R Recensione

8/10

Bachi Da Pietra

Tarlo Terzo

Terzo centro per i Bachi da Pietra, Terzo Tarlo è un disco che resterà per molto un culto sottorraneo, come si addice a chi vuole tornare nella terra.

Un altro passo dell’evoluzione dei bachi dopo Non Io, la maggior parte dei testi è potente e poetica, intrisa di ironia acre, con alcuni pezzi più intimi e la maggior parte “sociali”. C’è anche una evoluzione nei suoni, senza abbandonare l’essenza scheletrica sono stati aggiunti colori da nuovi suoni della chitarra e dall’uso del basso acustico per sostituire la chitarra in alcuni pezzi, c’è seme nero con una coda post rock dilatata e scura, e si finisce con per la scala del solaio ultra minimale di chitarra e voce.

È un disco profondamente “politico” iniziando dal titolo che ricorda “Il tarlo della coscienza” saggio postumo di Nicola Chiaromonte, critico capace di analizzare la società samcandosi da slogan e linee di pensiero dominanti, proprio come i testi dei bachi. Parole secche e profonde, da cui non ci si può nascondere una delle analisi più lucide e non ideologiche sulla realtà odierna, vecchi mali che tornano sempre a galla e riflessioni sul senso della vita.

Dal punto di vista degli insetti tutto sembra più chiaro e rimangono impresse nella memoria le frasi sussurrate e sofferte, ma rischiano di rimanere schiacciate dal rumore della superficilità, come gli insetti dai nostri movimenti distratti, bisogna dedicarci la dovuta attenzione.

Inizia servo e subito si capisce che non è un disco morbido “sterco sulle favole buone del potere accattone contrapposto a rette persone” altro che crisi internazionali. Mestiere che paghi per fare è una fonte di frasi da taccuino da ricordare e citare un po’ alla volta, su tutte “la vita è il mestiere che paghi per fare / non il giro di carte e puntate / che per non perdere puoi stare a guardare”. Tarlo della sete ingrassata da suoni concreti traghetta, con l’intermezzo narrativo de i suoi brillanti anni ottanta verso il centro del disco dove vengono giocati tre pezzi molti intensi. Lina, su un amore divorato, seme nero con una citazione che rievoca ricordi liceali e la sua oscura coda strumentale, lui verrà canzone dalla forte intesità testuale. Dopo il climax la discesa. Andata è un “classico” pezzo dei bachi e porta a FDB, il brano più espressamente politico. Poi l’atmosfera si dilata, dal nulla nel nulla è pura essenzialità sia nelle parole che nella musica e anticipa per la scala del solaio, dove c’è solo la voce che parla lenta e bassa e le dita che percuotono qualche corda e la cassa armonica della chitarra acustica ad accompagnarci dal pian terreno al solaio, un percorso metafora di una vita. Quando lui arriva in alto forse non gli serve più niente, “tutto quello che gli serviva davvero del mondo / fu un angolo sudicio e tutta una notte dilatarsi nel caos / e la scala del solaio e ciao”.

Un disco denso e scuro, da ascoltare a notte fonda, circondati dalle nebbie autunnali, è blues della terra. Un disco ostico forse, ma quando entra dentro diventa l’ossigeno necessario per affrontare i giorni grigi e quelli neri, per sapere di non essere soli.

Uno dei migliori dischi degli ultimi anni in cui la fusione tra parole e musica raggiunge molte vette di bellezza e provoca profonde emozioni, da scoprire e conservare tra i tesori e recuperare nei momenti duri.

V Voti

Voto degli utenti: 7,7/10 in media su 6 voti.
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target 6/10
gull 9/10
ThirdEye 10/10

C Commenti

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modulo_c (ha votato 8 questo disco) alle 23:22 del 8 gennaio 2009 ha scritto:

da scoprire

penso che ci vogliano molti ascolti prima di apprezzare appieno questo album. a me personalmente ogni nuovo ascolto fa scoprire nuovi dettagli, soprattutto dei beat che affiorano ed arricchiscono un suono che al primo ascolto sembra scarno, ma che in realta' non lo e'.

avvolgente come una coperta, per questo concordo sul fatto che vada ascoltato di notte fonda.

bargeld (ha votato 7 questo disco) alle 21:22 del 28 marzo 2009 ha scritto:

ottima recensione, è verissimo, è un disco da assaporare assolutamente di notte. bello

gull (ha votato 9 questo disco) alle 16:15 del 22 febbraio 2010 ha scritto:

La vita è il mestiere che paghi per fare.

Per i miei gusti, questo è il disco italiano più bello del decennio. Da suonare e risuonare, da ascoltare, leggere e rileggere. Tormentato e vero, con un suono riuscitissimo e personale.