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R Recensione

6,5/10

Tonylamuerte Onemanband

Il Tonico Caprone

Ventitré brani di spaventosa coerenza musicale. Immaginate di girare per strada, allucinati, con i palazzi che vi crollano addosso e il sole sparato negli occhi: prendete la testa del primo malcapitato che incrocia il vostro passo e la sbattete sul selciato. Una, due, tre, cinque, dieci volte. A ritmo costante, martellante, quadrato. Così si suona il blues: chiudendosi in una stanza, con una chitarra resofonica ed assi oscuri in una manica. Uomo mezzo rasato con Dobro, bottleneck e valvolare: potrebbe essere benissimo la descrizione di una natura morta impressionista. Lì, come qui, non c'è nulla da capire. Specie se l'urlo di Munch non è cristallizzato, ma vivo, dinamico, bollente. Un urlo di ribellione, di superstizione, di rabbia, di rinascita. Di demenza, anche, perché no. Demenza programmatica e da manifesto. Oppure: demenza involontaria, buffa, comica nel suo non essere cercata. Undici sono gli incisi sotto il minuto, scorci strumentali marci nell'animo, ma analgesici per le corde vocali. “Libertà”, l'ultima parola nel fiume torrenziale che erompe, straripa, travolge. Le altre sono demonio, morte, tradizione, taglione. Ed amore. Lo stesso amore che eoni fa, l'âge d'or puritanamente parlando, si assumeva in dosi prescritte, un migliaio, per starne certi (altro che essere diventati uomini migliori, quel ritorno di qualche anno fa non ha mai trovato senso).

Tonylamuerte Onemanband scrive, suona, si produce. È imprenditore di sé stesso. “Il Tonico Caprone” è il suo secondo soliloquio, la pièce teatrale del primo ed unico protagonista: una Spoon River della provincia veneta abitata da vecchi, impiccati, balenghi, morti, santi e corvi. Un posto dove, vacca puttana, non succede mai niente – chissà che capolavoro potrebbe scrivere Lynch, se solo avesse presente la desertificazione del trevigiano, l'horror vacui bucolico del vicentino, la desolazione post-industriale del padovano. Quanto a Venezia, ci pensano le grandi navi a tirare una grossa croce sulle rovine della più potente repubblica marinara di sempre. Inutile invocare i dogi nel Ventunesimo Secolo: nemmeno i loro superpoteri avrebbero sufficiente raggio d'azione contro i piccioni e le teste di cazzo – specie animali che affollano, quotidianamente, piazza San Marco.

Parole vane. “È Andato Tutto A Puttane” è l'anthem finale di chi non vuole rassegnarsi, ma deve farlo. È il punto di intersezione tra Samuel Katarro, i Royal Trux e l'hardcore torinese: checcefrega der cileno noi c'avemo Totti gol. Totti si chiama Luca Toniolo, non più di qualche anno fa cantava e schitarrava in The Forty Moostachy, ora canta e scatarra da solo. A tratti la naiveté, come quando Clem Sacco sbraitava di vene varicose, fa sorridere. Ma sono solo sorrisi apotropaici, di strizza. 

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