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R Recensione

5/10

Il Triangolo

Tutte Le Canzoni

Una volta studiati, gli alessandrini – giustamente – non si dimenticano più. Eruditi dalla preparazione fantascientifica, cortigiani bibliofili ed umanisti ante litteram, innamorati del proprio passato come la Lega delle poltrone romane… Il loro contributo culturale è, a distanza di quasi duemila anni, innegabile. Eppure. Quale autolesionista, produzione letteraria autografa sott’occhio, potrebbe mai scommettere un nichel contro la gigantesca tradizione aurale classica dei poemi epici da cui, spesso, gli onesti mestieranti prendevano legittima ispirazione? Ed il discorso si ripete, circoscrivendo il ragionamento alla sola letteratura, infinite volte: le garbate pièce di Menandro contro l’acuminata satira sociale di Aristofane, Boccaccio e Chaucer, la rinascita dell’arte russa nell’età petrina vs. il resto del mondo, la Scapigliatura ed il maledettismo francese, il binomio Céline-Evola… Niente contro gli allievi, sia ben chiaro. Un filo di livore in più per i didascalici, che avrebbero ben altre capacità, ma le scialacquano nel rincorrere utopie e piccole soddisfazioni.

Osservate con una grande lente d’ingrandimento il concatenarsi dei fatti storici, e vi accorgerete che, al palesarsi di una crisi di qualsiasi genere ed entità, gli artisti sono soliti rispondere in due modi: estremizzando la portata del loro messaggio, oppure scappando dalla realtà e covando le ceneri di un’irreale sehnsucht per un tempo lontano, mitizzato, molte volte non vissuto direttamente. Sulla natura delle fibre di “Tutte Le Canzoni”, impregnate sino al midollo di storia e filologia, non ci si potrebbe sbagliare, neppure per un attimo. Con un’apertura come “Le Forbici”, poi!, paurosi fendenti indie di chitarra menati tra melodismi spinti, ritmiche squillanti e rime tronche, roba che i Corvi stanno gracchiando nel loro salottino di riposo il disprezzo atavico per l’età che avanza e l’impossibilità di raggiungere i picchi dei successi giovanili. Chiarezza d’intenti, focus armonico. Nel pastiche surf-pop di “Giurami”, Marco Ulcigrai canta “La paura di invecchiare, le nostre giornate al mare / amare la violenza e l’ironia” e, nello spostare accenti sillabici e nel plasmare calembour, rimanda immediatamente il pensiero a recenti e mature orchestrazioni. Paradossalmente, per un album volutamente old fashioned, i risultati sono migliori: il presente filtrato dagli echi del passato ritorna in “La Primavera”, yè-yè d’antan con fragorosa chiusa power pop à la Weezer, e in “Quando Isacco Gridò Contro Il Popolo”, ticchettante messa beat in crescendo urlato.

Però, non so voi, io non mi fiderei ad uscire di casa conciato come il Paul McCartney del 1964, a bordo di una Vespa scalcagnata, in attesa di apparire abbastanza compiacente per un musicarello. E certo non per questioni particolari di stile – che stile, poi? – quanto per il rischio, concreto, tangibile, di costruire un muro di artificio attorno a ciò che realmente sono. Times are changed. Il Triangolo cade in pieno nel trappolone, con mani e piedi legati. “Tutte Le Canzoni” spende energie a destra e a manca – nemmeno troppe: poco più di mezz’ora – nel tentativo di ricreare un mood, un universo, un sentire culturale che non c’è e non ci potrà essere mai più. Il vero problema è che il gruppo sa di saperlo e non fa nulla per evitarlo. Così, i Sixties dei nuovi anni ’10 non sono più sostanza, ma solo forma: retromania grottesca plastificata in una serie di brani nemmeno sgradevoli, ma enormemente, evidentemente, manifestamente forzati. L’esibizione di patetismo distrugge la carica detonante della parte centrale della scaletta, parodiando il Mal westernato di “Canzone Per Un Soldato” e rendendo “Johnny” una bolsa parata dagli incastri mnemonici: persino l'accorato romanticismo distillato Ex-Otago di “Canzone Per Una Ragazza Libera” rischia di accartocciarsi nell’enfasi di un finale fastidiosamente pomposo.

Le dietrologie sono inutili. È revival di ragazzi che, come il sottoscritto, nulla possono sapere di ciò di cui vanno a cantare. Non è rifugiandosi in un’eletta età d’oro che si potranno superare i problemi del presente: in un mondo che muore, per dirla con loro, Battisti ci salverà. Ma non così. Dieci euro sull’irrefrenabile ed effimera moda al seguito.

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C Commenti

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target alle 10:38 del 19 aprile 2012 ha scritto:

Ascoltato un paio di settimane fa dopo aver sentito "Le forbici" e "La primavera" (che restano le cose più belle del disco, e mi pare che Marco sia d'accordo), mi aveva incuriosito. Il resto non sembra all'altezza, però. O, meglio, subisce troppo il riflusso negativo che si ha quando si suona in modo così smaccatamente restaurato (e melodicamente non ha, tranne "Giurami", gli spunti di quei due pezzi). Possono far meglio: la pasta (un po' baustelliana, sì) c'è.