R Recensione

8/10

M. Ward

Post War

È da tempo ormai che M.Ward non si può considerare più soltanto una promessa: 5 dischi in 6 anni, ognuno con una propria storia e personalità ben definita, non semplici raccolte di canzoni ma qualcosa di più. Sono racconti e memorie che forse non potrebbero che essere raccontate in altro modo, trovando, nella penombra degli esordi come nelle buone vibrazioni degli ultimi tempi, l’ambiente giusto per non farsi dimenticare. Tutto è nato nel 1999 da un incontro fortuito con Howe Gelb, ma rimane l’unico momento della carriera del cantautore di Portland in cui la dea bendata ha fatto la sua comparsa.

Post-War arriva dopo il romantico e malinconico Transistor Radio e porta con sé una timida e fragile speranza, spiragli di luce e ricerca di nuove strade. Canzoni che sembrano uscire facili e dileguarsi in breve tempo, leggere apparentemente, figlie del talento e della capacità di rendere semplice ciò che semplice non è.

Un disco dove il tema della consapevolezza affiora nei testi e nella composizione, mai sopra le righe e sempre sui binari giusti, che si passi dalle atmosfere di frontiera di Right In The Head, o dal dolce organo stanco della title track, fino ad arrivare ad un blues e ad un folk perfettamente orchestrati in Requiem e Chinese Translation. Poi si va giù in discesa verso il passato morbidamente spaesato dalla psichedelia di Magick Trick e Neptun’s Net e dal sudore negli occhi di Rollercoaster, per arrivare infine a tirare le somme attraverso consapevole la cosciente Today’s Undertaking e la speranzosa Afterword/Rag. L’omaggio a Daniel Johnston in apertura (Poison Cup), dopo la partecipazione alla compilation a lui dedicata, sembra poter essere un buon ponte di collegamento verso quello che da questo Post War in poi potrà accadere nella carriera di M.Ward… e la previsione è semplice: grandi canzoni.

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