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R Recensione

6,5/10

La Band Del Brasiliano

Vol. 2

Citano sempre le magnifiche tre: Barbara, Edwige, Gloria (l’ordine è mio). Poi c’è la schiera, variabile, delle oneste comprimarie. Infine ci sei tu, povera Lilli, che da sogno erotico di un’intera generazione sei passata ad essere un tabù innominabile, una macchia imbarazzante. Sono passati tre anni, ma ancora la tua memoria rimane insepolta. Nessuno ad oggi, nel feudo della DC, ti ha ancora reso il tributo che avresti meritato, e non occorre certo specificare il perché: da quando in qua si perdona una giovane donna, colpevole solamente di essersi bruciata troppo presto? Appunto. Nella speranza utopistica che un giorno la situazione si possa risolvere al meglio, ritorniamo ad avere vent’anni (che quant’è bella giovinezza…): e con noi un’Ornella Vanoni d’eccezione, coadiuvata dai New Trolls più disco di sempre. C’è qualcun altro che ti pensa intensamente, Lilli: qualcuno che conosce e pratica a menadito la sintassi di un irripetibile cinema di genere. Quella cassa dritta, nelle mani poco raccomandabili de La Band Del Brasiliano, diventa un cubo di acciaio, un ordigno che spacca i quarti con forza impressionante: quei ghirigori d’archi un vestito di lusso, tra Gloria Gaynor ed Electric Light Orchestra; quella voce arrochita un invito a nozze per l’ammaliante interpretazione, tutta sospiri e saliscendi, della sempre perfetta Serena Altavilla.

Si ripresenta così la big band toscana (dentro, come sempre, membri dei Dilatazione e del collettivo registico John Snellinberg), a quattro anni di distanza dall’esordio “Vol. 1”: rispolverando, con il gusto ricercato del filologo e la perizia tecnica dell’artigiano, un brano oscurato dall’oblio e dall’inesorabile trascorrere del tempo. La scelta non è di per sé particolare – di pepite misconosciute e pronte ad essere riscoperte è piena la canzone italiana: a colpire, piuttosto, è il contrasto, paradigmatico e sintagmatico, stretto con i rimanenti pezzi che compongono l’agile scaletta di “Vol. 2”, un disco che – per lunghe sue tratte – trascura lustrini e paillettes per proporsi come manifesto indiscusso del neobeat italiano. Come dite, affermazione rischiosa? Preparatevi, per riprova, a dare fuoco alle polveri e a riprodurre, in loop perpetuo, la granitica tripletta che dà il via alle danze. “La Verità” (punteggiata da singole pennellate d’organo che farebbero stramazzare dalla felicità il buon Umiliani) sfodera un ritornello ruggente à la John Barry, con un salto di tonalità old style su cui la solita Altavilla ha modo di testare la grande malleabilità dei suoi registri (è forse la prova più convincente della sua carriera). Ancora più sanguigna e maliziosa è “Impossibile”, dove il crescendo dei toni vocali viene gonfiato ad arte da una sezione fiati che guarda dritta nel backyard di Detroit. Infine, con “Hey Ragazzo” (aperta dal clavinet di Danilo Scuccimarra, l’Enrico Gabrielli della situazione) il monologo femminile si fa rimpallo e contrasto intergenere, con l’ingresso in campo di Davide Arnetoli e il solismo del sax tenore di Riccardo Zini ad entrare, a gamba tesa, tra basso e chitarra.

Italianità à gogo stampata a chiare lettere su ogni composizione, allora, come già nel “Vol. 1”: un punto di contatto che, tuttavia, non annulla affatto il proliferare di grandi e piccole differenze tra full lengths. Interessante, per iniziare, è notare come il gioco dei ruoli, relativamente definito nel “Vol. 1” (dove, a ragione, si poteva parlare di pezzi “lirici”, femminili, ed “epici”, maschili), si faccia meno solido nel “Vol. 2”, dove – sebbene con l’assoluta prevalenza della ben più duttile Altavilla – sembrano prevalere mescilanza e sovrapposizione. Aldilà degli intrecci corali, di cui è disseminato il disco, emblematica e a suo modo impressionante è la lallazione onirica di “Un’Ora In Più (Gli Amanti Della Domenica Pt. II)”, soprattutto per l’attenzione certosina prestata alle armonizzazioni vocali. È una cura per il dettaglio che rivela risvolti al limite della maniacalità, come nel taglio yè-yè e quasi ska che investe la splendida “Eclisse Twist” (l’originale, modellato sull’ugola di Mina, è parte della soundtrack de L’Eclisse di Michelangelo Antonioni), nel carillon finemente cesellato d’archi de “Il Tema Della Gelosia (Gli Amanti Della Domenica Pt. I)” (i Baustelle ipercitazionisti di “Fantasma” prima ancora del Morricone argentiano) e nelle venature cantautorali che innervano il retrò-pop di “Anna (Gli Amanti Della Domenica Pt. III)” (nell’attacco delle strofe c’è quasi un sentore del Battisti di “Dieci Ragazze”).

Un peccato che, a conti fatti, quasi ci si dimentichi delle strumentali, pur sempre di buona fattura, ma eccessivamente marginali e derivative nell’economia generale (i cori di “Gangster Story” richiamati nello shake indiavolato di “92° Minuto”, le rotondità prog-funk di “Giovani Di Nulla”). Ma immagino che, di queste minuzie, l’ascoltatore di genere faccia volentieri a meno. Sempre che non abbia a portata di mano sigarette con cui accompagnare l’ascolto e non si ricordi più come si faccia a comprarle

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