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R Recensione

6,5/10

Jason Isbell

Southeastern

Neil Young ha trasformato (meritatamente ) i southern men nel bersaglio preferito dei suoi strali, e una volta persino Banderas ha dedicato un discreto film alla follia che corrode il cervello della gente in Alabama (guardatelo, perché la moglie è una cosa magnifica).

Jason Isbell è geneticamente legato allo stato sudista per eccellenza da otto generazioni, in quei luoghi si è plasmato l'anima.

Quindi? E' in giro da una vita (Drive By.-Truckers, The 400 Unit), e ha sempre dimostrato di respirare southern rock. Ne 2013 pubblica il primo lavoro da leader tirannico, con il significativo ausilio della moglie al violino e di uno stuolo di collaboratri alle percussioni e alle voci.

Il risultato non delude, pur suonando forse troppo fedele ai canoni southern (del resto, il titolo è una meravigliosa dichiarazione d'amore): Jason miscela ballate country vagamente younghiane come "Yvette" (l'assassino torna sempre sul luogo del delitto), blues-rock più aggressivi e pulsanti sulla falsariga degli ZZ Top ("Super 8"). I paesaggi country-blues sono moderatamente inquieti e dolenti, ma non degenerano mai nel dramma: sono ora più solitari e spettrali ("Cover Me Up", forse il pezzo più bello, con vaghissimi accenti buckleyani nella melodia), ora più arzilli e on the road ("Traveling Alone", "Relatively Easy"). Gente come i Lynyrd Skynyrd rimane sempre il modello di riferimento imprescindibile, fatte le dovute proporzioni.

Jason, in sostanza, è sempre piuttosto ispirato, tanto che è difficile trovare pezzi brutti: d'altro canto, però, è altrettanto dura innamorarsi perdutamente di strofe e incisi, perché l'agognata illuminazione (quella che Bon Iver, per restare in territori affini, scova sempre con facilità disarmante) non arriva quasi mai. Tutto scorre bene, forse troppo bene, senza incertezze, senza mai abbandonare il registro "medio".

Questo è un disco buono per l'estate, per un'estate combattuta fra corse spensierate sul prato e bevute malinconiche. Riflessive, ma senza esagerare.

Per questa volta va bene così, personalmente non volevo imbattermi in un altro James Taylor, e non speravo di scoprire un nuovo Townes Van Zandt: mi basta che Jason si mangi la sua torta.

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