R Recensione

7/10

i Valium

La Maledizione Sta Per Arrivare

Sono passati quasi tre anni dall’ultimo LP in studio dei Valium. Quel “Willy e la Teoria della Cospirazione” che aveva lasciato in molti un senso di meraviglia, fiducia e desiderio verso quella giovane formazione salernitana che prepotentemente chiedeva ascolto.

Oggi, quella band torna a pretendere attenzione per spiegarci come quella teoria si sia trasformata in una maledizione che avvolge e coinvolge, sovrasta e distrugge, completa ed annulla. È un allarme, quello che lanciano i Valium nel loro nuovo album “La Maledizione Sta Per Arrivare”. Ma è anche e soprattutto una minacciosa voce intrisa di rabbia, precarietà e disincanto, che zittisce tutto e tutti.

Tanto non mi avrai” canta Marco Sabino (voce e rhythm guitar) nel brano che apre l’album. E allora rassegniamoci e affidiamoci all’estro di una delle più interessanti e innovative band degli ultimi anni che ha saputo, con originalità e coraggio, rimettere mano a quel beat che in molti stanno già provando a pensionare come genere “classic rock”. Dodici tracce compongono quest’opera in evoluzione che ha coinvolto settimana dopo settimana sempre più persone entusiaste del progetto; a partire dal visionario artista danese Glenn Moust che ha curato la copertina e la grafica dell'album.

Un lavoro che conferma le grandi doti compositive di una band che si è fatta portavoce di un genere nuovo, maledetto, elegante, dal sound potente, che scompone l’epoca beat e la dissacra, trasformandola in un fenomeno di costume contagioso e radical chic. Qua è là si rintracciano riferimenti alla scena Baggy di Manchester - la "seconda summer of love" destinata ad abbattere le barriere tra rock e dance e a influenzare profondamente la musica inglese (e non solo) degli anni successivi – oltre che ai soliti punti di riferimento della storia del beat rock (dai The Who ai Rolling Stones, dai Beatles ai Jefferson Airplane).

I Valium ci parlano di morte e di amore, cantano per la prima volta con un coro, lo Smoking Choir, e in inglese. Ma ciò che più sorprende è l’attitudine, certosina e di rottura, con la quale i quattro lavorano a queste dodici tracce, come artigiani del buongusto nell’epoca del digitale, appena usciti dalla loro bottega, pronti a regalarci l’ennesima sfuriata del più puro e sano rock. Alla faccia della maledizione. L’opening track, nonché primo singolo estratto dall’album, “L’Infedele”, è un pezzo ricco di pulsazioni carnali, sanguigno, passionale, cattivo. Un brano urlato, rabbioso che non contempla mezzi termini. Uno sfrontato bagno negli inferi senza se e senza ma del quale il gruppo ha girato anche un simpatico videoclip tra le strade del centro di Salerno.

Il Mio Mondo Cosmico” manifesta a pieno quello che è il leit motiv del disco, ovvero il rifiuto del mondo ordinato e la sua rivoluzione. Una rivoluzione che parte dalla quotidianità in un incedere in perenne equilibrio precario. “Lucienne” porta tra schitarrate rock e interessanti impasti vocali che rendono onore alla tagliente voce di Marco Sabino, la necessità di fuggire da catalogazioni, etichette o imbavagliamenti di qualsiasi genere nati e sorretti da inguaribili contraddizioni. Sulla stessa linea d’onda si posiziona “Tu sei”, ballata pop-rock che si apre su un potente inciso ricco di citazioni, sarcasmo e provocazione, tra certezze rimesse in discussione in una società dell’apparire dal futuro sempre più instabile: “quando non saremo più soli avvolti nei colori delle nostre divise da Pierrot”.

La “Babilonia” dei Valium è l’invito a sconfinare nel loro universo “dove tutto funziona senza luce”, a impregnarsi di quella maledizione e a non cedere mai perché, ci assicurano, “non sarà tutto tempo perso” nel loro “mondo di traverso”. Ne “L’arte di Schiodare le stelle dal cielo” i nostri giocano al rilancio. Irriverenti, imperterriti e ostinati i quattro volano nel loro cielo beat costruendo un tappeto melodico che convince sin dal primo ascolto fuggendo da tutto, nel segno della maledizione. Un muro di chitarra distorta apre “Amen”, la sincera preghiera dei Valium nella quale la sintesi musicale trova una perfetta soluzione armonica in linea con il testo del brano. Un tuffo nell’acida essenzialità di chi dalla vita non ha avuto mai niente in regalo.

The Boys Dig The Boys” tenta di tracciare un ritratto dei nostri, cercando di fotografare una scena impossibile da fermare e dalla quale i quattro escono un po’ vampiri, un po’ mostri, un po’ pirandelliani e dylanianamente invisibili: “non sono qui, e invece sono qui”. “Elizabeth”, ovvero l’amore in tempi moderni, riprende per mano le grandi qualità compositive della band che qui costruisce una canzone nella sua forma più italiota. Tranne poi togliersi tutto di dosso rituffandosi per l’ennesima volta nella bolgia con la townshendiana elettrica di Luigi Sabino (lead guitar che con Alain Fortunati al basso e Buoniconti alla batteria completa la line up del gruppo), decisamente sugli scudi. “Lalala (gli anni persi)” è probabilmente il brano più politico dell’album.Seppur in maniera velata e a tratti ermetica, questo pezzo evidenzia tutta la rabbia, il desiderio, i sogni e le illusioni di una generazione delusa e calpestata mentre “tu sei qui per inseguirmi e sfregiarmi un po’”.

Ode al Silenzio” rappresenta la classica quiete dopo la tempesta. La band parla di morte mettendo in risalto il proprio lato più onirico, evocativo e romantico, e come flaneur sopravvissuti all’olocausto del gusto ci accompagnano in questa ballata rabbiosa, dolce e disincantata. “With A Glimpse” è il regalo di congedo che ci lasciano i Valium. L’unica canzone mai realizzata dalla band in lingua straniera si smuove tra i riferimenti in Elvis Costello e Robert Wyatt nel lento cammino che porta verso la fine di tutto. Maledizione compresa.

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