Bowerbirds
Hymns for a Dark Horse
L’estate è arrivata, finalmente.
Sento l’odore del mare, il rumore delle onde che si spengono sulla sabbia, le voci delle donne che richiamano i bambini. Non so neanche cosa ci faccio su questa spiaggia. Ci sono delle persone intorno a me, so di conoscerle, ma non so molto di loro. A pochi passi di distanza c’è qualcuno che armeggia con dei fogli di giornale per accendere un fuoco, accanto ha dei piatti pieni di verdure, bistecche e salsicce. La cosa mi rincuora non poco.
Il sole sta tramontando. Un ragazzo, Paolo mi pare, si avvicina e mi dice: << Mi hanno detto che sei un grande appassionato di musica. Dovrebbero arrivare dei miei amici americani che hanno una band, forse portano gli strumenti>>.
Se portano gli strumenti in spiaggia di certo non saranno un’orchestra Jazz, penso io. E neanche una cover band dei Sonic Youth. Che palle. Americani da spiaggia. Immagino già la trackilst della serata: “About a girl” dei Nirvana, “Disarm” degli Smashing Pumpkins, magari anche “Two princess” degli Spin Doctors, poi gran finale con “Knocking on Heaven’s door” di Dylan e “Wish you were here” dei Pink Floyd, per accontentare noi Europei, e per indurre il sottoscritto a darsi la morte.
Mentre mi tormento in questi pensieri osservo i gabbiani cercando di riconoscerne qualcuno di quelli che si nutrono quotidianamente nella discarica dietro casa mia. Improvvisamente li vedo arrivare, non i gabbiani, i tre musicisti americani. Uno, magro e con barbetta d’ordinanza, tiene in mano due custodie per chitarra, credo. Io tremo di paura ed orrore. Dietro di lui c’è una donna che imbraccia una fisarmonica. A me viene in mente l’orchestra Casadei e inizio a escogitare un sistema per fare in modo che il fuoco che arde a meno di un metro da me diventi un incendio di proporzioni bibliche, così ce ne andiamo tutti a casa. L’ultimo ha una grancassa appesa al collo e una piccola custodia nella mano destra (un ukulele? Un mandolino?).
I tre si chiamano Phil Moore, Beth Tacular e Mark Paulson, la loro band si chiama Bowerbirds. Salutano, bevono un bicchiere di vino, poi Moore si siede, estrae la chitarra e attacca. Non è “About a girl”, è un arpeggio strappato e senza ritmo come alcune cose di Devendra Banhart. La voce di Phil è una meraviglia. Il pezzo si chiama “Hooves”. Il secondo brano è una marcia folk guidata dalla fisarmonica di Beth, gli accordi “strumming” di Phil e gli accenti di grancassa di Mark. I tre cantano in coro tutto il pezzo, ed io mi trovo con altre venti persone a girare intorno al fuoco in una danza liberatoria. Scopro che il pezzo si chiama “In our talons” e che il coretto centrale è una specie di onomatopea del canto del passero (“And the sparrow sings: Deet-deet-deet-deet-deet-deet-deet-deet-deet-deet!”).
La musica dei Bowerbirds è folk degli Appalachi, se volete, ma a me sembra più jazz zingaro. In “Dark Horse” appare anche un violino, Beth e Phil intonano una melodia dolcissima e senza tempo. La loro unione non deve essere solo artistica. “Bur Oak”, infatti, è un affare tra loro due, chitarra e fisarmonica. “The marbled godwit” è l’episodio più vicino a certo freak folk, tra il solito Devendra Banhart e Joanna Newsom, “Slow Down” è un pezzo più scuro, con dei crescendo vocali molto intensi, mentre “The Ticonderoga” prende il nome dalla vecchia band di Phil, ed è una ballata malinconica guidata dal suono del banjo. Si chiude con “Olive Hearth”, il pezzo più ritmato, una marcia solare che scalda il cuore.
Prima di andare via, Phil mi regala una copia in vinile dell’album (pubblicato dalla Dead Oceans nel 2008). Contiene un biglietto con un codice per scaricare l’album in mp3 (con due pezzi in più rispetto all’edizione stampata - “La denigracion” e “Matchstick maker”). Sul biglietto c’è scritto “long live physical media!”.
Beth, invece, si sofferma a raccontarmi la storia della band: nel 2005, Phil scioglie i Ticonderoga e inizia un lavoro per conto del Museo di Scienze naturali del North Carolina: deve osservare alcuni uccelli, e per farlo vive per un lungo periodo tra i boschi. Lì viene raggiunto da Beth, che impara a suonare la fisarmonica ed il basso, strumenti con i quali accompagna le canzoni che Phil compone con la chitarra.
La spiaggia è deserta, è notte. Guardo verso il fuoco ormai spento: nessuno ha mangiato, pochi hanno bevuto. Io sono completamente inebetito. Mi dirigo verso casa con il disco sottobraccio e penso: tutti devono sapere, tutti dovranno cantare “Deet-deet-deet-deet-deet-deet-deet-deet-deet-deet!”.
Nota: ogni riferimento ad avvenimenti, danze liberatorie, spiagge, gabbiani e salsicce è frutto di fantasia.
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