R Recensione

8/10

TwinSisterMoon

The Hollow Mountain

Ogni estate viene voglia di trasferirsi in campagna e tornare indietro nel tempo. Mehdi Ameziane, la metà maschile dei francesi Natural Snow Buildings, sotto il nome TwinSisterMoon consegna un ottimo strumento per fare entrambe le cose standosene seduti a casa, con un disco, il terzo da solista, di buio ambient-folk ancestrale del tutto slegato dal ‘qui e oggi’.

L’appartata coppia francese formata da Ameziane e Solange Gularte, domiciliata a Vitré, Bretagna, pubblica tantissimo, come Natural Snow Buildings (“The Dance of The Moon and The Sun”, capolavoro doppio del 2006, resta l’apice della loro discografia), Isengrind (il solo-project di lei) e TwinSisterMoon. “The Snowbringer Cult” (2008) racchiudeva i tre diversi percorsi in un affascinante split tra folk sperimentale e drone che coniugava Vashti Bunyan e Current 93 senza apparente attrito.

Le due anime, folk pura e ambient/drone, si compenetrano anche in questo “The Hollow Mountain”, in una serie di quadretti pastorali assieme dolci e abissali, senz’altro fuori dalla contemporaneità febbrile, immersi in un favolismo senza tempo dalle tinte fosche e dal sapore sacrale. I momenti migliori rimangono, come già in passato, i brevi madrigali medievali in cui l’ermafroditica voce traccia, sopra la chitarra, melodie degne di racconti in costume o cantari altomedievali: “Unseen Seen” (La minore, Sol: niente di nuovo), “The Hollow Mountain”, “Bride Of The Spirits”, “Errand”, segnano leggere un sentiero tra i boschi di un folk celtico a rischio stereotipo ma di struggente intensità.

Interpolata a questo folklore da valligiani tinto di fantasy, si incastra una rustica spinta ambient che si manifesta, ad esempio, attraverso il rumore levigante dell’acqua (“Walhalla”) o uno scampanio festoso udibile tra cinguettii e ronzii (“Errand”: il finale di “High Hopes” dai Pink Floyd di “The Division Bell” riecheggia piuttosto chiaramente; vd. anche Clara Kindle). A ciò si sommano bordoni insistiti e sfocati, raramente violenti (“Druids”, ossia i Future Sound Of London di “My Kingdom” trasferiti dalla metropoli ai boschi), più spesso primordiali e pagani, ad aumentare un’impressione di fuga verso una natura religiosamente remota. Paradigmatiche “Conjuring”, la cui rumorosa coda selvaggia è una prosecuzione non scioccante dell’elegismo intimistico della prima parte, e “To The Green Pastures (Of The land Of The Dead)”, ballo popolare antico declinato in chiave sperimentale.

Assoluta grazia evasiva, quella di TwinSisterMoon, per un viaggio che vale la pena fare. Il nuovo Natural Snow Buildings, uscito quasi in contemporanea a questo, potrebbe, con le sue sei (!!) ore di musica, portare alla fuga assoluta. Ma tutto sommato il bello dei viaggi è che poi si ritorna.

V Voti

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