V Video

R Recensione

6,5/10

Naxatras

III

Una piccola confidenza, giunti a questo punto, finché rimaniamo tra noi e ci leggono in pochi: se i Naxatras venissero da Trastevere anziché da Thessaloniki, la notizia di una loro nuova uscita in studio non solo mi lascerebbe indifferente ma, anzi, risveglierebbe nel profondo quel pizzico di fastidio pavloviano che si prova ogniqualvolta ci si deve misurare con l’ennesimo disco tutto uguale della band clone del clone del (ebbasta!). C’è un pizzico di vergogna in questa ammissione, perché – in fondo – non è che il power trio greco suoni in maniera radicalmente diversa dalla media delle band di genere: qualche leggero riferimento etnografico supplementare, forse, il brivido inconfessabile della gentrificazione dell’esotico (per cui si è tacciabili d’essere anarcocapitalisti e neocolonialisti allo stesso tempo), l’ottima padronanza strumentale, e questo è quanto. O forse no: forse è una questione di corde toccate, di soggettività ferita nel profondo, di meccanismi simpatetici. Sia quel che sia: è certo che, a tre anni dal buon esordio omonimo, il salomonico “III” continua a vincere e convincere.

Qualcosa di speciale scatta già al manifestarsi dell’iniziale “You Won’t Be Left Alone”, dove la chitarra di Giannis Delias intona una salmodia psichedelica di rara purezza, un flusso esicastico appena contaminato da interferenze acid blues (mai come in questo caso la voce di Giannis Vagenas richiama un altro e ben più illustre John, Garcia). Il miracolo – fatto salvo per la lunghezza eccessiva – si ripete ancora in “Land Of Infinite Time”, il brano che i Quicksilver Messenger Service avrebbero suonato a quattro mani con gli Ozric Tentacles: particolarmente riusciti sono poi i due brani di chiusura, una languida “White Morning” accarezzata dai tenui lucori di una lap steel (sempre interessante il solismo southericano di Delias) e la semiballata West Coast – tra Dead Meadow e, soprattutto, ultimi Pontiak – di “Spring Song”. C’è davvero molta carne al fuoco in “III”, dunque, forse addirittura troppa (stiracchiato, prolisso e leggermente impreciso è, ad esempio, lo stoner-motorik di “On The Silver Line”), con la band che al terzo giro lungo – ancora una volta autoprodotto – si diletta ad abbassare i volumi ed estendere il minutaggio: nel novero della cubatura ci entra di tutto, compresi elementari insistiti di basso sciolti tra gli effetti delle pedaliere (e forse così, e non con la ripresa del tema iniziale, doveva terminare “Machine”) e oriental slam di buono spessore (solo la voce non funziona in “Prophet”, la più heavy del lotto).

Muta l’ordine degli elementi, non il risultato. Verosimilmente i Naxatras non potranno mai ambire a molto più dell’ampia sufficienza, ma quant’è solida quest’approvazione.

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.