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R Recensione

9/10

Scott Matthews

What The Night Delivers...

Con una "s" in più, giusto per non confonderci; perché non stiamo parlando di Scott Matthew, notevole cantautore dream-folk dalla voce ansimante e dal barbone spesso ("There Is An Ocean That Divides And With My Longing I Can Charge It With A Voltage That's So Violent To Cross It Could Mean Death" bello quanto lungo da leggere). Non stiamo parlando di lui, e non continueremo oltre; se possibile, parliamo di un collega inglese ancora più talentuoso: Scott Matthews, 35 inverni, da Wolverhampton, giunge a noi attraverso i contorni bianchi e neri del suo terzo album, "What The Night Delivers...". E quello che ci consegna la notte, bene dirlo subito, è un capolavoro folk vecchia maniera che fa tornare alla vita – alla pelle e alle orecchie nostre – Nick Drake e Jeff Buckley contemporaneamente, intatti e puri come li avevamo lasciati.

 

Abbandonati i passi incerti dei '70 in ritorno di fiamma rock ("Elsewhere"), Matthews fa due, tre, mille salti indietro per riprendere invece gli ultimi '60 di certo folk cameristico crepuscolare e quasi timido, intimissimo e senza tempo: fin da subito, dunque, veniamo ammaliati dagli arrangiamenti magnetici della chitarra di Matthews, minuziosi nei loro movimenti circolari, quasi sempre essenziali e preziosi, accompagnati alcune volte da un'apertura di synth che spazza ogni orizzonte e si fa volo d'uccello ("Myself Again"). La percezione epidermica – le braccia una distesa campestre di peli ritti – è di fascino sconfinato per un minimalismo acustico che non è il fingerpicking vorticoso e abilissimo di Kozelek (Sun Kil Moon), ma che gli si avvicina empaticamente nella forma più placida e cantautorale. La voce infatti, cuore pulsante dell'album, richiama alla mente non solo Kozelek ("Ballerina Lake" e il cullare flessuoso e ridondante dei suoi accordi, e una voce quasi trascinata che è mare senza increspature), ma anche e soprattutto un incontro meraviglioso tra Jeff Buckley e Thom Yorke (il diamante primo "Walking Home In The Rain" quando recita "But I never want to be the overdose / That becomes way too much to take" con quel suo urlo finale che squarcia il mondo è "Grace" ora e sempre). Due timbri incredibili per una persona sola è ben più di una semplice fortuna, è autentico talento per la capacità unica di Matthews di riversarli nelle misure e nei tempi giusti, tanto che a volte ci sembra di sentire più l'uno che l'altro e viceversa ("So Long, My Moonlight" riprende i versi stanchi e lamentosi di Yorke nel ritornello, ma in tutto il resto è la blues-ballad che avrebbe concepito Buckley nell'iperuranio con trombone e contrabbasso).

 

Ma quando l'album impressiona sul serio è nel momento in cui ci si rende conto che a una prima parte stupenda, che vede il suo picco emotivo nella ninna-nanna sad-core di "Obsession Never Sleeps" (una Radioheadiana "No Surprises" al rallentatore mentre Matthews intona "Obsession never sleeps / You wake with it caressing your cheek / Just how can you ignore the one thing you would die for?", sostenuta prima dalle profondissime linee di basso di Danny Thompson e poi da una viola vibrante e grave), corrisponde una seconda parte del disco ancora più intensa e commovente. La poetica di Matthews scioglie i nodi più cupi della quotidianetà affettiva ("Do you ever feel your heart’s been denied / Of happy ever endings amidst a fading light? / I think it’s time for change / Cause I want you to wake not worrying about tomorrow" conclude il bozzetto folk "Head First Into Paradise" costruito su pochi accordi nudi di chitarra e xilofono al cristallo), e si fa cura di tutti i mali anche solo condensando in pochi minuti di canzone un oceano di emozioni fortissime ("I’ll suffocate this city / Just so we can breathe in all the life / In the explosion of emotion I’m the drug / To take away your pain / But I never want to be the overdose / That becomes way too much to take" da "Walking Home In The Rain" è pura magia). E parlando proprio di emozioni, come non farsi vincere dalla spiritualità notturna di "Echoes of The Lonely", altro prodigio di escursione tonale nelle corde di Matthews, qui tese all'incanto ipnotico in una dimensione quasi sacrale; se per quasi tutto l'album, poi, il ritmo si tiene sempre sotto qualche milione di battiti, tra il muto raccoglimento e la morte apparente, ci pensa "The Man Who Had Everything" a rinvigorire un po' la notte con i suoi cambi di passo per tom e grancassa e gli accordi della chitarra filtrati da effetti e distorsioni. A chiusura dei gelsomini, quando l'alba non è più un miraggio, una voce proiettata nello spazio e l'urna molle di un pianoforte impolverato ("Piano Song").

