron & Wine e l’immarcescibile Sub Pop licenziano di comune accordo questo Around The Well, nella cui doppia facciata riversano praticamente tutto quello che, fra inediti e b-sides, attirava polvere nei cassetti della casa nella prateria di Beam o negli scaffali dell’etichetta.

Nulla di particolarmente eclatante, ma un buon compendio della sua discografia minore che qua e là sfora nell’eccessiva confidenza di se. A una prima parte a fior di labbra e in punta di dita (chitarra. banjo, slide, qualche chorus ad accentare i passaggi più significativi) che indulge in una sorta di monotonia acustica, di sonnolenza accaldata, deliziosa o fastidiosa a seconda dello stato d’animo (e in cui spiccano lo stomp di “Dearest Forsaken”, il sonetto per autoharp di “Swan And Swimming”, le tonalità basse e sgranate di “Waiting For Superman”), corrisponde una seconda più scorrevole, composita, movimentata, dove alla mistica tutta “arpeggi e sussurri” si addizionano, con una certa frequenza, i contributi di piano, basso e batteria.

Tra sveltine hillbilly (“Belated Promise Ring”), idilli alla John Denver (“Homeward These Shoes”), staccati nella maniera del Neil Young più “west-costiano” (“Sinning Hands”), il lungo trotto country-soul di “The Trapeze Swinger”, riprese del groove più bluesy e paludoso di Shepherd’s Dog (“No Moon”) e persino qualche svisata pow wow e psichedelica (come nell’ottima “Serpente Charmer”, uno dei saldi migliori), il lato b offre un discreto svago agli amanti della musica folk sudista più adulta, agrodolce e rilassante. Un album che sembra destinato ad acuire le distanze fra i due partiti a cui accennavamo sopra: consigliabile ai completisti più accaniti o a nuovi adepti del culto di Mr. Beam un po’ digiuni.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

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REBBY alle 8:20 del 27 maggio 2009 ha scritto:

Grazie Simone, mi piace molto The Shepherd's dog

(e a mia moglie ancora di più) e avendo fiducia

nelle tue "capacità critiche" salto il giro e

rimango in attesa dei futuri sviluppi, spero al

livello del penultimo album.