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R Recensione

6,5/10

Med In Itali

Coltivare piante grasse

La leggenda dice di una band formatasi letteralmente per strada, quando nel 2007, al pari di altre centinaia di giovani europei, esercitavano l’attività di buskers sulle strade d’Irlanda. Attività che richiede solitamente una strumentazione acustica. E tale è rimasta l’impronta musicale della band torinese, che dopo due E.P. giunge oggi al disco d’esordio sulla lunga distanza. Formazione acustica e atipica (Niccolò Maffei voce e chitarre acustiche, Matteo Bessone batterie, Amedeo Spagnolo sax, flauto e clarinetto, Nello Zappalà basso), che potrebbe sembrare limitata, e invece permette alla band di spaziare nel mare della musica, dimostrando una buona attitudine alla sperimentazione.

Non so quanto il jazz rientri negli ascolti della band, ma è forse la connotazione più evidente che emerge dall’ascolto del disco, a partire dal primo brano, Perle Umide, giocato su ritmi funky bastardi, un pop dall’anima r’n’b impreziosito da un ottimo sax jazzy. Quest’aria vagamente jazz la ritroviamo in Schiava Di Un'Idea, un lento con atmosfera soffusa, cantato e suonato quasi in sordina, in cui grazie al sax  predominano le atmosfere da jazz club, su cui si appoggia un testo notevole, forse il più riuscito del disco (potremmo ritornare ad abitare, le macerie del centro città, faremo figli a quarant’anni, e vivremo di precarietà).

Ma questa ipotesi di jazz è solo uno dei colori della tavolozza della band torinese. Lungo il corso delle undici tracce del disco troviamo infatti l’aria tra il circense e il caraibico di 7 Fiori, con i suoi ritmi sghembi e complessi e le sue  citazioni musicali varie che si intersecano tra loro, o il quasi tango di Coltivare Piante Grasse nel cui testo affiora il tema ecologico (abbiamo rubato alla terra per seminare cemento, splende il grigio in città), o il pop di Cambiato Sono, con tanto di ritornello fischiettato, anche se rimane il carattere distintivo della band, cioè quella dose di originalità che li rende difficilmente incasellabili in un genere musicale ben definito.

Lo dimostra Musicista Precario, una base jazzy dove spicca il sax e in cui si inserisce un’aria reggae dub. È il brano in cui arriva la zampata ironica su un problema che evidentemente conoscono bene, quello della vita dei musicisti nel nostro paese, sempre maltrattati e sfruttati (continuerai a dire che ti basta, finire il mese quattro soldi in tasca, continuerai a dire che va bene, fare il concerto e pagarti da bere).

In Mia Identità è di nuovo il sax a tirare le fila di un brano ancora una volta spiazzante: quando ti sembra di riconoscere lo schema della classica canzone d’autore, ecco che entra il clarinetto e ne trasforma (appunto) l’identità. La Luce Del Sole è un altro brano dalle molte facce e sfumature, con una base jazz usata per ricamarci sopra e divagare per altri lidi musicali.

Ed è questa in fondo la caratteristica principale del disco, la capacità di mischiare suoni e atmosfere, in modo naturale e non forzato, che rende i Med In Itali eclettici e semplici ad un tempo. Musicisti dotati e curiosi, non disdegnano l’attenzione ai testi, che anzi sono parte centrale del lavoro al pari delle musiche, passando dall’ironia sul mondo della musica in Italia alla situazione sociale del nostro paese, senza dimenticare un tocco di poesia. Notevoli da questo punto di vista i testi di Rabbia e della conclusiva Svanita Paura, chiusura perfetta per un disco ottimo.

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