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R Recensione

7/10

Weyes Blood

The Outside Room

Suona decisamente eccentrica, nel quadro attuale della Not Not Fun, la pubblicazione di "The Outside Room". Natalie Mering, alias Weyes Blood, debutta con un lavoro folk fuori dal tempo e quasi mistico, su atmosfere pastorali e colori seppia che cozzano alla grande con i vortici di tinte neo-psichedeliche proposti di norma dall’etichetta di L.A.. Ma è, a dire il vero, eccentrico in toto, questo disco, nella sua sovrapposizione di un songwriting sconnesso in sperimentazioni ipnotiche (Linda Perhacs?) e sfondi drone e free-folk (Natural Snow Buildings e Fursaxa) su toni sempre cupi.

La Blood, di suo, ci mette una voce profonda, che cita l’austerità nordica di Nico e la modula in lied classicheggianti, attualizzati solo, e un po’ drogati, dalla strumentazione sfocata, piena di rumori indistinti e suoni scomposti, messi in prospettive esplose, sfasate (un mio amico direbbe: post-folk!). Così la batteria in “Storms That Breed” sembra seguire un delirio a sé, che si interseca con voce e organo solo a tratti, per incroci di piani cubisti, mentre il finale shitta il tutto in un magma di effetti e trambusti primordiale.

Nel lato A si concentrano le cose migliori, col madrigale gotico di “Dream Song” a giocare sugli intrecci vocali sopra un arpeggio di chitarra narcotico, con effetti di folk apocalittico da brividi (roba, ultimamente, da donne, vd. Chelsea Wolfe), reiterati dalla lunghissima “Candyboy” (9’25’’). C’è psichedelia anche qui, negli a-solo noir di organo, nei beat e negli inserti industrial, nella produzione che marca le tinte hauntologiche, sicché ne esce un disco più legato all’attualità di quanto possa sembrare a un primo ascolto. Solo le finali “In the Isle of Agnition” (bordoni e caos) e “His Song” (litania privata da cimitero preromantico) si fanno pura ineffabilità, fuori da ogni coordinata. E nella struggente “Romneydale”, di una bellezza superiore e finalmente pacificata, l’accompagnamento di scampanii, se a qualcosa rimanda, è a una Joni Mitchell divinizzata in una chiesa di campagna a festa.

Il disco non è di quelli che si fanno ascoltare spesso, ma neppure di quelli che capita spesso di poter ascoltare. Qua dico 7, perché non tutto è di uguale qualità, ma per i tipi meditativi un po’ dannati può valere ben di più.

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