Sam Gleaves
Ain't We Brothers
Se cè un filo rosso che parte da Joe Hill, passa per Woody Guthrie e Pete Seeger, e arriva a Bob Dylan e a Bruce Springsteen, una storia comune che li unisce, di questa storia fa parte a pieno titolo Sam Gleaves. Proveniente da una piccola città del Sud Ovest della Virginia, il giovane folksinger degli Appalachi con Ain't We Brothers, terzo album ma primo di canzoni inedite, si è subito imposto allattenzione della critica americana. Un disco immerso nella musica delle radici profonde del Nord America, country e bluegrass, e nel folk più puro degli inizi del 900, quello legato alle lotte operaie e per i diritti civili. Ma sorprende soprattutto il modo in cui Gleaves, pur fedelissimo a queste radici, riesca con estrema semplicità a rendere così attuali sia le sue composizioni che i brani tradizionali che ripropone.
La title track Ain't We Brothers, con Tim O'Brien ospite alla voce, è già una dichiarazione di intenti, un manifesto del suo fare musica. Una ballad accompagnata da banjo e fiddle, in cui si racconta la storia vera di un minatore, Sam Williams, che nel 2010 fece causa alla sua compagnia per le discriminazioni subite a causa del suo vivere apertamente con il suo compagno. Diritti civili e lotte operaie si intrecciano, nel cuore dellAmerica più conservatrice, in un brano che potrebbe venire dal canzoniere di Woody Guthrie, e che invece è stato scritto oggi, e racconta di oggi.
La stessa sensazione provoca il brano che apre il disco, Working Shoes, una classic folk-rock ballad dove si scorge tra le righe la presenza del Dylan più vicino alle radici folk. Se Angel In The Ashes (ospite alla voce Janis Ian), con violino, chitarra, piano e pedal steel, sembra richiamare il miglior Jackson Browne, Come Into Your Own e Let Myself Believe sono delle pure ballad old time country.
Just Like Jordan, con Laurie Lewis ospite alla voce, un lento dalle forti sonorità country, con banjo e fiddle in evidenza, torna sulle tematiche LGBTQ di cui Gleaves si fa portavoce (si presenta come Openly Gay Singer in Appalachia), utilizzando la musica della tradizione, ispirandosi a Hazel Dickens. Con The Golden Rule (Cathy Fink ospite alla voce), una ballad guidata da piano e banjo, si arriva alla vera e propria canzone di protesta, prendendo di mira una legge del Kentucky che, facendosi scudo della libertà religiosa, in realtà utilizza una falsa idea di obiezione di coscienza per discriminare. Con Two Virginia Boys (qui lospite alla voce è Donavan Cain) una splendida ballad con la chitarra in primo piano, si comprende in pieno lintento del giovane folk singer: recuperare fedelmente la tradizione, per parlare di oggi. E non sarà un caso se il chorus del brano è ripreso proprio da un traditional, East Virginia Blues.
Questo riprendere brani tradizionali e farli propri è il vero spirito del folk. Ed è quello che fa Gleaves con un brano damore tradizionale come Johnny, dandone una splendida versione per solo voce, toccante e intensa, fedele alloriginale, ma che ne ribalta il senso. A Johnny segue un altro traditional, My Singing Bird, solo voce e banjo, dove lautore aggiunge due strofe di suo pugno, in puro stile folksinger: riprendere la tradizione, contestualizzandola al presente, attualizzandola. Per My Dixie Darlin' (Tyler Hughes ospite a banjo e voce), brano della Carter Family, non serve neanche aggiungere una parola. Il solo sentirlo riproporre da un attivista gay come Gleaves probabilmente per lAmerica reazionaria è già di per se un atto quasi rivoluzionario.
Stupisce la maturità e la profonda conoscenza delle radici di questo giovane folk singer, e la purezza con cui scrive ed interpreta, in un disco in cui troviamo il meglio della tradizione, come lo scatenato Creek's Froze Up - Callahan, uno splendido folk irish style, con il banjo di Cathy Fink (che ha prodotto il disco), insieme alla più classica e bella canzone dautore, come la splendida ballad per solo voce e chitarra If I Could Write A Song che chiude il lavoro. Come il giovane Dylan ai tempi del Village, Sam Gleaves, come ha scritto impeccabilmente Alessandro Portelli, dimostra di avere ventitré anni e una storia di due secoli. Questo ragazzo ha davvero un potenziale enorme.
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