 

E verrebbe da raccontare altre note di questa autentica bellezza musicale, tirare fuori altre emozioni dal cassetto, urlare a tutte le lune rosa del mondo la propria felicità, ma dopo un album così bello e fuori dal tempo rimane solo il silenzio del primo mattino e cicale a macchie sparse: ma soprattutto rimane la consapevolezza, forse cieca forse no, di aver appena assistito a un piccolo miracolo.

V Voti

Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 18 voti.
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Teo 9/10
gull 7/10
Sor90 8/10
rael 5/10
mutter 9/10
REBBY 8/10

C Commenti

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tramblogy alle 11:17 del 12 settembre 2011 ha scritto:

Bello si!

simone coacci (ha votato 8 questo disco) alle 14:40 del 12 settembre 2011 ha scritto:

Quello che fa non è nuovo, nè lo fa in modo così diverso rispetto ad altri, però sprigiona una forza evocativa incredibile. Devo ascoltarlo meglio ma potrebbe avere le stimmate del fuoriclasse.

Filippo Maradei, autore, alle 16:12 del 12 settembre 2011 ha scritto:

Dici benissimo, Simo': la suggestione, il fascino emotivo che diffonde è quello dei grandi. Difficile da spiegare, è come se una parte dell'album fosse già stata scritta nella storia, ci appartenesse da sempre (i rimandi continui a Buckley, chissà...); instant classic per spessore e carisma, ecco.

salvatore (ha votato 8 questo disco) alle 11:06 del 13 settembre 2011 ha scritto:

Ho ascoltato, per il momento, solo i tre brani postati su e li trovo molto, molto belli.

Per emotività diffusa, intensità e drammaticita, più che per la proposta musicale (qui la matrice è essenzialmente folk, lì pop), mi fa ritornare alla mente il grande disco regalatoci l'anno scorso da john grant...

Approfondisco e subito! Bravo Fil!

Dirty Frank alle 1:53 del 14 settembre 2011 ha scritto:

Finalmente!

Finalmente iniziamo a parlare del buon Matthews! E' dal suo debutto, lo splendido "Passing Stranger" (da avere!), che questo ragazzo regala perle di magia in musica.

Sono contento stia venendo fuori pian piano anche qui da noi!

Filippo Maradei, autore, alle 19:49 del 14 settembre 2011 ha scritto:

Uhmmm, John Grant dici... sì, ci può stare il paragone: generi e mezzi diversi, ma che pathos entrambi! Sarà l'aura di ammaliante classicità che li avvolge o l'intensità tonale che raggiungono ad accomunarli... una cosa è certa: paragoni illustri per il nostro. E li merita, altroché.

Alfredo Cota alle 19:51 del 4 ottobre 2011 ha scritto:

Giuro che lo comprerò al più presto possibile! Mi sono limitato ad ascoltare due pezzi (Obsession never sleeps e Ballerina Lake) e non riesco ad ascoltare altro!

gull (ha votato 7 questo disco) alle 18:39 del 13 ottobre 2011 ha scritto:

L'ho ascoltato molto prima di scrivere qualcosa. Lo trovo un buon disco, con alcuni momenti riuscitissimi, soprattutto: "Ballerina lake", "Head first into paradise", "Echoes of the lonely", "The man who had everything". Un disco che ho ascoltato con vero piacere ma che in assoluto non reputo un capolavoro. Tra i bei dischi dell'anno sicuramente si.

fdrulovic (ha votato 9 questo disco) alle 14:04 del 14 ottobre 2011 ha scritto:

Bello si. Ma "Passing Stranger" insuperabile...e non lo ha notato nessuno.

Sor90 (ha votato 8 questo disco) alle 15:08 del 14 ottobre 2011 ha scritto:

Un disco (come da titolo) notturno, da ascoltare con una candela accesa... Da brividi certe aperture (Walking Home In The Rain), meraviglioso il modo in cui la spaziale "Obsession Never Sleep" sfuma in "Ballerina Lake" (un lago ricoperto di ghiaccio), stupende le flessioni della voce e le sottolineature degli arpeggi (Myself Again e Head First Into Paradise)... Ci sono momenti (pochi) in cui la tensione (perchè con quelle quattro note riesce a mantenere vivo un album) si smorza troppo, 9 forse sarebbe troppo 8 troppo poco, 8.5!

hiperwlt (ha votato 6 questo disco) alle 16:32 del 3 dicembre 2011 ha scritto:

che "ballerina lake" vada dritta tra i pezzi dell'anno, non ci piove. ma il disco non riesco a farmelo piacere : tutto molto curato, sì (a partire dalla modulazione vocale certosina e sentita...che a me non piace, qui; gli arrangiamenti), belli certi i testi, anche("obsession never sleep", altro buon pezzo). ma quella emotività diffusa di cui parlatse non riesce proprio a farla mia; avrò qualche problema con certo cantautorato folk così scarno ed emotivo, e infatti anche il john grant dell'anno passato non aveva fatto breccia. comunque: un Fil così entusiasta è sempre un gran leggere, davvero!

hiperwlt (ha votato 6 questo disco) alle 16:35 del 3 dicembre 2011 ha scritto:

* di cui parlate non riesco proprio a farla mia.

