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R Recensione

7/10

Keaton Henson

Dear...

Per non essere visibile. Mantenere omeostatica, nonostante i costi, l’impalcatura di un Io, di difese così fragili; sensibilità senza pelle.

Esibirsi per un pubblico, per quanto piccolo e attento, è materializzare ogni singola paura. Amplificarne ogni sfumatura.

O meglio (attacchi di) panico, terrore: thauma da esporre, colto alla stregua di merce, per indiscreti sguardi, perforanti – nella carne, viva, un affondo. 

Nelle (sole, eterne) ventiquattro primavere di affrancamento dal mondo, di ripiegamenti obbligati (l’isolamento presso Heatrow) e ritiro nella fantasia, Keaton Henson è stato investito (per sua fortuna, sua unica consolazione), in punta di piedi, da un vortice d’ispirazione introversa, illuminata trascendenza esistenziale. E, quale artigiano della coscienza di sé, ha fatto in modo di declinare il tutto in poesia, illustrazione grafica.

Musica.

Dear…” ("una raccolta di canzoni che ha plasmato, e rovinato la mia esistenza"), suo primo lavoro solista, raschia l’osso di un folk intimo, domestico ed emotivo, rivolto sentimentalmente ad un alter, fonte inestricabile di struggimento, catastrofe privata; e rinnovata, inesauribile speranza.

Valgono, sì, i punti di contatto messi in evidenza, da buona parte della critica, tra Vernon e il giovane londinese: per urgenza comunicativa, volontà d’immergersi in un’estetica di cosmica solitudine, privazione umana. Non per forma complessiva, invero: come se, a differenza di Bon Iver, Henson rappresentasse a livello musicale il collasso del proprio teatro interno, forte di un tratto schizoide espresso (scriveva R. D. Laing, nella cornice della sua psichiatria esistenziale: davanti ad un’altra persona, nessuno si sente più vulnerabile ed esposto di un individuo con personalità schizoide) ed evidenziabile, a più riprese, nel corso del disco.

Il dialogo solo immaginato in “You Don’t Know How Lucky You Are” è concentrato, perverso, di gelosia idealizzata ("Does he know where your lips begin?"). Messaggio enfatizzato da uno stile, alla chitarra, qui estremamente tensivo, come un tumulto che scuote cronicità distimiche. In “Charon” il ricamo (vivida, “The Rip”) si fa grazia, mito ("There'll be coins on my eyes, to pay Charon before I let you near my son"), intessuto con un avvolgente arpeggio, diretto verso traiettorie eteree, sconfinate. Il coro, empatico, la fìne interpretazione su registro modulato, nonché la cromatura (da focolare invernale; Merritt, i suoi Magnetic Fields) dell’arrangiamento fanno di ”Not That You’d Even Notice” uno dei pezzi più ispirati di “Dear…”. E ancora: i bozzetti melodici, a cuore aperto e pianto strozzato sul nascere, di  "Sarah Minor" ("In spite of real distance, we'll always be close") , “Flesh and Bone” e "Nests" ("Oh mama, she broke my head, It's been four years and it does not end"); il fingerpicking desolato di "Oliver Dalston Browning" a braccetto con lo stilizzato movimento di "Party Song” – di sospiri e agonia. “Small Hands” è folk rurale, (interiore) distesa canadese.

Persona colta, e quanto meno strana, il nostro Keaton. Che risponde alle domande di Folk Radio Uk citando Keats e Lord Byron, o, in altre occasioni, esclusivamente via illustrazioni ad hoc per l’intervistatore. Di ricchezza concettuale, e di poche parole, quindi; parole che dalla sua bocca escono però copiose nel corso del disco, attraverso un’interpretazione dallo stile essenziale, ed emotivamente pervasiva, vicino a certe sfumature restituite da Conor J. O' Brien; sintomatologicamente affine a cantautori quali Elliott Smith, Mark Kozelek. Ispirato, e ancorato indirettamente, per sua stessa ammissione, al songwriting di Randy Newman.

Disco da avere, in cui crogiolare, “Dear…”; così come, ne siamo certi, lo sarà “Birthdays” - in uscita nei primi mesi del 2013.

V Voti

Voto degli utenti: 7,2/10 in media su 3 voti.
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Cas 6,5/10

C Commenti

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Cas (ha votato 6,5 questo disco) alle 0:04 del 28 novembre 2012 ha scritto:

che dire, "you don't know how lucky you are" è la cosa più toccante sentita quest'anno. tutto funziona, il bending della chitarra, gli armonici, la voce dolente, il crescendo emozionale (il testo, santoddio). il resto, tra alti e bassi (e con alti dico "charon", "sarah minor", "nests"), si mantiene comunque piacevole. insomma, a livello complessivo il disco non prende il volo (si deve affinare la tecnica e capire che fare a livello di produzione) ma riesce comunque a mettere a segno qualche colpo e dare buone speranze per il futuro. bravo mauro per la proposta!