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R Recensione

7/10

Morose/Campofame

Cinque pezzi facili. Volume 4

Seguo i Morose dai tempi de “La mia ragazza mi ha lasciato” (2003), dunque non potevo lasciarmi sfuggire questo split assieme ai Campofame. La Under My Bed Recordings ha deciso di pubblicare cinque volumi della collana “Cinque pezzi facili” in cui band di indubbio valore ma di scarso rendimento commerciale propongono cinque pezzi freschi freschi. In questa quarta edizione troviamo un EP dei Morose, “Dell’amore e dei suoi fallimenti”, e uno dei Campofame, “Deleted scenes” (due band tra loro interdipendenti). Dopo il succitato esordio e due dischi esentati della lingua madre (“People have ceased to ask me about you” e “On the back of each day”) e un ultimo CD in italiano (“La vedova d’un uomo vivo”), i Morose continuano la loro ricerca proponendo brani depressi, putridi, abbattuti come un amore finito. I Campofame, d’altro canto, figli di Steve Reich e Andrea Pazienza, ci si offrono dopo una discreta ma sparpagliata discografia che ora è difficile rintracciare con cinque canzoni candide e minimaliste, bellissime.

I Morose sono formati da Davide Landini (voce e chitarra acustica), Pier Giorgio Storti (Farfisa, voce, clarinetto, violoncello e sonagli) e Marco Monica (elettronica e campionamenti), con la collaborazione di Deborah Penzo (violino) ed Emmanuel Pidoux (batteria). Il loro EP prende il largo con la calma apparente di “Musica nelle valli di lacrime”, in un sordido lamento di echi letterari. Il sound, diversamente dalle prime produzioni, è ormai approdato ad un’essenzialità strumentale lo-fi in grado di rendere toccante qualsiasi passaggio armonico. Così è pure per “Nelle mie pagine bianche” e “Il desiderio”, mentre con “La Nuova Caledonia” i Morose raggiungono una personale vetta cantautorale: testo e musiche deandreiane, infiltrazioni elettroniche autogenerative e un mood generale da elogio funebre. Infine “Sino a che”, svogliata coda all’italiana, con la cadenza della ballata popolare e la raffinatezza di una centrale a carbone.

I Campofame sono altresì composti dai già citati Marco Monica (chitarra acustica e campionamenti) e Pier Giorgio Storti (violoncello, viola e chitarra elettrica), da Damiano Paroni (tastiere ed elettronica) e da Emanuele Missorini (basso e mandolino). Il loro EP è decisamente indietronico, ed è meraviglioso ascoltare questi ventisette minuti di dolcezza digitale, tra lungaggini alla Port-Royal e glitchose invadenze alla Bretschneider. Da “Nothing personal” a “Daughter”, passando per “Tallinn”, “Attitudes” e “Neighbourhood”, I Campofame inanellano un pentagramma di morbidezze elettroniche, con la chitarra che sembra pizzicare i beat, gli archi che aderiscono perfettamente ai synth, i pad a creare atmosfere oniriche e tutti quei suoni minuscoli che vengono qui e là ad illuminare la penombra di queste foschi frame.

Il quarto split della Under My Bed è dunque un esperimento riuscito, un esperimento che in Italia non trova altra strada se non quella del web o del live attrezzato all’ultim’ora. La musica dei Morose e dei Campofame merita maggior considerazione dagli addetti ai lavori e, anche se questi artisti devono ancora lavorare molto sulla voce e sulla complessità della trama sonora, il loro coraggioso inoltrarsi in territori poco battuti dai propri conterranei li pone ad un livello leggermente superiore: rinunciare alle comodità della piacevolezza pop per abbandonarsi all’autentica piacevolezza della ricerca musicale.

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skyreader alle 13:43 del 19 luglio 2013 ha scritto:

Toh, chi si risente... Quanto mi era piaciuto "On The Back Of Each Day"!