V Video

R Recensione

7/10

Laura Marling

Short Movie

L’apertura di Flux, il migliore esperimento di videoarte e third stream che l’Italia delle telecomunicazioni abbia mai conosciuto, era stata annunciata da uno spot fantastico. Ve lo ricordate? Un collage di immagini avveniristiche, al limite del surrealismo per la loro (solo apparente) non comunicabilità, sulle quali scivolava una narrazione poetica plurifocale, indefinita. “Do you know that everything comes from the source? / There is a drop of water that wants to be a germ / And a germ that wants to be a species / And there is a species that wants to evolve and dominate / And a kingdom that’s looking for a king / There is a king that wants to be a star / And a star that wants to be a spaceship / There is a spaceship that wants to settle the sea / And the sea that wants to tag the sky / There is the sky... there is the sky that wants to sing a song / And a song that wants to be a book / There is a book that wants to be loved / And love that wants to be a dream / And there is a dream... that wants to be the source”. L’eterno ritorno che sta alla base del mistero dell’esistenza, una ricorsività spiraliforme che ritorna, arricchita, al punto di partenza (la “valanga” spaziotemporale di Bergson, ricorderete): idea tanto semplice quanto geniale.

Anche Laura Marling, venticinque splendidi anni, è una goccia d’acqua che, partita dalla fonte, ritorna alla fonte come suo stesso archetipo e sogno primigenio: una candida regina che, svezzata con l’ambizioso sogno di crescere e dominare il proprio regno, ha bruciato le tappe con velocità sbalorditiva, sino a ritrovarsi – in appena otto anni – nella condizione di chi riparte da zero con la nuova consapevolezza di essere diventato un sicuro punto di riferimento. Così il suo corpo, diafano, longilineo, bellissimo si condensa in una stringa, diventa un punto, un semicerchio, da aquila si metamorfizza nei tratti (e nel trotto) di un fiero cavallo in technicolor. L’animale osserva tutto coi suoi occhi intelligenti e prende la parola. “Would you stay as your are, lying there / Kissing the rain off my shoulders / Answering questions with stares / Holding my chest like I’m a wild horse about to run away scared”, ansima, trafelato, in “Howl”. Una richiesta, implorante, d’aiuto e di compagnia, la cui eco riecheggia a lungo tra le pareti rocciose testimoni della gran carriera. A volte in forma di lucida e spietata autofiction: “It could have been you but it was anyone you see I never miss my chance to run / And I would go anywhere with you / I will go when you ask me to / How can I live without you? / How can I live?” (“How Can I”). Altrove una schietta ammissione di debolezza, preludio alla catarsi: “I was put upon this earth / I was doing fine without it / Now I can’t walk alone / I can’t walk alone” (“Walk Alone”), “Is it still okay that I don’t know how to be alone?” (“False Hope”). Molto più spesso la delusione sopravanza l’aspettativa, i lineamenti del muso si irrigidiscono, il cavallo nitrisce e sbotta: “Well I can’t be your horse anymore / You’re not the warrior I’ve been looking for / […] I’m just a horse on the moor / Where is my warrior I’ve been looking for?” (“Warrior”): il tutto perché, come sbandierato fieramente già in passato, “I’m a woman now, can you believe? / Only one thing I’m sure of and that’s that you deceive” (“Don’t Let Me Bring You Down”). Una maturità che è sentita come responsabilità e, di conseguenza, peso e maledizione: a tal proposito, l’allungo decisivo, conclusivo, il sussurro che spezza le ginocchia e sintetizza un intero mood è regalato da “I Feel Your Love” (“You must let me go before I get old / I need to find someone who really wants to be mine”).

