Imani Uzuri
The Gypsy Diaries
"Traveling may feel lonely sometimes, but all who wander are not lost/ The journey is to look inside and find, and find, and find!" - Dream Child
Quella per i viaggi è una passione che fa sorridere. "Ti piace viaggiare per il mondo, scoprire ogni giorno posti nuovi e affascinanti? Ah sì? Ma dai, io invece spero di nascere e morire senza muovermi da Garbagnate Milanese!" E' un'osservazione banale e anche un po' figlia dell'invidia, ma inevitabile. Una conoscente una volta mi ha detto: "ho viaggiato in mezzo mondo ma il posto migliore rimane Dubai: gli alberghi sono i migliori e il personale è così servizievole!". Il discorso cambia (almeno un po') quando la passione per il viaggio non è determinata dal solito consumismo compulsivo (o dalla necessità di pubblicare le foto sui social network per suscitare l'invidia di amici e parenti), ma dalla volontà di arricchire la propria esistenza attraverso il contatto con gli altri, o di ridimensionare il proprio ego grazie al confronto con altre realtà, o - ancora - di trarre ispirazione dal viaggio per filtrare e corrompere la propria dimensione culturale. Bessie Smith diceva che non si può suonare il blues senza viaggiare, e infatti non acquistò mai una casa in tutta la sua vita perchè "la casa del blues è la strada".
Imani Uzuri ha globalizzato il concetto di "viaggio" di Bessie Smith, e dalle campagne del North Carolina è partita "in viaggio dal Marocco a Mosca tra le diverse culture del mondo" alla ricerca di una ispirazione "senza confini" per il suo secondo album intitolato "The Gypsy Diaries". E nei suoi diari nomadi Imani attraversa davvero i quattro angoli del globo terrestre con una velocità e una facilità impressionanti: parte dal sub continente asiatico intonando un canto che sembra unire la spiritualità gospel americana con il misticismo sufi ("Beautiful"), fa tappa nella sua terra natia per omaggiare la tradizione bianca del rock ("Whisperings (We Are Whole)" sfrutta vocalità simili a quelle di Grace Jones) e quelle nere del blues (semplicemente divino lo stomp di "Gathering") e del gospel ("O' Woman"), vola leggiadra su tonalità soul in "I Sing The Blues" (curioso il flauto di Kaoru Watanabe su quell'andamento simil-"Smooth Operator") e "Soul Still Sings", ci racconta la fine di un amore in chiave acustica ("Lament"), si concede una rilassata pausa "caraibica" ("You Know Me You Love Me") e una citazione "europeistica" (la chitarra flamenco come base per gli acuti vertiginosi di "Meet Me At The Station") prima di tornare a casa stanca e soddisfatta ("I'm Ready/She Came Traveling").
Lungo il viaggio, due sole certezze: 1) Siamo di fronte ad un'artista dalle caratteristiche vocali uniche, in grado di confrontarsi con le artiste più affermate (Erykah Badu, ad esempio), ma anche con mostri sacri come Billie Holiday, Sarah Vaughan e Nina Simone. In più, un senso generale di consapevolezza (sociale, politica...) che riporta alla mente in più occasioni attiviste come Camille Yarbrough. 2) In mezzo a tanto disorientante eclettismo, alcune "stelle polari": la già citata "Meet Me At The Station" (una sorta di "Libertango" virato "balkan"), il blues in fingerpicking di "Winter Song" (con tanto di sitar prelevato dall'altra parte del mondo) e l'epica cosmopolita di "Dream Child" che si ricollega ancora una volta al tema del viaggio.
Dedicato ad un amico musicista e al suo ultimo viaggio.
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