Ty Segall
Sleeper
Ty Segall è una specie di dinamo musicale: più scrive, più suona, dal vivo o in studio, più si ricarica. E ricomincia a scrivere e a suonare con energia triplicata. Il suo talento di rocker e songwriter, insomma, è pari allurgenza (e al piacere) del fare, iperattivo viaggia ormai alla media dischi lanno, a suo nome, in collaborazione o sotto mentite spoglie. Per lascoltatore un po accidioso e disincantato, come ad esempio il sottoscritto, non è sempre facile stargli dietro, talvolta unuscita la si perde per strada o finisce a prendere polvere in qualche angolo della collezione multimediale, ma il tempo speso (si fa per dire) di solito viene gratificato con glinteressi. E questo vale anche per Sleeper, lottavo in cinque anni (solo contando quelli firmati col suo nome e cognome), nel quale Segall propende decisamente per un ritorno allestetica per lo fi e cassette degli esordi, anche se con una maturità e un istinto melodico affinati nel tempo.
Fedele ad un approccio DIY, suonando da solo tutti gli strumenti (pochi e prevalentemente acustici) e registrando su un vecchio otto piste nel suo appartamento, Segall dà vita ad un album intimista, acido/onirico, affascinante, che recupera stilemi e sonorità anni 60 (sixties pop, psichedelia, folk britannico e country americano) alla luce delle proprie radici californiane ben affondate nel grezzo ma fertile terreno garage-punk e post core di quelle parti. Lenergia ritmica, affidata più che altro agli staccati di chitarra (e in qualche caso di batteria), e la spontaneità con cui sa rielaborare spunti e rimandi che altrove suonerebbero come un semplice ricalco del passato ci regalano, anche stavolta, gioiellini come il folk scentrato e psichedelico di Crazy, qualcosa fra un Syd Barrett in via di guarigione e il Marc Bolan elfo tolkieniano pre-glam, il trip sghembo e screziato alla Roky Erickson dellipnotica Queen Lullaby le cui dissonanze culminano in una coda sabbatica e rumorista vecchio stile (VU), la deliziosa melodia barocco/sixties, risaltata dallaccompagnamento di viola e violino, di She Dont Care che filtra inebriante fra le grinze della bassa fedeltà, climax melodico sotterraneo che ritorna anche nella più aspra e vibrata title-track, mentre The Keepers sembra omaggiare, con un giro di chitarra da manuale, il Neil Young di metà anni 70.
Un po meno a fuoco, sullo sfondo, il country-blues sudista, irsuto e sincopato, di 6th Street, la nevrotica e percussiva Come Outside e il country sbronzo a briglia sciolta di The Westcompletano una scaletta, anchessa molto vintage (appena dieci brani un po come nei vecchi Lp), ottimamente dosata senza cedimenti o riempitivi. Da un lato forse lo vorremmo meno frenetico e impulsivo, più concentrato sulla realizzazione di quello che nelle sue mani potrebbe facilmente diventare il capolavoro alt rock del decennio, ma dallaltro è bello sapere di poter contare, anche due o tre volte lanno, su uno come Ty Segall. Sempre ispirato e tarantolato, come comandano gli dei del rock. Uno che sarebbe piaciuto a Lester Bangs.
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