Bachi Da Pietra
Quintale
Un Quintale di Bachi da Pietra, tanto per gradire, può rivelarsi sensibilmente più leggero di quanto si sia portati a immaginare. Da quando i termini accessibile o levigato vengono adoperati con accezione dispregiativa, e di solito inversamente proporzionale alla qualità dellopera, dalla critica musicale? Da sempre, siamo daccordo. Nel caso dellinestimabile duo Succi Dorella, il problema non sussiste, perché, se da un lato balza immediatamente allorecchio la fruibilità tutto sommato immediata (come mai in passato) del nuovo lavoro, dallaltro ci si accorge che le ferite inferte sono vistosamente più esposte e visibili, in nessun caso più superficiali.
Al posto del verme che un tempo insidiava la carne subdolamente, sotto pelle, oggi un esercito di animali striscianti avanza alla luce del sole, e aggredisce libero, sicuro di sé, riducendo a brandelli il tessuto primigenio dellanima e del corpo, sia esso vivo o, più spesso, già decomposto. Dove allora convivevano a fatica parole smozzicate e declamare ermetici, ora il verso si fa storia, invettiva blasfema, mortificante, esplicita. Se prima la sostanza sonora si sorreggeva su linee di basso cave, scheletri di tamburi, blues interlocutori, scarnificazioni sgraziate, adesso le pulsioni si fanno sguaiate, i vuoti si riempiono in pochi terribili istanti (merito della puntuale produzione di Giulio Ragno Favero), la sei corde barrisce di dolore e rabbia (Succi scopre luso del plettro), la batteria ridisegna lo scenario armandosi di charleston.
Così, a cogliere impreparati è già lapertura distorta di Haiti, che affianca al delirio catramoso di Succi uno stoner blues granitico di riverberi acidi e assoli brevi come fendenti. Mai meno che ispirato (forse unica eccezione Brutti Versi, in odore di Queens Of The Stone Age) il viaggio che ci viene imposto attraverso Quintale (definito un po frettolosamente il disco heavy metal dei Bachi da Pietra): Coleotteri è una raffica di mitra che manda al tappeto, Pensieri Parole Opere possiede una sorta di irruenza punk che sa di catarsi blasfema (tu saresti dio / ma ti perdono, ho sbagliato anchio), al pari della programmatica Io Lo Vuole, frammentata di scudisciate elettrificate, e Paolo il Tarlo, preghiera buona e giusta (credo in un solo io generato e non creato della stessa sostanza del silicio e del guano).
Tra una bizzarra filastrocca (Enigma) che cita etichette collaboratori e bachi in persona (da Favero a Emidio Clementi sino a Gamondi degli Uochi Toki con cui Succi ha condiviso di recente La Morte), chiudendosi in orgia musicata dal sax di Arrington De Dionyso (Old Time Relijun), e il naufragio mentale della splendida Mari Lontani intonata, marziale, visionaria , scopriamo lessenza di Quintale nei concetti di Fessura, esposti in malsana chiave hip hop: la sete di leggerezza, lillusione pacificata di averla conseguita.
Prima dellavulso lirismo solare molto virgolettato di Dio del Suolo (il cui testo andrebbe riportato integralmente) e Ma Anche No, che chiude il disco, ci attende al varco il delirio scomposto che diventa lucido mantra di Sangue, una canzone enorme sotto ogni punto di vista.
Dopo aver attraversato i deserti fangosi di Tornare nella Terra, le radure urticanti e scoscese di Non Io e Tarlo Terzo, le pianure assolate di Quarzo, i Bachi giungono più caustici che mai al luogo della metamorfosi finale: tra la gente. Prossima tappa ignota. O La Morte, chissà.
P.S. Nella sola versione digitale dellalbum compare in coda baratto@bachidapietra.com, una bonus track registrata con un cellulare, come tiene a precisare lautore, che fa riflettere con ironia quanti si fossero procurato il disco gratuitamente: i fruitori del supporto in vinile ne sono stati dispensati. Peccato davvero!
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