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R Recensione

8/10

Paolo Saporiti

Bisognava dirlo a tuo padre che a fare un figlio con uno schizofrenico avremmo creato tutta questa sofferenza

Tormenti. Complessi. Dubbi. Indecisioni. Il raffinato chanteur Paolo Saporiti in un incontro/scontro radicale con il suo alter ego, la bestia oscura, la sfinge indecifrabile. Venti minuti a testa ed un campo di battaglia per il quale si ode il fragore della battaglia, ma non le conseguenze della stessa: si intuisce la ferocità dello scontro, ma non si vedono ossa, sangue, sudore. Una bomba al cobalto dove i neutroni sono giunti ad un livello tale di astrazione da dover dubitare della loro stessa presenza. Milleduecento secondi e milleduecento domande. Perché ritornare, una manciata di mesi appena dopo il grandioso s/t? Perché farlo con un lavoro con questo titolo? Perché un titolo così lungo? Ogni riferimento è puramente casuale, o si tratta ancora una volta di una finzione narrativa? Bisogna interpretare i testi con un bigino di Jung sottomano, oppure prenderli come mero esercizio letterario? Perché due dischi con le stesse canzoni, ma con diverse vesti? Perché un lato bianco, l’altro nero? Perché le tracklist non coincidono, l’ordine è sfasato? Perché una doppia cover dell’“Hotel Supramonte” di Fabrizio De André? Quale rapporto tra il rapimento, fisico, di Faber, e il rapimento, estatico, di Saporiti? In che modo il brano si inserisce nel discorso degli autografi? In che modo questa prova si lega, musicalmente e liricamente, a quelle precedenti?

Si è già scritto molto, su “Bisognava dirlo a tuo padre che a fare un figlio con uno schizofrenico avremmo creato tutta questa sofferenza”: il più delle volte, ahinoi, a sproposito. Instant stereotype (come tale, liberamente e facilmente sbugiardabile) è, ad esempio, ritenere che la prima parte, che vede Paolo alle prese con il supporto di Raffaele Abate in fase di arrangiamento e quello di Roberto Zanisi (bouzouki, dobro), Luca Pissavini (basso, contrabbasso), il fidato Cristiano Calcagnile (batteria, ovviamente, ma anche Fender Rhodes e DrumTableGuitar), Raffaele Kohler (tromba, flicorno) e Armando Corsi (chitarra classica) per le registrazioni, sia, in qualche modo, la versione “pacificata” ed addomesticata della seconda. Assurdamente fallace è quest’etichetta, quando appiccicata addosso a, mettiamo, “Figlio Di Madre Incompleta”. L’andamento claustrofobico e cripto-edipico del testo di Saporiti, reso con profondità da crooner ctonio, viene sbertucciato dai bassi, si disgrega in tessere ritmiche buckleyane – l’inevitabile evoluzione di “War (Need To Be Scared)” prima, di “Come Hitler” poi –, dissolvendosi infine in uno schiumare impro jazz frastagliato da escrescenze elettroniche. È un punto di rottura evidentissimo, che tuttavia viene ampiamente preannunciato sia dall’assordante crescendo di “A Modo Mio” (folk anglosassone che si smaterializza in volute post rock) che, soprattutto, dalle venature gitane della lacerante filastrocca cantautorale di “In Costante Naufragio” (come immaginare la casa dei Pineda infestata da eeries, spookies e phantasms). Persino il minimalismo acustico di “Per L’Amore Di Una Madre” (j’accuse alla figura materna da mozzare il fiato) viene pervaso da brividi percussionistici e da lontane, secondarie glasse chitarristiche, mentre il ritornello di “Io Non Resisto” si staglia su di un funereo landscape di fiati la cui progenitura è da ascriversi, nell’Italia contemporanea in note, ai Giardini Di Mirò de “Il Fuoco”.

Dissociazione e squilibrio sono, dunque, caratteristiche costanti e trasversali dell’intero disco: nello specifico della metà compartecipata da Xabier Iriondo, accentuate peculiarità. Il processo di scomposizione e decomposizione dell’ego di Paolo Saporiti è il riflesso lirico delle barbarie perpetrate sul materiale sonoro, esperimenti arditissimi ed impensabili per un songwriter tout court. Quale Saporiti, attenzione, non è più, non soltanto, da molti anni: mette spavento ascoltare le macerie di “Hotel Supramonte”, dove tutti gli schemi si sciolgono in un coacervo di spari, ronzii, traccheggi sintetici, lasciando la voce a penzolare nel baratro, annegata nel buio (come dei Signs Reign Rebuilder convertiti all’industrial). Dell’esuberanza di “Figlio Di Madre Incompleta” restano zaffate di rāga in putrefazione e voce distorta dal vocoder: “Per L'Amore Di Una Madre” evapora nelle medesime nuvole di friggione che avevano avvolto alcuni episodi di “Irrintzi”; straniante e labilmente psichedelica è “In Costante Naufragio”, trasformata in sconnesso sovrapporsi di piani avant rock, in una tenzone che impegna il ricco melismo vocale di Saporiti e lo sbilenco pigolare etno di Iriondo.

Chi obiettasse attorno all’impossibilità di conciliare diavolo ed acqua santa non conosce ancora la moderna parabola di Paolo Saporiti, giunto oggi, col suo progetto più breve ed atipico, al capolavoro artistico. Oltre queste sponde, due possibilità: la free form o l’abisso.

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Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

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fabfabfab alle 11:20 del 8 aprile 2015 ha scritto:

Il premio "titolo dell'anno" è già assegnato

Marco_Biasio, autore, alle 11:35 del 8 aprile 2015 ha scritto:

Eheh, abbastanza! La cosa che mi ha lasciato più interdetto è che - se non ho capito male... - si tratta di una frase che ha detto la madre di Saporiti allo stesso durante la loro ultima conversazione telefonica, in riferimento al disco dell'anno scorso! Ecco spiegato perché la figura materna ne esce un po' a brandelli da questi pezzi

FrancescoB (ha votato 7 questo disco) alle 21:22 del 11 aprile 2015 ha scritto:

Non è semplice entrare in sintonia, anzi immedesimarsi con la psicosi contorta di Saporiti. Eppure il disco c'è, la struttura double-face dei brani per qualche motivo funzionano, e anzi sono una coltellata. Bravo Marco scavare così a fondo, a cogliere i meccanismi e i principi cardinali del lavoro. Ripasso per il voto, ma sospetto sarà decisamente buono.

FrancescoB (ha votato 7 questo disco) alle 21:24 del 11 aprile 2015 ha scritto:

* la struttura... funziona