R Recensione

10/10

Devendra Banhart

Smokey Rolls Down Thunder Canyon

Appello alla ragione

Spegni per un momento l’apparatus rationalis

Lascia andare severi principi, comparti stagni, pregiudizi

Versa via il vetriolo

Chiudi i tuoi occhi

Diventa bambino

Sii puerile ma sensibile.

Spalanca i tuoi sensi

Non imbarazzarti.

Ridi e piangi a dirotto

Assolviti.

Cerca il ragazzo con il sole negli occhi

Sogni d’arancia e cieli di marmellata

Attraversa un cosmo ipnotico

Una brezza vivida ti trascina su campi di note scintillanti. Veli tropicali, cavalcate gypsy, soul e funk, gospel e reggae, folk e psicedelia impazzano nel delirio sonoro di Smokey Rolls Down Thunder Canyon. Fantasia, esuberanza e fragilità si danno appuntamento segreto sulla pista di un Canyon misterioso. Topanga Canyon. Nelle montagne di L.A. Magari nell’aria ribolle ancora il polveroso effluvio di Neil Young. Magari si gode anche lui questa folla carnevalesca immersa tra nuvole strampalate.

Una chitarra bisbiglia. Una cetra vibra. Tenere voci latine invocano sospiri lievi. Melanconie galleggiano blande nell’aria. Un soffio. Cristobal. Il derwish Devendra Banhart e Gael Garcia Bernal (La Mala Educación) si sussurano segreti di una toccante bellezza. Luccicchio di tristezza e nostalgia implorano cose lontane, cristalline. Ombre. Selvaggi e animali si rifugiano nei loro nidi a origliare il sospiro lontano di Banhart e Rodrigo Amarante nel seducente Rosa. Reminscenze della delicatezza di Caetano Veloso. Sgomenti profondi ti entrano nelle ossa. Cuori spezzati evaporano in un cielo grigio. I lamenti animaleschi di Bad Girl. Le delicate anime sonnambule di Seaside. The Other Woman, col suo amaro borbottio roots reggae.

I walk with my head down. I mumble all my words I keep my feelings to myself only I never stand my ground I just stand around.

Un’anima soffocata ti rivolge una profonda confessione di solitudine in My dearest friend.

I’m gonna die of loneliness.

Ma Banhart non ti lascia trascinare nell’abisso tetro della sua anima ferita. La consolazione melanconica che pervade Seaside ti culla come le onde marine del sogno. La speranza più pura sboccia nell’ultima frase di My Dearest Friend. Le liriche di Banhart manifestano le sicurezze che gli rimangono dopo le ferite d’amore e del tempo, l’addio, l’abbandono del passato e la libertà. La tranquillità e l’armonia di Seahorse ti accarezzano placide finché non esplodono in un brillante crescendo psichedelico Morrisoniano e nel rock epos del finale.

I Leave my possesions to the wind Yeah I’m done with ever wanting anything. I can die satisfied, no desires do I hide, not today nor for the next 1000000000 lives.

Fiocchi di burro nel cielo. L’alba. La liberazione del gospel di Saved. Lontano sul campo un orecchio grigio balena. Un asino donchisciottesco attraversa la strada. Calpestando lo struggimento. So long old bean galoppa con te attraverso drappelli di selvaggi. Sbalzato dalla sua schiena tiri le loro barbe lunghe. La malinconia si è dileguata. Spirano nuvole dai colori surreali. Samba Vexillographica. Aria di tropicalismo, strizzate d’occhio da Gilberto Gil. Esoterici animali mettono in scena una danza gaia, vertiginosa. Nell’irresistibile allegria di Carmensita, gli animali zampettano e si affrettano a saltare da una nuvola pastello dall’altra. Ti sfoghi in un ballo festoso. Ancheggiare scomposto e scimmiesco. All’improvviso ti parla la voce di Nick Valensi (Strokes) raccontandoti in Shabob Shalom una favola surreale. L’Elvis ubriaco Devendra muove bricconescamente il bacino mentre il cacciatore della canzone va dietro alla sua preda, la figlia di un rabbino.

Darlin, I’ve seen you cakewalk to the immaculate conception. Shabop shalom baby, wont ya shabob shalom with me.

La canzone ti bacia la fronte sudata col suo cilindro doo-wop sexy e blasfemo. Who wrote the book of Job, sbertuccia Devendra per affermare poco dopo che il birbone è stato lui. La canzone mulina nonsense, gorgheggi stravaccati, sciolilinga puerili, in barba alla ragione.

Con Smokey Rolls Down Thunder Mountain lo spirito-libero-Devendra-Banhart consegna il suo capolavoro. Già in Cripple Crow Devendra si era liberato dalle radici folk lasciando indietro, nella polvere, critici tradizionalisti intenti a catalogarlo invano come „freak folk“ e „neo-hippie“. Invece si tratta semplicemente di un giovane artista dotato di spaventosa creatività e meraviglioso talento. I band mates Luckey Remington, Greg Rogrove, Pete Newsom e Andy Cabic, il produttore Noah Georgeson, e un piccolo esercito di ospiti e comparse, hanno regalato a Devendra la libertà di esprimersi e di pervadere l’album di una strana magia.

