Laura Marling
Short Movie
Lapertura di Flux, il migliore esperimento di videoarte e third stream che lItalia delle telecomunicazioni abbia mai conosciuto, era stata annunciata da uno spot fantastico. Ve lo ricordate? Un collage di immagini avveniristiche, al limite del surrealismo per la loro (solo apparente) non comunicabilità, sulle quali scivolava una narrazione poetica plurifocale, indefinita. Do you know that everything comes from the source? / There is a drop of water that wants to be a germ / And a germ that wants to be a species / And there is a species that wants to evolve and dominate / And a kingdom thats looking for a king / There is a king that wants to be a star / And a star that wants to be a spaceship / There is a spaceship that wants to settle the sea / And the sea that wants to tag the sky / There is the sky... there is the sky that wants to sing a song / And a song that wants to be a book / There is a book that wants to be loved / And love that wants to be a dream / And there is a dream... that wants to be the source. Leterno ritorno che sta alla base del mistero dellesistenza, una ricorsività spiraliforme che ritorna, arricchita, al punto di partenza (la valanga spaziotemporale di Bergson, ricorderete): idea tanto semplice quanto geniale.
Anche Laura Marling, venticinque splendidi anni, è una goccia dacqua che, partita dalla fonte, ritorna alla fonte come suo stesso archetipo e sogno primigenio: una candida regina che, svezzata con lambizioso sogno di crescere e dominare il proprio regno, ha bruciato le tappe con velocità sbalorditiva, sino a ritrovarsi in appena otto anni nella condizione di chi riparte da zero con la nuova consapevolezza di essere diventato un sicuro punto di riferimento. Così il suo corpo, diafano, longilineo, bellissimo si condensa in una stringa, diventa un punto, un semicerchio, da aquila si metamorfizza nei tratti (e nel trotto) di un fiero cavallo in technicolor. Lanimale osserva tutto coi suoi occhi intelligenti e prende la parola. Would you stay as your are, lying there / Kissing the rain off my shoulders / Answering questions with stares / Holding my chest like Im a wild horse about to run away scared, ansima, trafelato, in Howl. Una richiesta, implorante, daiuto e di compagnia, la cui eco riecheggia a lungo tra le pareti rocciose testimoni della gran carriera. A volte in forma di lucida e spietata autofiction: It could have been you but it was anyone you see I never miss my chance to run / And I would go anywhere with you / I will go when you ask me to / How can I live without you? / How can I live? (How Can I). Altrove una schietta ammissione di debolezza, preludio alla catarsi: I was put upon this earth / I was doing fine without it / Now I cant walk alone / I cant walk alone (Walk Alone), Is it still okay that I dont know how to be alone? (False Hope). Molto più spesso la delusione sopravanza laspettativa, i lineamenti del muso si irrigidiscono, il cavallo nitrisce e sbotta: Well I cant be your horse anymore / Youre not the warrior Ive been looking for / [ ] Im just a horse on the moor / Where is my warrior Ive been looking for? (Warrior): il tutto perché, come sbandierato fieramente già in passato, Im a woman now, can you believe? / Only one thing Im sure of and thats that you deceive (Dont Let Me Bring You Down). Una maturità che è sentita come responsabilità e, di conseguenza, peso e maledizione: a tal proposito, lallungo decisivo, conclusivo, il sussurro che spezza le ginocchia e sintetizza un intero mood è regalato da I Feel Your Love (You must let me go before I get old / I need to find someone who really wants to be mine).
