Devendra Banhart
Smokey Rolls Down Thunder Canyon
Appello alla ragione
Spegni per un momento l’apparatus rationalis
Lascia andare severi principi, comparti stagni, pregiudizi
Versa via il vetriolo
Chiudi i tuoi occhi
Diventa bambino
Sii puerile ma sensibile.
Spalanca i tuoi sensi
Non imbarazzarti.
Ridi e piangi a dirotto
Assolviti.
Cerca il ragazzo con il sole negli occhi
Sogni d’arancia e cieli di marmellata
Attraversa un cosmo ipnotico
Una brezza vivida ti trascina su campi di note scintillanti. Veli tropicali, cavalcate gypsy, soul e funk, gospel e reggae, folk e psicedelia impazzano nel delirio sonoro di Smokey Rolls Down Thunder Canyon. Fantasia, esuberanza e fragilità si danno appuntamento segreto sulla pista di un Canyon misterioso. Topanga Canyon. Nelle montagne di L.A. Magari nell’aria ribolle ancora il polveroso effluvio di Neil Young. Magari si gode anche lui questa folla carnevalesca immersa tra nuvole strampalate.
Una chitarra bisbiglia. Una cetra vibra. Tenere voci latine invocano sospiri lievi. Melanconie galleggiano blande nell’aria. Un soffio. Cristobal. Il derwish Devendra Banhart e Gael Garcia Bernal (La Mala Educación) si sussurano segreti di una toccante bellezza. Luccicchio di tristezza e nostalgia implorano cose lontane, cristalline. Ombre. Selvaggi e animali si rifugiano nei loro nidi a origliare il sospiro lontano di Banhart e Rodrigo Amarante nel seducente Rosa. Reminscenze della delicatezza di Caetano Veloso. Sgomenti profondi ti entrano nelle ossa. Cuori spezzati evaporano in un cielo grigio. I lamenti animaleschi di Bad Girl. Le delicate anime sonnambule di Seaside. The Other Woman, col suo amaro borbottio roots reggae.
I walk with my head down. I mumble all my words I keep my feelings to myself only I never stand my ground I just stand around.
Un’anima soffocata ti rivolge una profonda confessione di solitudine in My dearest friend.
I’m gonna die of loneliness.
Ma Banhart non ti lascia trascinare nell’abisso tetro della sua anima ferita. La consolazione melanconica che pervade Seaside ti culla come le onde marine del sogno. La speranza più pura sboccia nell’ultima frase di My Dearest Friend. Le liriche di Banhart manifestano le sicurezze che gli rimangono dopo le ferite d’amore e del tempo, l’addio, l’abbandono del passato e la libertà. La tranquillità e l’armonia di Seahorse ti accarezzano placide finché non esplodono in un brillante crescendo psichedelico Morrisoniano e nel rock epos del finale.
I Leave my possesions to the wind Yeah I’m done with ever wanting anything. I can die satisfied, no desires do I hide, not today nor for the next 1000000000 lives.
Fiocchi di burro nel cielo. L’alba. La liberazione del gospel di Saved. Lontano sul campo un orecchio grigio balena. Un asino donchisciottesco attraversa la strada. Calpestando lo struggimento. So long old bean galoppa con te attraverso drappelli di selvaggi. Sbalzato dalla sua schiena tiri le loro barbe lunghe. La malinconia si è dileguata. Spirano nuvole dai colori surreali. Samba Vexillographica. Aria di tropicalismo, strizzate d’occhio da Gilberto Gil. Esoterici animali mettono in scena una danza gaia, vertiginosa. Nell’irresistibile allegria di Carmensita, gli animali zampettano e si affrettano a saltare da una nuvola pastello dall’altra. Ti sfoghi in un ballo festoso. Ancheggiare scomposto e scimmiesco. All’improvviso ti parla la voce di Nick Valensi (Strokes) raccontandoti in Shabob Shalom una favola surreale. L’Elvis ubriaco Devendra muove bricconescamente il bacino mentre il cacciatore della canzone va dietro alla sua preda, la figlia di un rabbino.
Darlin, I’ve seen you cakewalk to the immaculate conception. Shabop shalom baby, wont ya shabob shalom with me.
La canzone ti bacia la fronte sudata col suo cilindro doo-wop sexy e blasfemo. Who wrote the book of Job, sbertuccia Devendra per affermare poco dopo che il birbone è stato lui. La canzone mulina nonsense, gorgheggi stravaccati, sciolilinga puerili, in barba alla ragione.
Con Smokey Rolls Down Thunder Mountain lo spirito-libero-Devendra-Banhart consegna il suo capolavoro. Già in Cripple Crow Devendra si era liberato dalle radici folk lasciando indietro, nella polvere, critici tradizionalisti intenti a catalogarlo invano come „freak folk“ e „neo-hippie“. Invece si tratta semplicemente di un giovane artista dotato di spaventosa creatività e meraviglioso talento. I band mates Luckey Remington, Greg Rogrove, Pete Newsom e Andy Cabic, il produttore Noah Georgeson, e un piccolo esercito di ospiti e comparse, hanno regalato a Devendra la libertà di esprimersi e di pervadere l’album di una strana magia.
Magari dopo le tragedie personali il bambino è cresciuto un pò. Esperienze tristi fluttuano attraverso l’album di continuo. Ma non solo. In Smokey Rolls Down Thunder Canyon, la melanconia e l’allegria tentano un’esuberante danza insieme. L’intreccio tra virate stilistiche e spriali emotive indovina prospettive nuove, un ecclettismo spaventoso pervade dall’inizio alla fine un album che crea un microcosmo musicale e narrativo ammaliante. Se non si danno pieni voti a questo caleidoscopo strabiliante, non c’è speranza quest’anno per quelli che pesano il cuore come la ragione.
Abre los ojos soñador. Ritorna ad un mondo che non è meno radioso, meno ampio, meno delicato, meno folle. Solo un pò meno libero.
Tweet