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R Recensione

4,5/10

Pierpaolo Capovilla

Obtorto Collo

Pierpaolo Capovilla si riscopre solista, lascia per un attimo Il Teatro degli Orrori e realizza quello che a suo dire “è il più bel disco di canzoni d’autore che sia stato fatto in Italia negli ultimi 20 anni. Un disco destinato a durare”. Il sacrosanto principio di non dare giudizi lusinghieri sulla propria opera è gettato alle ortiche, e Obtorto Collo, al contrario, non può annoverarsi tra i migliori dischi cantautorali dell’ultimo ventennio italiano. Si colloca, anzi, tra quelli più prescindibili.

Capovilla non opera da solo e si circonda di una miriade di musicisti, oltre che della produzione del guru Taketo Gohara. Si sa che il punto di forza di un disco capovilliano sarebbe stato l’aspetto lirico, ma Obtorto Collo fallisce anche laddove non doveva fallire: le parole, raffazzonate, raccontano storie autobiografiche che mirano ad essere universali, eppure nulla c’è di meraviglioso; il parlato e la voce nasale non brillano mai di una luce particolare, e vige solo un sentenziare verboso, un delirio che vorrebbe essere poetico e invece è un calderone confuso di pensieri e di impressioni.

Calderone confuso anche dal punto di vista prettamente musicale, mare ingarbugliato di sterili sperimentazioni, di tracce folk e di spente aperture alt-rock. Le atmosfere e la voce rammentano i Bachi da Pietra, ma gli unici momenti accattivanti sono, stranamente, le digressioni degli archi, con la severità del piano a far da tappeto (si veda la title-track).

Così l’esordio di Invitami, una specie di rumba lentissima, lugubre, già palesa il disagio (“Io, io non mi riconosco più /, in questi luoghi e in queste circostanze”), il noir stanco e desolante. Nessuna scintilla neanche con i pezzi più ariosi: Dove vai ha un ritornello banale per contenuti e suoni, pare di ascoltare i Perturbazione meno ispirati; Come ti vorrei non entusiasma, nemmeno con l’introduzione del sax. Si citano posti, come Torino (La luce delle stelle), si scomodano poeti (Zanzotto, in Arrivederci), si usano cori fanciulleschi (Ottantadue ore), si abusa di monologhi senza costruzioni attorno (la strisciante Quando). Si salva appena Bucharest, scritta nella città romena, canzone quasi “sanremese” nella sua malinconica pienezza.

Capovilla recita, parla, forse dialoga. C’è troppo lui, in questo disco, con la sua figura ingombrante ed egocentrica, che poco lascia alle note e alle vere vibrazioni. Per chi crede che la musica sia anche sermone, potrà piacere. Per chi ritiene che la musica sia soprattutto altro, potrà essere aborrito. Per troppo tedio.

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Marco_Biasio (ha votato 5 questo disco) alle 13:51 del 12 agosto 2014 ha scritto:

Se davvero Capovilla ha detto quello che riporti, è una cosa di una spocchia smisurata. Sarebbe quasi meglio per lui se non fosse vero. Il disco è difficile anche solo da valutare in una corretta prospettiva. La tentazione di andare giù pesante con l'accetta è assoluta in alcuni episodi ("Il Cielo Blu", "Dove Vai", "Irene", "Bucharest", "Ottantadue Ore") che non a caso sono gli stessi in cui Capovilla cerca la via di un'improbabile canzone d'autore - funziona malissimo perché la sua scrittura è abbastanza piatta e le sue capacità vocali, almeno a quanto mi sembra di sentire, in progressiva picchiata anno dopo anno. Musicalmente risulta già più interessante, con almeno un paio di cose - quelle più astratte, fumose, bohemienne, da Brel per l'appunto - su cui sarebbe valsa la pena proseguire ("Invitami", "Quando", "Arrivederci") ma si tratta, in ogni caso, di lampi sporadici. Concordo con te quando giudichi negativamente l'istrionismo dell'attore principale, la cui incisività diminuisce al tracimare bulimico della materia verbale - ne perde in freschezza l'impianto complessivo del disco. In definitiva è meno peggio di A Better Man degli ODM (quello sì, discaccio vero e proprio) e meno ingordo de Il Mondo Nuovo del TdO (mediocre e spesso scentrato). Rimane la sensazione che dal personaggio sia oramai impossibile uscire.

nebraska82 alle 14:00 del 14 agosto 2014 ha scritto:

la spocchia di capovilla non è certo una novità, ma è del tutto ingiustificata ( a parte il primo disco del TDO).

Pierpaolo Capovilla alle 21:07 del 19 agosto 2014 ha scritto:

Bella recensione. Finalmente ne leggo una priva di incommentabili inesattezze sintattiche. Complimenti. Credevo che la critica musicale "fai da te" fosse monopolio esclusivo degli analfabeti di ritorno. Mi devo ricredere.

La vostra recensione è ingenerosa, ma è giusto così. Temo soltanto che chi l'ha scritta nutra verso la mia figura un'antipatia archetipica. Ma il bello del mio mestiere è, lasciatemelo dire, non piacere a tutti. Buona vita e buon lavoro.

Cas alle 22:10 del 21 agosto 2014 ha scritto:

tanto di cappello a Capovilla

ThirdEye (ha votato 0,5 questo disco) alle 22:46 del 11 luglio 2015 ha scritto:

Ick..