Sor90 (ha votato 8 questo disco) alle 17:14 del 3 dicembre 2011 ha scritto:

bè se non ti è piaciuto neanche John Grant si capisce che è un approccio che non fa per te, io per inciso, adoro "Queen Of Denmark" a livelli spropositati

hiperwlt (ha votato 6 questo disco) alle 17:18 del 3 dicembre 2011 ha scritto:

uhm, non direi proprio in senso assoluto, Sor (era più una battuta, la mia): in questi due casi, vale in concetto

Filippo Maradei, autore, alle 20:30 del 3 dicembre 2011 ha scritto:

Io credo che alla fine si possa ricondurre il tutto a preferenze delle voci cantautorali, piuttosto che a una spaccatura tra folk scarno o barocco. Mauro ormai credo di conoscerlo bene, non negherebbe mai il piacere dell'ascolto ad altri intimissimi signori del folk (Kurt Vile, Sun Kil Moon, Bon Iver per dire i primi che mi vengono in mente); o forse ai SINGOLI cantautori dal lacrimone facile (amor nostro, s'intende) predilige le BAND, istrioniche o cameristiche che siano (Grizzly Bear, Noah And The Whale, Balmorhea), chissà...

Sor90 (ha votato 8 questo disco) alle 20:49 del 3 dicembre 2011 ha scritto:

RE:

ma si, infatti, generalizzando si sbaglia sempre, diciamo che questi sono due casi particolari, è che essendo accomunati praticamente solo da una certa "sensibilità scoperta" ho pensato potesse essere questo il problema, ma ci siamo capiti...

E a proposito di voci cantautorali, sono due esempi diametralmente opposti ma che arrivano nello stesso modo...

hiperwlt (ha votato 6 questo disco) alle 11:56 del 4 dicembre 2011 ha scritto:

contento che tu mi conosca, Fil: in tutti questi anni, io, non ce l'ho ancora fatta a capirmi ehehe. che poi il disco di grant aveva tutte le credenziali per piacermi - a partire dalla collaborazione con alcuni membri dei midlake, band che adoro e di cui, per dire, ho recensito "the courage of the others", con sincero entusiasmo. come dici tu Fil, un fattore determinante è sicuramente la voce di Matthews, che non riesce ad ammaliarmi: non, piuttosto, il (pre) concetto in merito alla contrapposizione tra folk scarno, da camera, con quello più strutturato e stratificato. che prediliga i gruppi, è palese, meglio se inglesi (anche se quest'anno la bilancia pende a favore degli u.s.a: vedi bill callahan, case studies, e, appunto, bon iver) per ‘numero’ effettivo: forse per il motivo che dici tu; forse per pura casualità. riguardo ai riferimenti: kolezek mi piace, chiaramente - più nel periodo red house painters: "rollercoaster" tra i miei dischi preferiti in assoluto; su bon iver, l'ultimo sta dietro solo ai wild beasts, tanto per capirci (circa il primo, non parliamone). ma, ripeto, questo "what the night delivers" ha decisamente il suo valore: ben scritto, ben arrangiato, ottima l'interpretazione. solo, per gusto 'estetico', non mi prende completamente

hiperwlt (ha votato 6 questo disco) alle 12:02 del 4 dicembre 2011 ha scritto:

* anche se quest'anno, per i cantautori, la bilancia pende a favore degli u.s.a.

salvatore (ha votato 8 questo disco) alle 12:44 del 4 dicembre 2011 ha scritto:

A me l'apertura melodica su "only with memories" di ballerina lake, mi fa l'effetto lacrimuccia/crampoallostomaco...

Filippo Maradei, autore, alle 12:55 del 4 dicembre 2011 ha scritto:

RE:

Eheh, qui ti volevo Salvo... tale e quale a me. Grande! Ma non sottovalutate "Walking Home In The Rain" con quell'urlo spacca-mondo.

Alfredo Cota alle 15:22 del 4 dicembre 2011 ha scritto:

e myself again? Mamma che disco! Però Ballerina Lake sopra tutte, anche per sentimentalismi miei personali eh...

REBBY (ha votato 8 questo disco) alle 16:03 del 12 marzo 2012 ha scritto:

E' stato detto da tanti (anche qui): nel 2011 il cantautorato è stato soprattutto donna. E' vero, sono stati veramente tanti, l'anno appena passato, i buoni album realizzati da cantautrici, ma il mio preferito in questo ambito (chiedo venia al gentil sesso eh) eccolo qua. A differenza di quanto contenuto negli ultimi dischi di Bon Iver o James Blake (uheilà altri due ometti), come dice (bene) Simone, "quello che fa (Matthews ndr) non è nuovo, nè lo fa in modo così diverso rispetto ad altri (bravi eh ndr), però quest'album sprigiona una forza evocativa incredibile". Poesia, stile e classe in dosi massicce: è nu babbà eheh