Short Movie”, quinto disco in studio per Laura Marling, riflette integralmente le difficoltà della propria autrice di garantire una cifra di continuità, qualitativa e quantitativa, ventiquattro mesi dopo il capolavoro “Once I Was An Eagle”. Non più angelico e diabolico, terreno e soprannaturale, ondine e randagi, dunque, quanto acustica ed elettricità, America e Gran Bretagna, libertà e costrizione. Laura torna a casa dopo la fugace esperienza losangelina e si taglia i capelli (non una scelta felice), ma la forza e la pervasività dei suoi incubi non subiscono alcun depotenziamento biblico: il recital voce ed arpeggi di “Warrior”, stream of consciousness deprivato di reale polpa melodica e di un ritornello degno di questo nome, si schiaccia sulla prospettiva spettrale di un vaso di Pandora ricolmo di spifferi ed apparizioni sonore, mentre nel minimalismo di “Howl” (pare di sentire Laurie Anderson che rapsoda per i Fairport Convention…) sono sussunti sgocciolii pianistici e chitarre ovattate. Sono i due brani più lunghi e più direttamente affiliati alla lysis di strutture ed alternanze del precedente full length.

In verità, per chi molto ha amato la creazione concettuale di suite come “When Brave Bird Saved” (lo straordinario blocco eburneo formato da “Take The Night Off”, “I Was An Eagle”, “You Know” e “Breathe”), la varietà di toni ed umori di “Short Movie” rappresenterà una grande novità. Fugacemente citavamo prima l’America, eletta a rifugio escapista di Laura per qualche mese e poi nuovamente abbandonata: nelle pieghe del disco se ne trova molta, e liricamente (quel cavallo che corre nelle brughiere ha forse un fascino anglosassone, ma difficilmente potrebbe esistere senza l’idea stessa del West e dello spazio di conquista…) e, soprattutto, musicalmente, come mai prima dei tempi di Ethan Johns alla cabina di produzione. Giusto: quelli richiamati nell’avanzare speziato bossa di “Gurdjieff's Daughter” sono i britannicissimi Dire Straits di “Sultans Of Swing” (come, però, li suonerebbero The Band). Si tratta, in ogni caso, di una normalissima interferenza geografica. È forse la backing band di Julia Holter, o il violoncello sussultante di Julia Kent a puntellare il crescendo mozzafiato della title track? Sicuramente no, ma l’effetto è simile. La tensione, satura di elettricità, del wave-rock di “False Hope” (un basso in primo piano che sfuma solo all’approcciarsi di un bridge interpretato con grazia gospel), occhieggia nel backyard della Shannon Wright di “Secret Blood”: il blues di “I Feel Your Love” pizzica e volteggia con vigore inaudito (gli archi qui esasperano le ferite, anziché lenirle), mentre “Divine” sembra una brillante prova college interpretata con l’autorevolezza della songwriter d’altri tempi.

Laura è da sempre parca nell’esibirsi dal vivo (l’Italia è stata ancora una volta esclusa dal tour promozionale del disco), specialmente da quando i suoi brani hanno cominciato ad essere incorniciati in una nuova e diversa dimensione, quella dei teatri e delle chiese sconsacrate. Nei pochi frammenti resi disponibili sul web si può notare chiaramente, tuttavia, la tendenza – assolutamente dylaniana – a recitare, anziché modulare, le linee vocali dei nuovi brani, in una modalità da chit chat sardonico e graffiante già presente in alcuni vecchi brani (“You Know”) e, sul nuovo platter, ottimamente esemplificata dalla velenosa “Strange” (una “Master Hunter” dalle percussioni metalliche e dal più pronunciato tasso tecnico di esecuzione). Non c’è dubbio che la scelta sia mirata: altrettanto evidente è che molti pezzi ne escono sbertucciati. Manifestazione di un’artistica volontà autodistruttiva? Lo scopriremo solo vivendo. Altri piccoli accorgimenti non mancano di instillare il tarlo del dubbio: piacciono poco i flanger ottantiani del sinuoso indie rock di “Don't Let Me Bring You Down”, diviene difficile pronunciarsi su autonomia e identità del folk anglosassone di “How Can I” (nell’economia della tracklist, spaesato e vagamente fuori luogo). Sono gli effetti collaterali della rinnovata eterogeneità che, d’altro canto, partorisce anche la palpitante elegia di “Walk Alone” (un paradisiaco campo lungo cinematografico) e il Nick Drake femmineo di “Easy”, spegnendosi infine nella lallazione redentrice di “Worship Me”.

E per adorarti ti adoriamo, Laura, figurarsi. Se questa, per certi versi, può essere considerata una prova di transizione, c'è solo da immaginare come può suonare un disco a pieno carico!

