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Il movimento baggy non è l’unico a celebrare, a fine anni ’80, l’improbabile matrimonio tra rock ed elettronica: nel 1988, anno della Summer Of Love di Manchester ,esce “The Land Of Rape And Honey”, disco destinato a coniare un suono nuovo che prenderà presto il nome di industrial metal. A firmarlo sono i Ministry, gruppo di Chicago che fonde le ritmiche marziali e i suoni concreti dei Cabaret Voltaire e li sposa a riff chitarristici e ad un cantato di scuola metal: l’esperimento funziona,i due generi si alimentano delle rispettive psicosi soniche e il risultato è, se possibile, ancor più lugubre e minaccioso della somma delle parti.

Non sono però i Ministry a portare l’ibrido al successo di pubblico, bensì Trent Reznor, titolare della (quasi) one-man band Nine Inch Nails, all’esordio nel 1989 con “Pretty Hate Machine”: il disco viene ignorato alla sua uscita, ma nel giro di qualche anno diventa fenomeno di culto e quando nel 1994 esce the “Downward Spiral” il fenomeno esplode anche a livello commerciale. Se la voce si sparge così in fretta e così massicciamente il merito va assegnato alla lettura straordinaria del genere fatta da Reznor: senza rinunciare alle asperità sonore che sono alla base dell’industriale, anzi, esasperandone le distorsioni e la brutalità, egli riesce a creare un suono travolgente, che fonde il tiro ritmico della techno hardcore con una vena melodica irresistibile, che gioca sul contrasto, inserendo brevi momenti di quiete all’interno del maelstrom di rumore che anima i dischi.

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