R Recensione

7/10

Starless & Bible Black

Starless & Bible Black

Prendono il nome da un poema di Dylan Thomas e non dall’omonimo disco dei King Crimson, gli Starless & Bible Black, anche se con la band di Robert Fripp condividono l’animo progressivo e l’amore per le contaminazioni. Sono comunque altri i gruppi e le sonorità che balzano alla mente ascoltando questo (ottimo) esordio: Fairport Convention e Pentangle su tutti, ma più in generale il folk inglese progressivo dei tardi ’60s, oggetto da anni di riscoperta da parte del movimento neo folk, sulle due sponde dell’oceano , da Devendra Banhart a James Yorkston.

Senonchè alla chiave freak di tanti neofolksters à la page gli Starless & Bible Black preferiscono una vena più regolare, una maggior fedeltà ai modelli originali che , per fortuna, raramente sfocia nel manierismo. Un folk che si sposa felicemente con country, rock, blues, psichedelia e medievalismi assortiti, secondo un approccio progressivo e colto che fu tratto distintivo della già citata “scuola” inglese.

Ciò che più conta, l’esercizio non si rivela mai sterile e dà vita a impasti sonori mutevoli e cangianti, tra ipnotici country blues (Everyday and Night, Hermione), commoventi folk ballads (Time is For Leaving e Sirene) e inaspettati crescendo pop (The Birley Tree), prima di inabissarsi nella cupa spirale folk di Alright e nella Thompsoniana The Bitter Cup. Per poi riemergere, in extremis, nel pop arioso di 016-013.

Disco affascinante e sfaccettato, consigliato a chi vuole scoprire anche il lato meno glamour di un revival folk ancora in piena corsa.

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