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R Recensione

7/10

Adriano Viterbini

Goldfoil

La prima domanda da farsi con questo disco in mano è: perché riproporre un genere come l’American Primitivism  nel 2013? La risposta più immediata, dopo aver ascoltato il disco, è perché è un bel genere, puro, semplice, diretto e facile da ascoltare. Oltre questo però va anche detto che rifarsi al blues degli anni ’30 ha anche un senso per la situazione economica e sociale che stiamo attraversando. Basta rileggere “Furore” di John Steinbeck per capire che la Grande Depressione americana del ’29 si avvicina molto alla crisi che stiamo vivendo in questi tempi. Allora era il blues a tentare di tenere insieme dal punto di vista sociale un’intera nazione. A far svagare il popolo e la gente comune in modo da non pensare a ciò che stava accadendo. Ma il blues era anche presa di coscienza, perché nelle canzoni venivano raccontate le storie del tempo, la difficoltà di trovare lavoro, di sopravvivere e di avere una vita decente, a maggior ragione se si era neri. Oggi come allora (lasciando da parte le questioni razziali) fare un disco di American Primitivism può avere anche questo senso anche se penso quasi certamente non fosse questo il primo intento di Adriano Viterbini.

 

Immaculate Conception” ci dimostra immediatamente quello che sarà l’album, ovvero un lavoro pieno di passione e ricerca ricco di fingerpicking e blues che parlano all’anima ed al cuore di chi ascolta.

Kensington Blues” rafforza questa linea. Viterbini omaggia la memoria di Jack Rose, grande chitarrista morto nel 2009. La dolcezza e la bellezza si nasconde in ogni arpeggio di questo brano e rispetto all’originale di Rose è leggermente rallentato e più riflessivo, più magico. Sulla stessa lunghezza anche “If i were a carpenter” un blues calmo, pacato ed elegante che aggiunge gusto all’album.

 

God don’t never change” attinge alla tradizione blues-spiritual ed è un omaggio a Blind Willie Johnson (così come la prima traccia). È un crescendo di slide conditi con quel misticismo religioso tipico del genere.

Blue Man” potrebbe sembrare leggermente fuori tema rispetto al resto dell’album, visto che si tratta di un tributo alla musica tuareg entrata in casa Viterbini grazie al padre che di ritorno da un viaggio in Niger porta con sé una cassetta della musica tipica dei berberi. Il ritmo e l’andamento ciclico lo rendono assimilabile al blues e la melodia semplice contribuisce a renderlo una sorta di manufatto plasmabile facilmente. Il sound si avvicina ai Tinariwen, un gruppo di ex tuareg che si è avvicinato al blues ed al rock con dei risultati molto interessanti.

 

Arriviamo a metà dell’album ed incontriamo l’unico compagno di viaggio scelto per una collaborazione: si tratta di Alessandro Cortini dei Nine Inch Nails. I synth di sottofondo creano un’atmosfera di tensione tipica dei film western durante lo scontro finale. Il fraseggio della chitarra è deciso e pungente. Sarebbe un’ottima colonna sonora.

 

Lago Vestapol” e “Montecavo” sono gli unici due brani originali scritti da Viterbini. Il primo è ispirato ad “America” di John Fahey e ne ha la stessa dolcezza e morbidezza armonica e melodica. Sembrano delle note scritte per raccontare una storia; con le dita Viterbini tocca le corde della sua chitarra e racconta sentimenti, episodi e persone della sua giovinezza. Come dice lui stesso ha composto la musica pensando al Lago di Castel Gandolfo dove è cresciuto.

Il secondo brano ha un sound più avvolgente e rock. Richiama alla mente enormi spazi aperti, montagne, laghi, valli e deserti da attraversare a ritmo di blues. Basta chiudere gli occhi e ascoltando la musica si possono vedere le mandrie di bisonti che iniziando a correre alzano un gran polverone. È una delle tracce più belle insieme a “Kensington Blues”.

 

Si chiude con “Vigilante Man” di Woody Guthrie. Probabilmente il lavoro più complicato del disco. Dentro ci sono Guthrie, Ry Cooder e Viterbini stesso, tre anime che convivono. L’inizio richiama subito alla mente la storica canzone del cantautore folk, dopo irrompe il groove e l’animo blues tipico di Cooder ed infine la ciliegina dell’assolo firmato da Viterbini che scava la pelle ed arriva direttamente nelle vene. Questo romano ha il blues dentro e si sente sul serio.

 

Un esordio solista davvero interessante e coraggioso per uno dei più grandi virtuosi della chitarra blues in Italia e non solo. Dopo aver dimostrato grandi qualità nei suoi precedenti progetti con i Bud Spencer Blues Explosion ed i Black Friday giusto per citarne alcuni, Adriano Viterbini dimostra piena maturità come artista riuscendo a dare un’impronta personale anche ai grandi classici del genere.

Da ascoltare in viaggio, preferibilmente 

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Voto degli utenti: 6/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

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Franz Bungaro (ha votato 6 questo disco) alle 17:39 del 16 maggio 2013 ha scritto:

Spero che questa digressione (ottima tecnicamente) non significhi un allontanamento di Viterbini dalla cosa che sa meglio fare, il blues esplosivo. Ottimo esercizio di stile, brani di classico delta blues alla Son House o Mississippi Fred McDovell per poi concedersi momenti più "sperimentali" (style o-blues) che sfociano poi nell'esibizionismo di stampo "primitivo" alla Fahey. Lo considero uno "sfizio" che Viterbini si è tolto, nella speranza che non si integralizzi o fossilizzi sullo studio classico dello strumento, perdendo di vista la passione e la vena artistica, che sono cose che vanno oltre. Speriamo.