C Capitolo 42 - L’hip hop - pagina 2 di 4

42 - L’hip hop (2/4)

La figura dell’Mc era stata per la prima volta pionierizzata in Giamaica dove, con l’incisione di versioni dub dei pezzi rocksteady che consentivano ai Dj di parlare sopra il pezzo si andò affermando sempre di più la figura del toaster, la cui presenza si fa sempre più invasiva: quando egli comincia a parlare in rima seguendo il tempo dei pezzi il rap può dirsi praticamente nato.

Altre figure cardinali per la nascita del rap sono gli slum poets del Bronx, come Gil Scott Heron e i Last Poets, la cui poesia del ghetto segue movimenti ritmici che anticipano anch’essi il genere: non solo, rappresentano i primi esempi del rap politico e socialmente consapevole che troverà nei Public Enemy i primi esponenti.

Dalla Giamaica arriva anche una figura fondamentale per la storia futura dei giramanopole( i turntablists), quel Kool Herc che, una volta trasferitosi nel Bronx inventa nel 1975 il breakbeat circolare che è fondamento ritmico dell’hip hop; ma è Grandmaster Flash ( al secolo Joseph Saddler) che fa emergere il Dj come figura fondamentale e centrale del rap, destinato a condividere le luci della ribalta con l’mc e talvolta ad agire anche in missioni musicali solitarie.

Studente di ingegneria elettronica crea nel 1977 il primo mixer per Dj “truccando” un mixer per microfoni e adotta il Technics Sl-1200 come giradischi d’adozione, e con esso inventa tutte le figure base del turntablist: dal cutting (che consiste nel tagliare la canzone sul beat), al back spinning (la tecnica di far girare il pezzo al contrario), al phasing (l’alterazione della velocità del giradischi) e perfeziona la tecnica di scratching: con Grandmaster Flash il Dj diventa virtuoso e raggiunge una posizione di pari dignità all’mc e viene coniato il suono definitivo dell’hip hop, come dimostrato dall’esordio discografico del 1981, “The Adventures Of Grandmaster Flash On The Wheels Of Steel”.

Non pago Saddler nel 1982, con “The Message”, porta la slum poetry nel rap e per la prima volta l’hip hop si rivela fenomeno non solo destinato ai party ma anche strumento ideale per portare avanti quella funzione di denuncia sociale che erano state del folk e del soul: per quanto riguarda il suono del pezzo, si può già parlare di electro.

Il 1982 è infatti anche l’anno di “Planet Rock” di Afrika Bambataa, leader della Zulu Nation e principale artefice di quello che sarà l’altro suono-tipo del rap old school: l’electro, appunto,combinazione di hip hop, funk e Kraftwerk, il breakbeat meccanico scandito da una Roland TR-808, mc e voci robotiche che si incrociano, svegliando l’interesse della musica nera per l’algido suono della proto-elettronica tedesca. Nei tardi anni ‘80 l’uso dei sintetizzatori nell’hip hop verrà abbandonato e prevarrà la tecnica di campionare i dischi altrui: non solo questa diventerà la pratica dominante in ambito hip hop, ma verrà ben presto adottata anche da tutti glia altri generi di area più o meno elettronica, dalla house al breakbeat.

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