Magari dopo le tragedie personali il bambino è cresciuto un pò. Esperienze tristi fluttuano attraverso l’album di continuo. Ma non solo. In Smokey Rolls Down Thunder Canyon, la melanconia e l’allegria tentano un’esuberante danza insieme. L’intreccio tra virate stilistiche e spriali emotive indovina prospettive nuove, un ecclettismo spaventoso pervade dall’inizio alla fine un album che crea un microcosmo musicale e narrativo ammaliante. Se non si danno pieni voti a questo caleidoscopo strabiliante, non c’è speranza quest’anno per quelli che pesano il cuore come la ragione.

Abre los ojos soñador. Ritorna ad un mondo che non è meno radioso, meno ampio, meno delicato, meno folle. Solo un pò meno libero.

C Commenti

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Alessandro Pascale (ha votato 9 questo disco) alle 11:50 del primo ottobre 2007 ha scritto:

5 stelle?

non ricordo di averne ancora viste per rece di quest'anno. E' un atto sicuramento coraggioso nadine. A questo punto siamo obbligati ad ascoltare per verificare

ozzy(d) (ha votato 8 questo disco) alle 12:30 del primo ottobre 2007 ha scritto:

Saluti

Madame Nadine, Le Rinnovo i complimenti per il suo impeccabile stile recensoreo. L'album è decisamente raffinato e ben suonato, l'ispirazione non è ancora venuta meno al Banhart!

Alessandro Pascale (ha votato 9 questo disco) alle 10:07 del 2 ottobre 2007 ha scritto:

Ascoltato due volte

e mi sento già di potermi sbilanciare: lavoro davvero eccezionale. Nino rojo non mi era piaciuto e avevo un pò dimenticato questo autore che invece è riuscito a rilanciarsi in maniera formidabile mischiando una qualità impressionate di generi, influenze, stili con una raffinatezza eccezionale. non dò pieni voti solo perchè penso che per dare un punteggio così alto debba per forza scattare qualcosa dentro di sè, insomma dovrei ascoltarlo ancora un sacco di volte e dovrebbe diventare uno dei miei preferiti per avere il 10, voto che lascio una piccola isola di dischi eletti.

E cmq cara Nadine la tua recensione è davvero bella: fresca, poetica, quasi spensierata. Regge davvero bene il confronto con il disco in questione. brava!

rael (ha votato 6 questo disco) alle 15:36 del 2 ottobre 2007 ha scritto:

il disco non è pienamente convincente, è l'album meno particolare di banhart secondo me.

la recensione è molto ben scritta, ringrazio ancora la otto per avermi fatto avvicinare alla shannon wright, però ragazzi, dico un pò a tutti approfittando della visibilità di banhart, parliamo un pò più di musica, ultimamente si sta calcando un pò troppo la mano con queste metafore pseudointellettuali o voli pindarici presi a prestito un pò ovunque, siete ottimi scrittori ma scendiamo un pò più con i piedi per terra, si parla semplicemente di musica, spero sia critica costruttiva questa, nessuno se la prenda, un abbraccio.

SoulBrother (ha votato 9 questo disco) alle 15:57 del 2 ottobre 2007 ha scritto:

In disaccordo (con Rael)

In tutta onestà e da modesto recensore quale sono, molto più terra terra e grezzo (e lo dico senza salamelecchi nè ruffianeria), trovo VITALE che in un sito di musica si usino registri e stili diversi e che ci sia spazio, di tanto in tanto, per recensioni meno tecniche e, permettetelo, più alte.

Trovo inoltre un pò offensivo il termine "metafore pseudointellettuali o voli pindarici presi a prestito un pò ovunque" anche se detto come "critica costruttiva": non per la critica in sè, che è ben accetta e vitale in un'ottica dialettica, ma perchè trovo il linguaggio della recensione originale e ben poco derivativo (molto meno derivativo sicuramente del 99% della musica che gira) e sopratutto trovo geniale l'idea, che ha giustamente evidenziato anche Alessandro, di utilizzare per recensire il disco le stesse modalità utilizzate nel disco stesso.

Che evidentemente tu non apprezzi: personalmente invece, pur essendo un fautore degli avanguardisti del pop, trovo FONDAMENTALI artisti che sanno lasciare una loro impronta semplicemente grazie ad un registro espressivo distintivo. Questione di dettagli, ma dettagli vitali.

Il disco lo sto ascoltando da giorni e, personalmnete, sta già scaladno la mia top ten dell'anno: da tempo non sentivo un disco in grado di trasformare con tale grazia ed arte l'ecumenismo in virtù.

Il mio 9 se l'è già assicurato, ma a fine anno potrebbe anche essere di più.

Alessandro Pascale (ha votato 9 questo disco) alle 16:42 del 2 ottobre 2007 ha scritto:

che poi rael scusa eh ma te dici "si parla solo di musica in fondo"

Io ti ribatto: per me la cosa più sublime di cui si possa parlare è l'amore. E penso lo si debba fare con la poesia.

Poi però c'è la musica. E poi tutti gli altri sarcazzi.

