Elliott Smith
Roman Candle
Roman Candle è tutto quello che viene prima: prima della notorietà, del successo, dei tour mondiali, delle interviste e delle prime di copertina sulle riviste musicali. Roman Candle è un lavoro intimo, la testimonianza di una sensibilità che con gli Heatmiser non riusciva proprio a venir fuori, sovrastata da una corazza indie rock che non faceva per Smith, forse consapevole che tanto valeva lasciare il genere a giganti come Fugazi, Nirvana e Dinosaur Jr. E no, Smith non era un gigante, al contrario: timido, riservato, semplice, finito ad Hollywood come Gus Van Sant era passato dai suoi ritratti americani alternativi al mainstream di Will Hunting, in maniera improvvisa, fugace (per registrare il brano candidato alloscar Miss Misery Elliott fu chiamato da Van Sant, a sua volta scelto da Ben Affleck e Matt Damon per la regia della loro sceneggiatura).
Odiavo la mia band, dichiarava Smith a Rumore nellaprile del 2000, raccontando la carriera parallela del biennio 1994-1995, quando, contemporaneamente alle sessioni con gli Heatmiser, registrava le sue canzoni a base di chitarra e voce finite sugli album Roman Candle (Cavity Search, 1994) e Elliott Smith (Kill Rock Star, 1995), entrambi pubblicati da piccole etichette indipendenti prima di finire stabilmente nel roster della Domino e, infine, di approdare alla Dreamworks.
Roman Candle è tutto quello che viene prima, si diceva, anche prima della consapevolezza di essere quel tipo di musicista, di essersi reso conto che sarebbe stata proprio quella la strada da percorrere. Spedito alla Cavity Search di Portland dalla sua ragazza (e manager degli Heatmiser) J.J. Gonson, lesordio di Elliott Smith è un lavoro dotato di una purezza incontaminata e di uningenua immediatezza, sospeso in un mondo separato, appartato. Ecco, proprio il suo essere una creazione contingente (se non accidentale) rende questo album tanto affascinante, tanto speciale. Non è un caso che si sia tirato in ballo Nick Drake per un paragone tra il suo Pink Moon e questo Roman Candle: entrambi gli album sono confessioni private svelate al pubblico, permeati fino al midollo di urgenza espressiva, per quanto il lavoro di Drake segni la fine di una carriera e quello di Smith ne annunci linizio.
Nonostante la bassa qualità della registrazione, è proprio il sound domestico di Roman Candle il trucco per dare alle nove canzoni in scaletta la giusta intensità. La chitarra suona diretta, senza filtri, lasciando spazio allimperfezione, alle strisciate delle dita sulle corde, eppure lo stile è perfetto: una tecnica di derivazione folk, con il pollice che fa da accompagnamento sulle corde basse e le dita che ricamano con eleganza modulando gli accordi spesso in arpeggio. Larrangiamento di Condor Ave. (originariamente scritta da Garrick Duckler, che negli anni 80 suonava con Smith negli Stranger Than Fiction e nei Murder of Crows) ha dellincredibile, con quelle continue variazioni ritmiche sulle corde ed un riuscitissimo afflato melodico, mentre la storia dipinge unintensa e contorta scena di abbandono. Così le tracce successive (le tre No Name), approfondiscono tanto la vena autoriale di Smith (estremamente malinconico e fatalista: killing time wont stop this crying, scrive in No Name #2), quanto la sua raffinata dote compositiva (le chitarre di No Name #1, composta dalla Gonson, ricordano Simon & Garfunkel, quelle di No Name #3 potrebbero anche fare a meno della voce tanta è la loro espressività). Lo spirito delle canzoni dellalbum è sospeso tra un disincanto allucinato (lostinato tremolio delle corde in Roman Candle: Im a roman candle, my head is full of flames) ed un cupo senso di malessere (Last Call, che torna a prediligere unelettricità densa e nera come la pece).
Dopo Roman Candle (e la sua versione a più alta definizione dellanno successivo) verrà altro: dischi registrati meglio, più compiuti e ascoltabili, forse migliori. Eppure in un ideale best of dellartista di Portland si potrebbero trascurare giusto due o tre brani dellesordio, che fisserà le coordinate emotive e stilistiche per gli episodi successivi. Una prima prova, questa, che ci regala un ritratto non mediato da giudizi postumi (chi avrebbe immaginato che sarebbe andata a finire così?), rendendoci un Elliott immerso nella sua atmosfera quieta, quotidiana, ancora non proiettata lungo un percorso. Roman Candle è espressività pura, cristallizzata. Una delle migliori testimonianze di quello che Smith sapeva fare meglio: scrivere e suonare canzoni. Senza il brusio di quello che stava fuori, senza il tormento di quello che cresceva dentro.
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