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R Recensione

7/10

Mastodon

Cold Dark Place [EP]

Uno, nessuno e centomila. Nel giro di qualche mese, di “Cold Dark Place” è stato detto tutto e il contrario di tutto: che sarebbe uscito, che non sarebbe uscito, che sarebbe stata la seconda parte di un doppio disco (la prima, ça va sans dire, è quella che conosciamo oggi come “Emperor Of Sand”), che sarebbe stato un disco autonomo, che sarebbe stato rilasciato a nome del solo chitarrista Brent Hinds, che sarebbe stato rilasciato a nome dell’intera band. Infine, il sublime compromesso: il materiale, quattro brani scritti da Hinds nelle session degli ultimi “Once More ‘Round The Sun” ed “Emperor Of Sand”, viene accreditato collegialmente e reso disponibile, in formato da extended play, con la splendida copertina dell’artista inglese Richey Beckett.

La diffidenza di chi vede, nelle piccole uscite collaterali, il modo più semplice ed efficace per monetizzare la fidelizzazione dei fan è, in genere, ben giustificata dalla prassi comune. In “Cold Dark Place”, tuttavia, i Mastodon intendono raccontare un altro lato di loro stessi, più intimo e nascosto, in un certo senso più umano: e lo fanno con un denso bignamino che, senza dubbio alcuno, sfodera i pezzi migliori dell’ultimo loro lustro produttivo. La materia metallica, in aperta e continua evoluzione, si fa qui semplice grana, rivestimento accessorio di complesse canzoni il cui scheletro è, sovente, acustico: la distanza dagli esordi non potrebbe essere più completa. “North Side Star” vagola per lande di lonerism a stelle e strisce, una sorta di americana progressiva (con una seconda metà ricca di interessanti segmenti chitarristici) che al cosmo antepone la terra, all’impalpabilità la carne. Al passo mid di “Blue Walsh” basta un’accelerazione conclusiva per porsi in un amniotico limbo southern-core curiosamente vicino agli ultimi Across Tundras: “Toe To Toes”, poi, è una gemma hard-AOR armonicamente impeccabile, inframmezzata da possenti breakdown post metal e successivamente lanciata in un tumultuoso galoppo a briglia sciolta. È però la title track conclusiva a meritare la menzione d’onore: su un cupo proscenio di slide e tastiere, Hinds rapsoda alla maniera di un Tom Joad della contemporaneità che abbia sofferto di un’orrenda delusione amorosa (“You left my heart in some cold dark place / Where your love grows on a vine and I see it all the time / I didn’t mean a word that I said / When I was lying to your face about being alone”), in un tentativo prospettico di songwriting à la Man’s Gin che, sul finale, prorompe in un torrenziale assolo.

I have seen this once before / I have felt these colors / I have known you for so long / When we ran in circles”, canta Troy Sanders nel primo verso di “Toe To Toes”, quasi a rimarcare che quanto i Mastodon portano in superficie è sempre stato covato sotto le ceneri. Se “Emperor Of Sand” era l’anabasi verso la catarsi, “Cold Dark Place” – come nella migliore tradizione romanzesca statunitense – è la sinossi della redenzione: da qui, forse, a riveder le stelle.

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