Quindi dal mio punto di vista parlare di musica è qualcosa che si avvicina al sublime. E lo stile si deve adeguare.

DonJunio alle 17:28 del 2 ottobre 2007 ha scritto:

frau nadine!

Recensione più che buona, con il consueto stile di Nadine. Ognuno ha il suo modo di descrivere le vibrazioni di un album , l'importante è che se ne sviscerino compiutamente i contenuti.

rael (ha votato 6 questo disco) alle 9:07 del 3 ottobre 2007 ha scritto:

soulbro le critiche costruttive possono anche essere un pochino velenose, basta prenderle con la giusta misura e senza erigere le barricate di difesa, ecco peasyfloyd con la sua apologia dell'amore è stato simpatico (anche esagerato), riguardo il "modalità utilizzate nel disco stesso" e le varie originalità di cui parli preferisco non rispondere altrimenti ci fossilizziamo su questa recensione, ed era l'ultimo dei miei pensieri.

riguardo il disco in se non sono daccordo come già detto, dando un occhiata in giro per il web noto pareri simili al mio, questo non significa nulla, ma mi fa sentire meno solo, qui siete sempre tutti per uno uno per tutti.

e non denigrare il tuo stile (terra terra come tu dici), hai poca autostima, stai su, un abbraccio.

Dott. Fottermeier (ha votato 8 questo disco) alle 22:49 del 3 ottobre 2007 ha scritto:

Solo i soliti snob di ondarock potevano dare un misero 6 ad un disco del Devendra! Un saluto a Donjunio.

Ivor the engine driver (ha votato 7 questo disco) alle 9:27 del 5 ottobre 2007 ha scritto:

odio sto fricchettone trendy

....ma devo dire che sto disco male non è. è ultra derivativo ma qualcosa di affascinante ce l'ha lo ammetto, mi piace di + di Cripple Crow. Ma una domanda: quando canta in vibrato (soprattutto nei primi dischi) non ricorda inquietantemente a Fabio Concato??? Provate a sentire anche solo l'incipit di Seahorse e ditemi....

rubens (ha votato 10 questo disco) alle 17:19 del 5 ottobre 2007 ha scritto:

RE: odio sto fricchettone trendy

Eheh, come Concato. Devendra è il figlio putativo del Marc Bolan folk e pre-glam: provare per credere !

Cas (ha votato 7 questo disco) alle 10:35 del 12 ottobre 2007 ha scritto:

Il 10 lo do alla recensione,davvero splendida, purtroppo però il disco non mi ha per niente appassionato...mi sembra che banhart non si sia sbilanciato più di tanto. continuerò sicuramente ad ascoltarlo, chissà, forse si tratta solo di trovare la giusta chiave di lettura. per ora però il voto è sette

simone coacci (ha votato 9 questo disco) alle 14:58 del 24 novembre 2007 ha scritto:

Diavolo d'un Devendra!

Sarà che mi danno al c**** gli enfant prodige, o che mi fido poco degli eredi designati (vedrete, è altrettanto buono, avevano detto 30 anni fa di James Belushi e da allora neanche una risata!) fatto sta che 'sto Devendra l'avevo sempre un po' snobbato. Ora faccio mea culpa, supercazzola prematurata, atto di dolore e tutto l'immane apparato giaculatorio a porata di mano: questo disco è un caleidoscopio di stile e semplicità. Fare le cose semplici (e perciò pericolose)con stile, questa è arte. Un disco lungo e terso che abbacina e ammalia, non stanca, non incomoda, non mena il can per l'aia. Folk, soul, dub, doo wop (da qualche parte ho inteso pure un mezzo garage), psichedelia. Qualunque cosa sia, dovunque decidiate di riporlo, una cosa è certa: questo è il disco ideale per chiudere in bellezza l'anno solare. A lei, Madame Nadine, bacio la mano con deferenza. Incantevole.

fabfabfab (ha votato 10 questo disco) alle 15:15 del 7 giugno 2008 ha scritto:

troppo facile

Troppo facile. Con quella voce, quella chitarra e quella faccia potrebbe anche cantare "Le tagliatelle di nonna Pina". Qui abbassa i volumi (nel senso che se non alzi il volume non senti nulla ?, abbandona l' opulenza del disco precedente ("Cripple crow") e butta li un pezzo da 8 minuti straordinario. Questo il quinto disco. E il quinto capolavoro.

george (ha votato 10 questo disco) alle 18:33 del 7 aprile 2009 ha scritto:

....ma come si fa???

luca68 alle 11:03 del 18 febbraio 2010 ha scritto:

4 stelle

fermo restando che è uno dei pochi geni musicali rimasti,

questo è un grande disco, molto vario, dove spicca la monumentale "sea horse", ove mi ricorda i Jefferson Airplane.

come dischi,

preferisco i primi 2, unici

andyquasart (ha votato 9 questo disco) alle 23:10 del 25 settembre 2010 ha scritto:

5 stelle è preciso

devendra è uno di quelli che ho "studiato" abbastanza bene e questo disco è davvero il top della sua produzione nonostante io sia più affezionato a rejoicing the hands