Bryan Adams
Reckless
Sono in molti, fra gli appassionati di musica, a vedere Bryan Adams quasi come il fumo negli occhi e la pietra dello scandalo primaria è senz’altro il melenso, zuccheroso, insopportabile suo contributo alla colonna sonora del polpettone hollywoodiano “Robin Hood, il principe dei ladri” con la micidiale “(Everything I Do) I Do It For You”.
Basterebbe assistere a un suo concerto (specie quelli in cui sul palco sono solo in tre, con lui al basso! Una formula per certo ben lontana dal pop…), per verificare che l’uomo è tutt’altro che una vacua icona canzonettara, bensì un effettivo rocker, tosto e brillante, sicuramente portato a condire con ritornelli abbondantemente orecchiabili (talvolta troppo) una vena comunque pulsante e sincera, vicina e in rispetto della viscerale e nobile anima blues che sta alla base di buona parte del rock ben fatto.
Oltretutto i molti anni di carriera non hanno imbolsito il musicista canadese: la sua figura sempre in jeans e t-shirt è ancora e sempre asciutta, sveglia, energetica.
Tra dischi e tournée ha trovato con gli anni tempo e modo di espandere pure il suo talento di fotografo, l’altra sua grande passione, diventando un nome di livello internazionale anche in quel campo… Che si vuole di più, a mio modo di vedere Bryan è una figura ammirevole, certo non un genio né un caposcuola bensì un ottimo artigiano del rock, con un suo stile accessibile ma consistente, furbo ma bravo.
Adoro poi il suo chitarrista, da sempre braccio destro in tutti i suoi progetti. Keith Scott è quel tipo di musicista poco appariscente ma tanto sostanzioso e di buon gusto. Suona benissimo, misurato e interessante, mantenendosi semplice e melodico, con dei suoni che spaccano, sempre: un musicista di qualità e classe, indispensabile a Bryan.
“Reckless” è l’album simbolo nella carriera del nostro, la sua quarta prova discografica con la quale riuscì a sfondare di brutto a livello mondiale, grazie all’affinamento del songwriting e della produzione che elevarono sensibilmente la qualità discreta, ma parecchio anonima, tenuta nei primi tre lavori. L’AOR, il rock melodico degli anni ottanta non è solo permanente ai capelli, fard sulle guance e variopinti costumi di scena, lo dimostra questo biondino dalla faccia qualunque, con una voce qualunque (però, roca e duttile al punto giusto), vestito in maniera qualunque, che non se la tira e riesce a fare del pop facile e trascinante partendo da una sana matrice rock’n’roll.
Quattro o cinque delle dieci canzoni di questo disco entrarono nelle scalette dei suoi concerti per non uscirvi mai più. A cominciare dalla avvolgente “Run To You”, dominata dal suo incalzante arpeggio in Fa diesis minore e dal riuscito break strumentale, con le melodicissime chitarre soliste in armonia. Altro classicone la ballatona “Heaven”, a suo tempo lanciata alla grande da un riuscito ed incensato video che fece scuola, nel quale il pubblico è sostituito da centinaia di televisori. Terzo punto di riferimento la sincopata “It’s Only Love”, irruente duetto con la grintosa Tina Turner, in un’epoca dove tali iniziative non erano ancora talmente inflazionate da suscitare irritazione a prescindere. Sullo stesso piano di notorietà è ancora la Springsteeniana “Summer Of ‘69”, nella quale Bryan celebra la sua gioventù ed il suo primo incontro con la chitarra e la musica suonata. Ampiamente sfruttata sul palco, anche se meno nota perché non scelta come singolo (le fu preferita la meno interessante “One Night Love Affair”), è poi la rauca e cadenzata “Somebody”, dal particolare ed efficace “rotolamento” ritmico.
Bell’esempio di compromesso fra pop e rock del suo tempo, “Reckless” è perfetto nel suo genere, fulcro della carriera di Bryan Adams e rispettabile album AOR senza smorfie, pose, assoli di chitarra inutili ed altre sovrastrutture enfatiche e controproducenti.
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