Short Movie, quinto disco in studio per Laura Marling, riflette integralmente le difficoltà della propria autrice di garantire una cifra di continuità, qualitativa e quantitativa, ventiquattro mesi dopo il capolavoro Once I Was An Eagle. Non più angelico e diabolico, terreno e soprannaturale, ondine e randagi, dunque, quanto acustica ed elettricità, America e Gran Bretagna, libertà e costrizione. Laura torna a casa dopo la fugace esperienza losangelina e si taglia i capelli (non una scelta felice), ma la forza e la pervasività dei suoi incubi non subiscono alcun depotenziamento biblico: il recital voce ed arpeggi di Warrior, stream of consciousness deprivato di reale polpa melodica e di un ritornello degno di questo nome, si schiaccia sulla prospettiva spettrale di un vaso di Pandora ricolmo di spifferi ed apparizioni sonore, mentre nel minimalismo di Howl (pare di sentire Laurie Anderson che rapsoda per i Fairport Convention ) sono sussunti sgocciolii pianistici e chitarre ovattate. Sono i due brani più lunghi e più direttamente affiliati alla lysis di strutture ed alternanze del precedente full length.
In verità, per chi molto ha amato la creazione concettuale di suite come When Brave Bird Saved (lo straordinario blocco eburneo formato da Take The Night Off, I Was An Eagle, You Know e Breathe), la varietà di toni ed umori di Short Movie rappresenterà una grande novità. Fugacemente citavamo prima lAmerica, eletta a rifugio escapista di Laura per qualche mese e poi nuovamente abbandonata: nelle pieghe del disco se ne trova molta, e liricamente (quel cavallo che corre nelle brughiere ha forse un fascino anglosassone, ma difficilmente potrebbe esistere senza lidea stessa del West e dello spazio di conquista ) e, soprattutto, musicalmente, come mai prima dei tempi di Ethan Johns alla cabina di produzione. Giusto: quelli richiamati nellavanzare speziato bossa di Gurdjieff's Daughter sono i britannicissimi Dire Straits di Sultans Of Swing (come, però, li suonerebbero The Band). Si tratta, in ogni caso, di una normalissima interferenza geografica. È forse la backing band di Julia Holter, o il violoncello sussultante di Julia Kent a puntellare il crescendo mozzafiato della title track? Sicuramente no, ma leffetto è simile. La tensione, satura di elettricità, del wave-rock di False Hope (un basso in primo piano che sfuma solo allapprocciarsi di un bridge interpretato con grazia gospel), occhieggia nel backyard della Shannon Wright di Secret Blood: il blues di I Feel Your Love pizzica e volteggia con vigore inaudito (gli archi qui esasperano le ferite, anziché lenirle), mentre Divine sembra una brillante prova college interpretata con lautorevolezza della songwriter daltri tempi.
Laura è da sempre parca nellesibirsi dal vivo (lItalia è stata ancora una volta esclusa dal tour promozionale del disco), specialmente da quando i suoi brani hanno cominciato ad essere incorniciati in una nuova e diversa dimensione, quella dei teatri e delle chiese sconsacrate. Nei pochi frammenti resi disponibili sul web si può notare chiaramente, tuttavia, la tendenza assolutamente dylaniana a recitare, anziché modulare, le linee vocali dei nuovi brani, in una modalità da chit chat sardonico e graffiante già presente in alcuni vecchi brani (You Know) e, sul nuovo platter, ottimamente esemplificata dalla velenosa Strange (una Master Hunter dalle percussioni metalliche e dal più pronunciato tasso tecnico di esecuzione). Non cè dubbio che la scelta sia mirata: altrettanto evidente è che molti pezzi ne escono sbertucciati. Manifestazione di unartistica volontà autodistruttiva? Lo scopriremo solo vivendo. Altri piccoli accorgimenti non mancano di instillare il tarlo del dubbio: piacciono poco i flanger ottantiani del sinuoso indie rock di Don't Let Me Bring You Down, diviene difficile pronunciarsi su autonomia e identità del folk anglosassone di How Can I (nelleconomia della tracklist, spaesato e vagamente fuori luogo). Sono gli effetti collaterali della rinnovata eterogeneità che, daltro canto, partorisce anche la palpitante elegia di Walk Alone (un paradisiaco campo lungo cinematografico) e il Nick Drake femmineo di Easy, spegnendosi infine nella lallazione redentrice di Worship Me.
E per adorarti ti adoriamo, Laura, figurarsi. Se questa, per certi versi, può essere considerata una prova di transizione, c'è solo da immaginare come può suonare un disco a pieno carico!
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