C Capitolo 51 - Il downbeat - pagina 1 di 5

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Le radici del fenomeno musicale battezzato dalla rivista inglese Mixmag “ trip hop” affondano nella metà degli anni ’80, quando a Bristol si crea un collettivo di Dj che prende il nome di Wild Bunch: si tratta essenzialmente di un soundsystem con una forte predilezione per l’hip hop, il dub e, più in generale, la battuta lenta ( il downbeat), vale a dire tutto ciò che ha un numero di battute per minuto inferiore alle 120. L’organico del collettivo varia ma tra le sue fila passa gente come 3D, Mushroom e Daddy G, Tricky, Smith & Mighty e Nelee Hopper, vale a dire tutti i protagonisti della primissima ondata del trip hop: i primi tre, nel 1987, formano i Massive Attack ed escono nel 1991 col primo Lp, “Blue Lines”; è il disco che inventa il genere, con un suono che per molti versi risulta ancora acerbo, ma in cui tutte le caratteristiche tipiche del genere sono già presenti : la matrice dub, la vena melanconica dei pezzi e le atmosfere oscure da subito marchio di fabbrica delle produzioni musicali di Bristol.

Quando nel 1994 i Massive Attack danno un seguito al loro esordio,quel suono è ormai diventato fenomeno musicale a sé e il trip hop sta già regalando i suoi primi capolavori: da “Dummy” dei Portishead (di cui fa parte quel Geoff Barrow che in “Blue Lines” figurava tra i produttori) a “Maxinquaye” di Tricky ( ex Wild Bunch che ha collaborato su entrambi gli album di Daddy G e compagnia), passando per l’esordio di Smith & Mighty, Bass Is Material . Nel frattempo un altro ex Wild Bunch, Nelee Hopper, lavorando dietro le quinte come produttore, si rivela altrettanto vitale per la diffusione di quelle atmosfere uggiose: già arrangiatore in quel “Raw Like Sushi” di Neneh Cherry che ha anticipato di due anni buoni la nascita del trip hop, Hopper sviluppa ulteriormente quelle sonorità lavorando con artisti come Soul II Soul, Bjork ( su “Debut” e “Post”) , la Madonna di “Bedtime Stories”, Sneaker Pimps ed Everything But The Girl, curriculum impressionante che ne fa (con Howie B) produttore-chiave per lo sviluppo di un genere che è peraltro al 50% creazione di produttori ed ingegneri del suono.

Identificati nella battuta lentissima, nell’uso ed abuso delle tecniche di produzione del dub e nelle atmosfere claustrofobiche i tratti comuni che legano insieme i dischi (perlopiù inglesi) dell’epoca, è necessario prendere atto di come nel calderone siano stati inseriti gruppi diversissimi tra loro: se le matrici reggae e soul sono molto forti soprattutto nei lavori di Massive Attack e Smith & Mighty, i lavori solisti di Tricky confermano quelle teorie che vedono nel trip hop la risposta inglese ad un genere radicalmente americano come l’hip hop, persino in un disco come “Nearly God” (1996) in cui chiama a raccolta, accanto alla fida vocalist Martina Topley Bird, artisti che con l’hip hop nulla hanno a che fare come Bjork, Neneh Cherry e l’ex-Specials Terry Hall.

Un discorso a parte meritano i Portishead, che fondono il dub dei Massive Attack con le atmosfere noir delle colonne sonore di Lalo Schifrin, John Barry ed Ennio Morricone: un primo segnale d’interesse ed apertura verso un universo sonoro, quello delle colonne sonore anni ’60-’70, fino allora trascurato dal mondo del rock ( parola qui usata nel senso più vasto del termine) che avrà enorme seguito durante gli anni’90. È con i Portishead che i suoni del trip hop vengono definitivamente divulgati, specie in quell’America che fino allora si è mostrata restia verso di essi, ed è in seguito al successo di “Dummy” che la stampa inventa l’etichetta “trip hop” per definire quei suoni: da lì in poi si susseguono sempre più numerosi i gruppi che flirtano in chiave pop con il genere, come Sneaker Pimps, The Aloof e Morcheeba.

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