Vetiver
The Errant Charm
No ma io dico, Santo patrono della mancanza d’ispirazione, le capacità le hai, i mezzi tecnici anche, una certa rispettabilità pure, allora prenditi il tuo tempo. È un brutto periodo, hai problemi in casa, non hai voglia di fare niente? Aspetta, svagati un po’, iscriviti ad un corso di tiro con l’arco, vai al bar, adotta un cane del canile.
Invece no, siccome fai il musicista, decidi di fare un disco. E – sarà la primavera che ti toglie le forze o magari sei allergico al polline e starnutisci come un elefante con la rinotracheite – al posto di un disco ti viene fuori un’insalata senza sale, uno yogurt dietetico, un’amichevole estiva con risultato 0-0, un addio al celibato con gli amici di Comunione e Liberazione. Una noia mortale.
Ora, non che Andy Cabic e soci abbiano mai dato scossoni memorabili alla storia della musica, né siano mai stati autori di capolavori epocali. Eppure, dal 2004 in poi, sono saliti in corsa sul carrozzone freak-folk dell’amico Devendra Banhart e hanno pubblicato – con e senza l’aiuto di quest’ultimo – due ottimi dischi (“Vetiver” – 2004 e “To find Me Gone” – 2006), un disco di cover (“Thing of the past” - 2008) e un buon ritorno un paio di anni fa (“Tight Knit”). Dischi semplici, creati bilanciando i soliti ingredienti tipici del genere, eppure sempre arricchiti da alcuni brani folk dalla bellezza accecante (“Double”, “Father on”, “On a Nerve”, “On the other side"). Invece, in preoccupante analogia con quanto sta accadendo al genere di riferimento (primo fra tutti il Devendra Banhart stanco di “What will we be”), questo “The Errant Charm” è un disco noioso e annoiato, prevedibile dall’inizio alla fine, senza nemmeno l’aiuto di quegli episodi “rock” o “reggae” che donavano vitalità al disco precedente. In queste dieci tracce c’è solo pacata e distesa armonia folk, sussurrata e suonata in punta di piedi, pretenziosamente “classica” e priva di carattere.
Si fa fatica persino ad estrapolare i brani da questa tracklist tanto priva di scivoloni quanto di momenti interessanti, livellata all’altezza media di un folk rock acustico e rassicurante (“Right away”, “It’s beyond me” ), con qualche fascinazione chillwave fuori tempo massimo (“Can’t you tell”) e tentativi di aumentare il ritmo (“Wonder Why”, “Ride ride ride”) affogati in una palude di ballate svogliate ed evanescenti. Ridategli la marijuana.
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