Naxatras
III
Una piccola confidenza, giunti a questo punto, finché rimaniamo tra noi e ci leggono in pochi: se i Naxatras venissero da Trastevere anziché da Thessaloniki, la notizia di una loro nuova uscita in studio non solo mi lascerebbe indifferente ma, anzi, risveglierebbe nel profondo quel pizzico di fastidio pavloviano che si prova ogniqualvolta ci si deve misurare con lennesimo disco tutto uguale della band clone del clone del (ebbasta!). Cè un pizzico di vergogna in questa ammissione, perché in fondo non è che il power trio greco suoni in maniera radicalmente diversa dalla media delle band di genere: qualche leggero riferimento etnografico supplementare, forse, il brivido inconfessabile della gentrificazione dellesotico (per cui si è tacciabili dessere anarcocapitalisti e neocolonialisti allo stesso tempo), lottima padronanza strumentale, e questo è quanto. O forse no: forse è una questione di corde toccate, di soggettività ferita nel profondo, di meccanismi simpatetici. Sia quel che sia: è certo che, a tre anni dal buon esordio omonimo, il salomonico III continua a vincere e convincere.
Qualcosa di speciale scatta già al manifestarsi delliniziale You Wont Be Left Alone, dove la chitarra di Giannis Delias intona una salmodia psichedelica di rara purezza, un flusso esicastico appena contaminato da interferenze acid blues (mai come in questo caso la voce di Giannis Vagenas richiama un altro e ben più illustre John, Garcia). Il miracolo fatto salvo per la lunghezza eccessiva si ripete ancora in Land Of Infinite Time, il brano che i Quicksilver Messenger Service avrebbero suonato a quattro mani con gli Ozric Tentacles: particolarmente riusciti sono poi i due brani di chiusura, una languida White Morning accarezzata dai tenui lucori di una lap steel (sempre interessante il solismo southericano di Delias) e la semiballata West Coast tra Dead Meadow e, soprattutto, ultimi Pontiak di Spring Song. Cè davvero molta carne al fuoco in III, dunque, forse addirittura troppa (stiracchiato, prolisso e leggermente impreciso è, ad esempio, lo stoner-motorik di On The Silver Line), con la band che al terzo giro lungo ancora una volta autoprodotto si diletta ad abbassare i volumi ed estendere il minutaggio: nel novero della cubatura ci entra di tutto, compresi elementari insistiti di basso sciolti tra gli effetti delle pedaliere (e forse così, e non con la ripresa del tema iniziale, doveva terminare Machine) e oriental slam di buono spessore (solo la voce non funziona in Prophet, la più heavy del lotto).
Muta lordine degli elementi, non il risultato. Verosimilmente i Naxatras non potranno mai ambire a molto più dellampia sufficienza, ma quantè solida questapprovazione.
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