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R Recensione

7/10

Ty Segall

Sleeper

Ty Segall è una specie di “dinamo” musicale: più scrive, più suona, dal vivo o in studio, più si ricarica. E ricomincia a scrivere e a suonare con energia triplicata. Il suo talento di rocker e songwriter, insomma, è pari all’urgenza (e al piacere) del fare, iperattivo viaggia ormai alla media dischi l’anno, a suo nome, in collaborazione o sotto mentite spoglie. Per l’ascoltatore un po’ accidioso e disincantato, come ad esempio il sottoscritto, non è sempre facile stargli dietro, talvolta un’uscita la si perde per strada o finisce a prendere polvere in qualche angolo della collezione multimediale, ma il tempo speso (si fa per dire) di solito viene gratificato con gl’interessi. E questo vale anche per “Sleeper”, l’ottavo in cinque anni (solo contando quelli firmati col suo nome e cognome), nel quale Segall propende decisamente per un ritorno all’estetica per lo fi e cassette degli esordi, anche se con una maturità e un istinto melodico affinati nel tempo.

Fedele ad un approccio DIY, suonando da solo tutti gli strumenti (pochi e prevalentemente acustici) e registrando su un vecchio “otto piste” nel suo appartamento, Segall dà vita ad un album intimista, acido/onirico, affascinante, che recupera stilemi e sonorità anni 60 (sixties pop, psichedelia, folk britannico e country americano) alla luce delle proprie radici californiane ben affondate nel grezzo ma fertile terreno garage-punk e post core di quelle parti. L’energia ritmica, affidata più che altro agli staccati di chitarra (e in qualche caso di batteria), e la spontaneità con cui sa rielaborare spunti e rimandi che altrove suonerebbero come un semplice ricalco del passato ci regalano, anche stavolta, gioiellini come il folk scentrato e psichedelico di “Crazy”, qualcosa fra un Syd Barrett in via di guarigione e il Marc Bolan elfo tolkieniano pre-glam, il trip sghembo e screziato alla Roky Erickson dell’ipnotica “Queen Lullaby” le cui dissonanze culminano in una coda sabbatica e rumorista vecchio stile (VU), la deliziosa melodia barocco/sixties, risaltata dall’accompagnamento di viola e violino, di “She Don’t Care” che filtra inebriante fra le grinze della bassa fedeltà, climax melodico sotterraneo che ritorna anche nella più aspra e vibrata title-track, mentre “The Keepers” sembra omaggiare, con un giro di chitarra da manuale, il Neil Young di metà anni 70.

Un po’ meno a fuoco, sullo sfondo, il country-blues sudista, irsuto e sincopato, di “6th Street”, la nevrotica e percussiva “Come Outside” e il country sbronzo a briglia sciolta di “The West”completano una scaletta, anch’essa molto vintage (appena dieci brani un po’ come nei vecchi Lp), ottimamente dosata senza cedimenti o riempitivi. Da un lato forse lo vorremmo meno frenetico e impulsivo, più concentrato sulla realizzazione di quello che nelle sue mani potrebbe facilmente diventare il capolavoro alt rock del decennio, ma dall’altro è bello sapere di poter contare, anche due o tre volte l’anno, su uno come Ty Segall. Sempre ispirato e tarantolato, come comandano gli dei del rock. Uno che sarebbe piaciuto a Lester Bangs.

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Voto degli utenti: 6,8/10 in media su 4 voti.
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zagor 5,5/10
ThirdEye 7,5/10

C Commenti

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nebraska82 (ha votato 7 questo disco) alle 1:28 del 27 agosto 2013 ha scritto:

buon disco riflessivo, tra ryan adams e neil young, e non è la prima volta. immagino che il prossimo sarà più cattivo.

zagor (ha votato 5,5 questo disco) alle 14:22 del 27 agosto 2013 ha scritto:

bocciato, per me ty non è precisamente un cantautore, rende al meglio con canzoni energiche, grezze e veloci.

Franz Bungaro (ha votato 7 questo disco) alle 11:51 del 19 febbraio 2014 ha scritto:

E' vero, il problema di Ty Segall è che produce troppo e non fa mai niente di brutto. Probabilmente neanche niente di assolutamente memorabile. Ma questo, secondo me, è un problema dei nostri tempi in generale. Troppe informazioni, troppi input, troppa musica, troppi artisti, troppa roba...un artista non lo hai mai sentito nominare, e dopo 25 minuti ne diventi il massimo conoscitore mondiale... sembra che non ci sia mai il tempo di fermarsi e fare una cosa fatta veremanete bene. Lui però mi è quasi sempre piaciuto ed ha sempre avuto un modo ispirato di fare le cose ( Melted rimane il suo lavoro migliore) ed il lavoro con il power trio Fuzz (dove lui suona la batteria), sempre dello scorso anno, è qualcosa di veramente bello. Questo disco non è male, ma tutto quello che avrei potuto dire è stato scritto bene nella recensione.