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7/10

Sumie

Sumie

Sandra Sumie Nagano è nome orientale: basterebbe guardare gli zigomi e le due mandorle scure sotto la fronte, per collocare a levante questo volto, e questa voce giovane e dolce, che canta inglese. Ma Sumie è a metà tra Giappone e Svezia, con la Scandinavia ormai dimora fissa. Il suo alt-folk, molto distensivo, fin dai primi pizzichi di corde sfiora infatti come una vaga brezza del nord. C’è un duo di giovanissime connazionali (First Aid Kit), che tanto ricorda Sumie: ma quest’ultima, rispetto a loro, è ancora più pacata e sommessa.

Nel decimo brano, finale (Sailor Friends), Sumie aggiunge una malinconica e intensa coda di pianoforte, reincarnandosi in Lisa Germano. È la sua unica deviazione dalla retta via: l’'altra mezz’ora è solo delicatezza di voce e chitarra acustica, disadorna, sospesa sovente tra due accordi appena, soccorsa da cori spettrali di tanto in tanto, per non sfumare e sparire, nei sentimenti che la bocca dice.

Sumie ha due bambini piccoli, non può far rumore. È la solita necessità che si tramuta in virtù: musica minimale tra quattro mura, parole quasi sussurrate alle due del mattino, in cucina, a lume di candela, come se l’amante fosse la chitarra, sempre carezzata e mai aggredita, da sagge mani. Si avverte quasi il sibilo del microfono, se si ascolta con attenzione. Rispetto all’EP di esordio (Tristan), del 2009, questo nuovo lavoro omonimo è pertanto più mogio e scarno. Forse anche più sincero.

Il desiderio di semplicità e armonia, alla lunga, può stancare, o dare sensazione di piattezza, ma accade di rado e forse mai: Sumie è abile ad essere vibrante nella sua stasi, elargendo melodie memorabili, vocalismi mai sbiaditi (Spells you, Show talked windows, Midnight glories) e risultando interessante anche nei bagliori più evidentemente nostalgici (Let you go, Never Wanted To Be, la sognante Hunting you, la meravigliosa Speed into, in cui rasenta Chelsea Wolfe, senza sfigurare).

In giapponese, sumi è l’inchiostro nero, e sumi-e è quella tecnica pittorica che ne fa un uso esclusivo: si brucia la resina vegetale, si lavora l’impasto che diventerà materia prima dei disegni. Con dei pennelli di bambù si dipingono sfumature ed effetti diversi, a seconda dei casi, dal grigio al marrone più scuro, al nero pece. Sumi-e attinge dal suo calamaio un denso inchiostro nero. Lo sparge sulla tela, lo lavora lentamente: partendo da questa unica base (pochi accordi di chitarra, e quasi un bisbiglio), lei sfuma le sue canzoni, un po’ alla volta le altera, le distingue. 

L’esito è un dipinto tanto intimo e tanto dolce. Che si contempla volentieri più e più volte, perché monotono solo a un primo e superficiale sguardo.

 

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