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Voto degli utenti: 8/10 in media su 13 voti.
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Lepo 9/10
creep 7,5/10
zagor 7,5/10
unknown 10/10
Cas 8/10
gramsci 9,5/10
cedrata 7,5/10
hiperwlt 6,5/10
loson 8/10
andy capp 9,5/10
Robinist 7,5/10

C Commenti

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zagor (ha votato 7,5 questo disco) alle 16:11 del 20 aprile 2015 ha scritto:

Disco molto bello, come detto nel foro vivacizza un po' il suo solito folk mitchell-sandydennyano con un po' di influenze elettriche ( PJ Harvey mi sembra il modello più ricorrente, anche a livello vocale e di tematiche più adulte rispetto al solito). Recensione strepitosa.

Lepo (ha votato 9 questo disco) alle 16:49 del 20 aprile 2015 ha scritto:

Sì, recensione molto bella. Dissento però dal giudizio: per me questo è finora il disco più bello della cantautrice, davvero magnifico nella sua eterogeneità. Diversi pezzi tra i migliori di questo 2015.

unknown (ha votato 10 questo disco) alle 18:32 del 20 aprile 2015 ha scritto:

Questo è il suo vero capolavoro ..come ho detto già qualche giorno fa...per me questo disco sarà un punto di riferimento per un certo tipo di cantautorato futuro

..è una mia opinione ovviamente

Cas (ha votato 8 questo disco) alle 20:25 del 20 aprile 2015 ha scritto:

mi piace moltissimo come la Marling sta portando avanti il suo discorso conquistando nuovi spazi, sperimentando, mettendo in mostra -per la prima volta in maniera tanto risoluta- oltre ai punti di forza anche certe debolezze marcate (penso agli acuti rauchi della splendida "Walk Alone"). Tutto questo senza mai sedersi sugli allori, in un continuo sforzo migliorativo. "Short Movie" è un album completo, vario, dotato di un'espressività energica come non mai. Molto riusciti, a mio parere, i brani "rock" del lotto, come trovo sgargiante il lavoro complessivo sugli arrangiamenti e su un chitarrismo che questa volta mi ha portato alla mente più Jimmy Page che un qualche altro chitarrista folk.

Insomma, qui si completa il trittico delle meraviglie facendo ben sperare per il futuro.

nebraska82 (ha votato 6,5 questo disco) alle 20:34 del 21 aprile 2015 ha scritto:

cantautorato un po' anodino e prevedibile, con qualche occasionale guizzo che si eleva sulla media, come "Don't let me bering you down" e "False hope" .

cedrata (ha votato 7,5 questo disco) alle 15:23 del 5 maggio 2015 ha scritto:

Recensione impressionante, bravo davvero. Laura Marling alla faccia di una discografia già di gran livello che irride l'anagrafica di sta bimba, non si ferma, esplora e si "elettrifica". Non tutto funziona a meraviglia, ad esempio secondo me toppa il brano di apertura ma siamo su livelli alti alti. A mio avviso però inferiore al precedente (capolavoro totale) e forse anche a I Speak because I can che adoro.

REBBY alle 18:07 del 7 luglio 2015 ha scritto:

Più vario ed immediato rispetto al suo precedente capolavoro (senza età), potrebbe anche essere come dice Marco (d'altra parte segue la Marling, come nessuno che io conosca, da quand'era ancora bambina) un album di transizione (magari nel prossimo userà solo l'elettrica eheh). In ogni caso Short Movie conferma il talento superiore di questa cantautrice, se ce ne fosse ancora stato bisogno.

loson (ha votato 8 questo disco) alle 9:15 del 8 luglio 2015 ha scritto:

Non si ferma mai, guarda avanti, cambia senza snaturarsi. Lei mi piacerà sempre.

Robinist (ha votato 7,5 questo disco) alle 22:31 del 17 febbraio 2019 ha scritto:

Disco ben fatto anche se un gradino al di sotto dei due precedenti e di Semper Femina.

E' suggestivo e si distingue dagli altri lavori, ma alcuni pezzi li trovo personalmente poco riusciti (False Hope, Divine e la title track).

Peccato aver lasciato fuori Daisy, per me uno dei pezzi migliori di questo Short Movie.