Isobel Campbell & Mark Lanegan
Hawk
È uno di quegli appuntamenti che, con variazioni esiziali, si ripropongono ad intervalli di tempo regolari. Come la compravendita dei giocatori, quella dei parlamentari di PD e PDL, i film di Woody Allen che più invecchia più si contorna belle gnocche neanche fosse Veronesi o Pieraccioni (o quel vecchio viveur basso e grasso, con la camicia aperta e la bandana che sembra uscito da “Sapore di Mare” e che non fa ridere ma non è Jerry Calà…), i divorzi imminenti della coppia Brangelina e via discorrendo. E le uscite in coppia di Isobel Campbell & Mark Lanegan, naturalmente. Un disco ogni due anni dal 2006 ad oggi, i nostri due bei ritrosi sembrano aver trovato la formula vincente per braccia nel cuore del sempre più eterogeneo pubblico indie.
Al punto che hanno ormai messo in stand-by permanente le loro carriere soliste per dedicarsi a tempo pieno a questo fruttuoso sodalizio. Non che la loro musica, nata dall’incrocio fra le ascendenze roots del midwest del secondo e il folk da cameretta della prima, abbia alcunché d’imprescindibile o particolarmente originale, ma tanto pregevole, delicata e artigianale era la fattura teatral-popular dei due capitoli confezionati fin qui (Ballad Of The Broken Sea del 2006 e Sunday At The Devil Dirt del 2008) da essersi guadagnati un credito diffuso e specifico, svincolato dagli allori dei rispettivamente gloriosi passati.
Sulla falsariga delle precedenti puntate scorre lieve e piacevole anche Hawk. Fin dalla copertina in bianco e nero con i due ritratti come una sorta di Bonnie & Clyde in versione Nouvelle Vague, che richiama in maniera sibillina quella del disco d’esordio. E il piano musicale non smentisce completamente quello iconico. Difatti la coppia, pur introducendo qualche nuova pista comunque degna di essere esplorata, guida la sua Chevy lungo le ben note e confortevoli route che spaziano sul classico paesaggio traditional anglo-americano. Le novità sono due e apparentemente in contrasto fra loro. E cioè che, pur essendo il disco decisamente più americano nelle sonorità (più speziato, quindi, di blues, western, americana), a cantarci sopra con maggiore frequenza è la scozzese Isobel, col buon Mark sovente relegato al controcanto e addirittura “cornificato” in un paio di duetti dal giovane Willy Mason, ex enfant prodige del folk americano ed ennesimo bis-nipote di Johnny Cash (la sua voce, più che a Lanegan, assomiglia come una goccia d’acqua a quella di Micah P. Hinson) del quale dopo due ottimi album (l’ultimo, If The Ocean Get Rough, del 2007) sembravano essersi perse le tracce. Per il resto poco da segnalare, a parte l’amore sincero e senza pretese verso un certo tipo di sound - mimetico e revisionista - che i pezzi trasudano, la perizia melodica e l’innegabile mestiere nella scrittura. Niente di più e niente di meno di quello che serve per fare bella figura su un disco.
Ci sono anche due cover, bellissime peraltro, del grande Townes Van Zandt (uno dei geni incompresi più gettonati di questi anni Zero): No Place To Fall, cantata dalla Campbell con Mason, frugale ed efficace e il country “pellerossa” di Snake Song. Non è una cover degli Zombies, invece, Time Of The Season, con quel mellotron vintage sull’arpeggio in punta di corde, ma un classico brano a due voci in perfetto stile Hazlewood-Sinatra. A cui pure rimanda il pop sofisticato e orchestrale di Come Undone, con l’hammond brumoso e intrigante e una trama d’archi quasi da sample portisheadiano. Altrove invece subentrano, come anticipato, sonorità più corpose e ritmate, addirittura elettriche, in cui è Lanegan a fare la voce grossa, come nel rock classicodi You Won’t Let Me Down (col redivivo James Iha alla chitarra), nel soulful corale e californiano di Lately, nel jump-blues della title track, o nel rockabilly di Get Behind Me. La Campbell invece si americanizza, per l’occasione, in due ballate agresti ed oniriche quel tanto che non guasta come To Hell And Back Again e soprattutto Sunrise che s’insinua in punta di plettro come una Bang Bang cantata da Hope Sandoval. E poi non rimangono che due sonetti romantici e sussurrati come We Die And See e Cool Water (ancora con Willy Mason) e il valzer campestre di Eyes Of Green.
Con la Bella e il suo Sebastian si va sul sicuro: difficile entusiasmarsi (a meno che non sia la tua prima volta), difficile rimanere delusi. Meglio trovarli che perderli, comunque.
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