R Recensione

3/10

Lavender Diamond

Imagine Our Love

Dopo un ep (The Cavalry Of Light) quanto meno discutibile i Lavender Diamond esordiscono sulla lunga distanza con un disco che conferma la propensione a ricercare nel folk cantautoriale degli anni ‘60 le radici del proprio sound, mutuandolo appena saltuariamente con sprazzi di indie-pop. Siamo nell’area della grande famiglia folk di Devendra Banhart e dei Vetiver e vicini agli svolazzi melodici lievi di Kate Bush e Liz Phaser.

I Lavender Diamond provengono dalle assolate spiagge della California e traghettano in questo disco un’atmosfera freak e gaudente che riporta alla mente l’attitudine (solo quella sia chiaro) degli hippies di un tempo.

Il problema grosso è che laddove Devendra e Vetiver sono riusciti a modo loro a mantenere un certo grado di piacevolezza estetica non si può dire altrettanto della nuova band in questione. Già solo il fatto che il gruppo comprenda quattro elementi è fonte di sconcerto, che la domanda che sorge spontanea dall’ascolto è: “dove diavolo sono gli strumentisti?

Oltre alla voce (che bisogna ammettere comunque molto bella di per sé) di Becky Stark gli strumentisti sembrano imbalsamati in un torpore inusuale anche per un disco folk. Non per niente i brani migliori sono quelli in cui il formato-canzone è maggiormente rispettato e si riescono ad assaporare soluzioni anche interessanti come il ritmo quasi underground di Like an arrow o le note di piano finalmente (abbastanza) incisive di Bring me a song.

Sono però solo piccoli spiragli, e se è vero che si riescono a trovare piacevoli anche melodie pop abbastanza vivaci e spensierate come Here comes one e Open your heart, nel complesso si resta sconvolti dall’esasperante pathos lirico che avvolge ogni brano.

Oh no è una vivida testimonianza dell’eccessiva presunzione (o forse di semplice ingenuità) della Stark, che di fatto fonda la struttura portante del brano sul suo canto imponente e melodioso oscurando accuratamente in un angolino il resto (il piano di accompagnamento e la seconda voce maschile).

Pensare però di puntare tutto sul cantato è una scommessa persa in partenza. Perché se è vero che a tratti, (rapidi e fugaci), si può restare affascinati dalle melodie vocali quasi angeliche, nel complesso la ripetizione reiterata dei medesimi modelli trasforma brani idilliaci come Garden Rose in nenie scontate e boriose. When you wake for certain, Dance until it’s tomorrow e il resto della scaletta sono canzoni senza nerbo dalle melodie annacquate e sature, alle soglie dell’inni religioso, nel complesso assai stucchevoli.

E se questo è il risultato complessivo, vien quasi da dire che i Lavender Diamond avrebbero fatto meglio a godersi un po’ di più le spiagge di Los Angeles e perdere meno tempo nella sala prove. Anzi, senza quasi.

V Voti

Voto degli utenti: 3/10 in media su 1 voto.
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