R Recensione

8/10

Benjy Ferree

Leaving the Nest

Sei già pronto a concederti qualche momento di tranquillità dopo una giornataccia in ufficio, quando vedi alla finestra un troubadour bizzaro sbucare all’angolo della strada e avvicinarsi pian piano alla tua casa. Ha la faccia tosta, la barba lunga e bruna e sulla testa un capello astruso. Pare venire da una foresta stregata questa copia murnauesk di Robin Hood. Si ferma sotto la tua finestra a scrutarti con un sorriso stile Jack Nicholson in Shining. Resti di stucco e senti, inquieta, un rivolo di sudore scorrerti sulla fronte. Vedi la chitarra folk che ha in mano e lo riconosci. È Benjy Ferree.

Ne hai sentito parlare da qualche parte. Un tipo strambo. All’improvviso ti manda baci con la mano, e senza che gli sia stato richiesto, estrae la chitarra dalla custodia e comincia a cantare. La sua apparizione improvvisa, e poi le trombe e timpani nell' ispida “In the Countryside”, che citano tranquillamente e senza ritengno “Ob-La-Di, Ob-La-Da” dei Beatles, ti mettono in imbarazzo. Ti guardi intorno a controllare se qualcuno ti ha visto e chiudi velocemente la finestra e le persiane nella speranza che se ne vada più velocemente possibile prima che qualcuno si accorga che quel tizio si è piantato là fuori, sulla strada,a suonare per te e prima che arrivino a bussare alla tua porta per mandarvi via entrambi.

Non siamo nella foresta di Sherwood e quel Robin non ha intenzione di rubare la merce dei benestanti per donarla ai più disgraziati. Quello è arrivato dal Maryland e la sua intenzione è meno clamorosa, e diametralmente opposta :che pare al massimo quello abbia in testa di rubare la merce di Lady Marian. All’improvviso senti bussare alla porta. Distesa nel buio la tua disperazione si esaspera. Strisci verso la porta dell’appartamento. Ascoltando se qualche vicino sta per venire, guardi attraverso lo spioncino. Non c’è nessuno. Soltanto il tuo cuore.

Ti assale la pietà. È un artista fallito. Voleva fare l’attore e alla fine è finito a fare la babysitter per le stelline del più famoso paesino del mondo. Hollywood. Ritorni alla feritoia e sbirci fuori attraverso la fessura delle persiane. Un capanello di gente l’ha circondato e sta guardando incuriosito quel guitto americano. Ha fatto l’au pair per David Lynch. Il David Lynch di Lost Highway, Blue Velvet e Elephant Man e tutti gli altri goielli. Un attacco d’invidia si accende nelle tue sinapsi. Non ce l’hai nemmeno fatta fin lì nella tua vita.

Benjy Ferree intanto guadagna coraggio. Fa un cenno arrogante verso il rock con “Dogkillers”. E poi? Stenti a crederlo. Si mette a fischiare e strimpellare una cover di “A Little At a Time” di Johnny Cash.

Ma chi si crede di esserlo questo Benjy Ferree, che cita senza rispetto i più grandi musicisti del pianeta ? Nella successiva, delicata “Desert” crolla ancora l’ultimo tabù, quando spunta un fiddling à la Dylan, ne riprende il rilassato barcollare, ti sussurra stupore, anzi ammirazione e non ti resta che rimanere incantata ad ascoltare le sue parole. Come l’avesse percepito, guarda verso la tua finestra, ce la fai giusto in tempo a nasconderti, e continua a snocciolare i suoi assi più raffinati. Il pensiero va al lato più introverso di Sufjan Stevens e cerchi di dargli un'altra occhiata.

Sta guardando a terra. Pare triste. Non è rimasto niente della sua furia. Gli hai quasi già perdonato il suo attacco impertinente di prima. Vorresti quasi andare a consolarlo. Materna. Il troubadour cavalca la vena soffice e decide ti continuare con una delicata canzoncina folk à la Jeff Buckley (“Private Honeymoon”), non senza lasciarti sentire con qualche tocco ironico il carisma che esercita. Cominci a pentirti un po’ per la tua tenerezza di cuore e ad odiarlo per il suo infrangere così maleducatamente i confini dell’intimità.

Inaspettatamente prende un'altra direzione, si indirizza verso una vena più cool (“Leaving the Nest”). E ci resti secca. Che è semplicemente meraviglioso ciò che canta quel tizio strambo lì fuori. Ma perché non fa nemmeno più il minimo accenno nelle tua direzione ? Apri le persiane per guardare meglio cosa succede. Fuori, gente incantata che applaude. Cosa ci fanno quelle ragazzine intorno a lui, in gara a chi esibisce il loro sorriso più luminoso? Furibonda apri le persiane. E quello. Fa come se non se ne fosse accorto, fa il disinteressato, l’idiota. Ha trovato il pubblico, ormai. Allora è uno così… Vanitoso, egocentrico …

Ascolti i toni esuberanti e sicuri di “Hollywood Sign”, accenni alla sua passata vita hollywoodiana. Un’onda indiavolata ti travolge. Ti acciuffa mentre stai ballando. Il suo sguardo va dritto agli occhi. Arrosisci senza volere. Sì, lo sai benissimo cosa ti ha detto il tuo amico, che i ragazzi si comprano la chitarra per beccare qualche ragazza. Vabbè, se uno riesce a trarne quel miscuglio perfetto tra burla e delicatezza chi si frega.

E, si, lo sai benissimo che si ha fatto aiutare dal suo amico Brendan Canty dei Fugazi. Però, è qua, davanti alla tua finestra e ti piace la leggerezza e la faciloneria di questo troubadour un po’ strampalato, che suona l’armonica con il suo charme da mascalzone. E alla fine, anche se non lo ammetteresti mai in pubblico, un po’ sei contenta che non ce l’abbia fatta ad Hollywood.

V Voti

Voto degli utenti: 7,4/10 in media su 5 voti.
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Cas 8/10
REBBY 6/10

C Commenti

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doopcircus (ha votato 8 questo disco) alle 13:42 del primo maggio 2007 ha scritto:

Originale

Approccio recensorio molto originale: bella l'idea di applicare lo schema narrativo all'ambito critico della recensione. Disco interssante.

Cas (ha votato 8 questo disco) alle 17:11 del 9 agosto 2007 ha scritto:

davvero grazioso, un 7,5 non glielo leva nessuno! e bellissima recensione...